Aborto farmacologico in Italia/
Il confronto con l'Europa
Dal 2009 la pillola abortiva RU486 fornisce alle donne un'opzione non chirurgica per l'interruzione della gravidanza. Si tratta di una pillola che non può essere venduta né utilizzata lontano dalla supervisione del medico e in Italia può essere somministrata solo in ambito ospedaliero e con obbligo di ricovero fino a tre giorni.
A Federica Di Martino, psicologa e fondatrice del progetto “IVG. Ho abortito e sto benissimo”, abbiamo chiesto informazioni sulla pillola abortiva RU486 e sulle differenze relative alla sua somministrazione in Italia e all'estero.
Introdotto in Italia nel 2009, l'aborto farmacologico (cosiddetto RU486) sembrerebbe rappresentare per molte donne la scelta privilegiata, in quanto non assoggettata all'invasività di una, seppur breve e assolutamente sicura, operazione chirurgica.
Usiamo un timido condizionale, poiché i dati a nostra disposizione risentono di alcuni fattori, quali l'accessibilità limitata soltanto ad alcuni ospedali che effettuano le IVG o i tempi per effettuare l'aborto medico (sempre nel primo trimestre, fino a 49 giorni, mentre per il chirurgico è possibile protrarre a 90 giorni). Secondo l'ultimo report del Ministero della Salute sulla legge 194 il ricorso all'aborto farmacologico sembrerebbe in aumento, con una percentuale del 17.8% dei casi rispetto al 15.7% del 2016. Nulla a che vedere comunque con i dati di altri paesi europei, come ad esempio Finlandia e Svezia dove gli aborti farmacologici rappresentano il 98% del totale, in Francia il 60%, in Portogallo il 70%.
L'aborto farmacologico giunge nel nostro Paese con molti anni di ritardo rispetto al resto d'Europa, e a ben guardare c'è ancora molto su cui lavorare per permettere alle donne una accessibilità reale alle pratiche sanitarie nel rispetto pieno delle proprie scelte autodeterminative.
L'aborto medico è considerato dall'OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) come un metodo sicuro per interrompere le gravidanze fino alla 9ª settimana; successivamente aumentano l'incidenza di aborti incompleti, gli effetti collaterali e le complicazioni.
Le linee guida del Royal College of Obstetricians and Gynaecologists lo indicano come il metodo privilegiato per gli aborti fino alla 7ª settimana, come un metodo adeguato per gli aborti tra la 7ª e la 9ª settimana e non escludono di poterlo proporre fino alla 12ª settimana.
La questione forse più rilevante su cui ci si sta battendo anche a livello politico riguarda il regime di day hospital, adottato nella quasi totalità dei Paesi europei, mentre in Italia è riuscita a farsi strada solo in alcune regioni quali Lombardia, Umbria, Emilia Romagna, Liguria, Puglia, Lazio e Toscana. Risulta difficile comprendere come l'aborto chirurgico, che prevede un'anestesia (locale o addirittura totale) avvenga in regime diurno, mentre per un trattamento farmacologico si preveda finanche un ricovero di 3 giorni.
Un'altra questione importantissima, ma anche molto controversa, riguarda nello specifico chi può praticare un aborto farmacologico. L'utilizzo del termine “praticare” di fatto mette in evidenza una cosa importante, che riguarda la somministrazione di più farmaci (in questo caso pillole) che verranno poi assunti dalla donna, in una forma di compartecipazione al processo abortivo che di fatto rappresenta una grande innovazione rispetto al chirurgico, in cui il corpo della donna è affidato al medico che opera su di lei, limitandone naturalmente il potere d'azione.
Anche su questo tema l'Europa adotta già da diverso tempo delle misure alternative a quella dell'aborto medicalizzato in ogni sua rappresentazione. In Gran Bretagna, già dal 2014, attraverso prescrizione medica, la somministrazione viene effettuata anche da ostetriche e personale paramedico e la riflessione si sta focalizzando anche sulla possibilità di effettuare l'aborto chirurgico.
In Svezia, dove la percentuale degli aborti farmacologici rappresenta la quasi totalità, il personale sanitario si occupa della somministrazione delle pillole, ma non solo, ha anche l'autorità di prescrivere contraccettivi e inserire dispositivi intrauterini.
La Francia sta portando avanti attraverso l'ANSFO (Association Nationale des Sages-femmes orthogénistes) una petizione nazionale per far sì che la pratica dell'aborto sia riconosciuta come una competenza ostetrica.
L'ultima frontiera in termini di riflessioni e rimodulazioni possibili sul controllo dell'aborto riguarda la possibilità di autogestirlo, soprattutto negli Stati Uniti, laddove le politiche repressive o i costi in alcuni casi proibitivi non permettono un accesso libero e soprattutto garantito a questa pratica della salute. Molte associazioni e reti pro-choice propongono dunque delle guide su come autogestire i propri aborti e in che modo trovare in maniera efficace farmaci adatti alle proprie esigenze; su alcuni siti è anche possibile essere supervisionati e guidati da personale medico nella scelta.
È giusto garantire il miglior accesso alle cure e alla tutela delle pratiche della salute anche in ambito riproduttivo, nella necessità evidente di poterci aprire a possibilità inedite per il nostro Paese che possano contribuire in maniera considerevole a migliorare l'esperienza dell'aborto.
Federica Di Martino
Castel Bolognese (Ra)/
Ripristinata la bacheca anarchica (dopo il vandalismo)
La
storica bacheca accanto all'entrata della storica Biblioteca
Libertaria “Armando
Borghi”, oggetto di un atto vandalico, è
stata rifatta più bella e rimessa al suo posto,
lungo l'arteria stradale principale
della cittadina romagnola, il 18 maggio 2019. Eccola circondata da quattro
soci della Biblioteca (da sinistra: Luciano Nicolini, Gianpiero
Landi, Carla Atlante e Franco Melandri).
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Educazione, arte e libertà/
Convegno (e maltempo) a Castel Bolognese (Ra)
Sabato 18 maggio si è svolto il convegno Educazione
arte anarchia. Purtroppo una spietata “perfidia”
del clima ha impedito lo svolgimento dei laboratori previsti.
Soltanto ApARTe° ha fatto ugualmente il suo, pur con i pochissimi
presenti, perché programmato per il prossimo numero della
loro rivista.
Si
è trattato della terza iniziativa dedicata alle tematiche
dell'educazione libertaria che la BLAB (Biblioteca Libertaria
Armando Borghi) ha organizzato e promosso sempre a Castel Bolognese.
La prima, Vaso, creta o fiore? – educare alla libertà,
è stata un ciclo d'incontri, tre conferenze pubbliche
e due seminari ad iscrizione, svoltosi dal 21 ottobre al 16
dicembre del 2016. La seconda, Educazione e libertà,
un convegno tenutosi il 22 ottobre 2017, di cui sono stati pubblicati
gli atti dalla casa editrice La Fiaccola di Ragusa.
Per questa terza si è voluto fare una pubblica riflessione
ad ampio raggio sulle convergenze teoriche e sulle possibilità
operative in ambito libertario, tra arte, anarchia e educazione.
Tre vere e proprie “galassie del pensiero”, accomunate
da una corrispondenza che le porta a confluire incrociandosi
tra loro sul piano della libertà. Per potersi estrinsecare
pienamente e coerentemente hanno infatti tutte e tre bisogno
della più completa libertà d'espressione.
Diverse decine di partecipanti hanno ascoltato con grande attenzione
le cose dette, mentre le sei relazioni sono riuscite ad approfondire
in modo adeguato le questioni affrontate. “L'educazione
alla libertà arricchita dall'esperienza artistica”
– “La costanza dell'arte nelle esperienze libertarie
dell'educazione” – “Il gioco della traccia
nel closlieu di Arno Stern” – “Anarchica
è l'arte...” – “Arte, motore di esperienze
nelle scuole libertarie” – “Scuola e ricerca
sul territorio... per fare insieme un film”.
Le tematiche trattate hanno spaziato con bella disinvoltura
tra proposte e visioni scaturite dalle tensioni anarchiche,
artistiche e educative. Uno sguardo non convenzionale su ciò
che ci circonda, alla ricerca di un impatto estetico in grado
di rivoluzionare il rapporto con le cose, con gli altri, col
mondo. Una spinta a un fare creativo capace di auto-educarci,
libero da ceppi, imposizioni, costrizioni di sorta.
Abbiamo viaggiato mentalmente nella consapevolezza che educare
è essenzialmente un'arte e poi una tecnica, un educare
a essere, non a dover-essere, un auto-educarsi per essere liberi
e autonomi. L'anarchismo, da sempre punto di riferimento significativo
per artisti che amano la libertà e l'uguaglianza, considera
l'arte come un'esperienza. All'arte che si subisce contrappone
un'arte che si crea. Secondo alcune/i, l'artista quando crea
è anarchico e vive un'esperienza alchemica. L'arte auto-educante,
al di là degli stereotipi e di ogni perbenismo, oltre
ad essere di sublime levatura è anche un tuffo nella
“maleducazione”.
Abbiamo condiviso e mentalmente vissuto un modo liberante di
far segni, di lasciare tracce, di muovere il corpo, di ridefinire
forme e riplasmare materiali. In una stanza immutabile nel tempo,
al riparo dai condizionamenti esterni, un bambino prende un
pennello, lo intinge in una ciotola di colore e traccia sul
foglio dei segni liberamente, come nei closlieu di Arno
Stern. Oppure nelle comunità o comuni libertarie auto-educanti,
nel cammino dei tempi, dove si assiste all'espressione fattiva
del fare artistico, un'arte auto-educativa del sociale, quasi
una costruzione mobile oscillante nel vento.
Una comune tensione emotiva ha attraversato i presenti in attento
ascolto attivo. Sono convinto che per ognuno è stato
un trip entusiasmante, fatto di segni, parole, suoni,
movimenti del corpo, sguardi, sensazioni, emozioni, percezioni,
che trasudano creatività autentica, tracce di sé
negli spazi dell'azione e del pensiero, che fluiscono e rimarranno...
al di là del tempo.
Gli atti verranno pubblicati, anche questa volta, dalla casa
editrice anarchica La Fiaccola di Ragusa.
Per chi fosse interessato, sul sito della BLAB, bibliotecaborghi.org,
è possibile ascoltare la registrazione delle relazioni
presentate. Sempre sul sito è possibile vedere le foto
del convegno.
Andrea Papi
www.libertandreapapi.it
Ricordando Sabatino Catapano/
Quella risata contagiosa che ci manca già. Tantissimo
Data la vicinanza geografica ogni tanto qualcuno mi chiedeva:
«Ma lo conosci Sabatino Catapano dell'Usi? Sta a Sarno...»
facendo sempre capire che si trattava di uno particolare, ma
non riuscivo a decifrare in quale senso fosse da intendere tale
particolarità: era uno da cercare o da evitare accuratamente?
Quando alla fine lo incontrai, quasi vent'anni fa, mi furono
subito chiare molte cose. Era un'assemblea di movimento, tutti
anarchici, e, come sempre accade, qualcuno si stava dedicando
a distinguo e puntini sulle i, finché Sabatino ne ebbe
abbastanza e sbottò: «Tu si venut' ccà a
fa' o purista? Nunn'ej capit', je so' cchiù anarchico
e te!» – meraviglioso, ce ne innamorammo subito.
Non solo con me, che ho l'età del suo figlio maggiore,
ma con ragazzi che avevano quarant'anni meno di lui, era di
una naturalezza totale, senza nessuna velleità di essere
leader, guida o maestro. Era però uno che aveva vissuto
molto e, se volevi, ti raccontava. Lo ha poi fatto anche in
un libro, ma sentire quelle storie (a volte storiacce) dalla
sua viva voce era un'esperienza indimenticabile. Convinto di
essere comunista fino all'età di 38 anni, aveva incontrato,
in carcere, chi gli disse: «Guarda che, per quello che
dici, tu non sei comunista, sei anarchico» – rivelandogli
come la sua insofferenza per ogni forma di autorità avesse
già un nome mai sentito prima, e come ci fossero altre
persone (tra queste: Horst Fantazzini) che condividevano pienamente
quelle idee che stava sviluppando in un percorso che lo portò
dall'essere un giovane ribelle inconsapevole all'uomo solidissimo
che ho conosciuto io.
Qualche volta, quando raccontava di qualche gesto deprecabile
della sua giovinezza, sottolineava: «Ero un'altra persona»,
né era particolarmente fiero (ma senza ombra di pentitismo)
della vita “illegale” che lo aveva portato alla
lunga detenzione. Viceversa ci teneva moltissimo a chiarire
che mai, pure avendone occasione, aveva avuto a che fare con
la camorra – per Sabatino un potere simile a quello dello
Stato. Una strada ripida che lo aveva portato anche alla detenzione
in manicomio criminale come conseguenza punitiva delle proteste
che portava avanti in galera, e che riuscì ad affrontare
grazie alla sua forza e a quella, inesauribile, di Anna, compagna
di una vita.
Non amava i dottrinari ma sapeva bene che con loro era inutile
sprecare tempo, riservando le sue energie per condividere sogni
e lotte con compagne e compagni tanto più giovani di
lui e che lo hanno amato per la sua intelligenza, il desiderio
di condivisione e il suo spirito ironico e acuto, che alla fine
si esprimeva sempre in quella risata contagiosa che ci manca
già tantissimo.
Giuseppe Aiello
Antifascisti imolesi in Spagna/
Un bel ciclo di iniziative
Il primo di aprile del 1939, 80 anni orsono, le truppe nazionaliste comandate dal generale Francisco Franco entravano in Badajoz, l'ultima roccaforte della Spagna repubblicana, ponendo fine alla guerra civile che aveva insanguinato per tre anni la penisola iberica.
La vittoria dei fascisti spagnoli, aiutati dall'Italia mussoliniana e dalla Germania hitleriana, era ormai completa e per il popolo spagnolo si apprestava un quarantennio di feroce dittatura, di repressione indiscriminata, di eliminazione fisica di ogni forma di opposizione, di ritorno al reazionario e criminale oscurantismo clericale che per secoli aveva oppresso quel paese.
Nel ricordo di quegli avvenimenti l'Archivio Storico della Federazione Anarchica Italiana (Asfai), in collaborazione con la sezione imolese dell'Anpi, con il Centro Imolese di Documentazione Resistenza Antifascista (Cidra) e con la locale Biblioteca Comunale (Bim), ha organizzato una serie di manifestazioni e iniziative finalizzate, soprattutto, a documentare e mettere in risalto la massiccia partecipazione imolese alla guerra e alla rivoluzione spagnola. Complessivamente, infatti, furono trentacinque gli antifascisti imolesi accorsi in Spagna a fianco degli anarchici e dei combattenti dell'esercito repubblicano, quasi tutti provenienti dai paesi dell'esilio (Francia, Svizzera e Belgio soprattutto), in gran parte aderenti al Partito Comunista e inquadrati nelle Brigate Internazionali, ma anche numerosi anarchici e libertari arruolatisi nella Colonna Ascaso e nelle altre colonne anarcosindacaliste; poi socialisti e antifascisti senza partito. Sull'altro fronte furono un'ottantina i fascisti mandati in Spagna, quasi tutti – anche se non tutti – partiti con la promessa, effettivamente poi mantenuta, di sostanziose agevolazioni economiche al loro rientro in patria.
Naturalmente le iniziative messe in atto non si sono limitate alla sola realtà imolese, ma hanno interessato la cospicua mobilitazione che vide coinvolti migliaia di antifascisti italiani: sui circa quarantamila internazionalisti che combatterono in Spagna i nostri connazionali furono infatti circa 3500, in maggioranza aderenti al Partito Comunista, seguiti a ruota da anarchici di tutte le tendenze.
Sono state allestite quattro mostre documentarie, tutte di grande interesse: una nella Bim, con materiale di grande rarità proveniente da alcuni fondi lì depositati, in particolare il fondo del socialista Vespignani e quello del medico fascista Sandrini. Volantini, documenti, carte originali, fotografie di grande interesse, tutto materiale praticamente introvabile. Esposizione corredata dalla riproduzione di numerosi manifesti della rivoluziona anarchica spagnola. Una seconda mostra quella del Cidra, centrata soprattutto sulla rara documentazione fotografica degli imolesi dello schieramento antifascista. Una terza mostra, già presentata tempo addietro a Imola, sui feroci bombardamenti fascisti della Catalogna e di Barcellona, realizzata dal Centro Filippo Buonarroti. La quarta, indubbiamente la più corposa, allestita dall'Asfai, con la proposta di materiale originale comprendente libri e opuscoli, giornali dell'epoca, documenti, fotografie e oggetti vari. Il tutto accompagnato da grandi cartelli esplicativi su quegli avvenimenti.
Tre le iniziative pubbliche, la prima nella quale Alfredo Gonzales della Federación Anarquista Ibérica, ha accompagnato la proiezione di rarissimi spezzoni documentari e cinematografici realizzati nel 1936-37 dalla Cnt, con una interessante relazione su questa produzione propagandistica ben poco conosciuta. La seconda iniziativa “La Guerra Civile Spagnola come conflitto internazionale”, ospitata dalla Bim, ha visto la partecipazione dello storico Enrico Acciai e di Andrea Torre, archivista dell'Istituto Parri. Infine, nei locali del Cidra, la conferenza di Massimo Ortalli e di Giuliana Zanelli (figlia di militanti comunisti combattenti in Spagna) sugli imolesi nella Guerra civile, uno sguardo ad ampio raggio sui compagni e le compagne che generosamente accorsero in Spagna in difesa della libertà e della rivoluzione.
Complessivamente una più che buona partecipazione – sono state coinvolte anche numerose scolaresche – a questo omaggio a una delle pagine più tragiche, ma anche gloriose del Novecento.
Massimo Ortalli
Reggio Emilia/
Varie e non eventuali
Sono tra i gruppi anarchici più attivi e presenti sul territorio. Ecco qualche aspetto delle loro più recenti attività. Stiamo parlando delle compagne e dei compagni della Federazione Anarchica di Reggio Emilia, aderente alla Federazione Anarchica Italiana.
25 aprile
800 compagni e compagne hanno partecipato al 25 aprile rosso promosso dalle Cucine del Popolo a Massenzatico. Oltre 400 hanno mangiato i cappelletti antifascisti con antipasti, bolliti con salse di campagna, zuppa inglese e tanto lambrusco rosso vivo.
La giornata è stata aperta da Cecio e i suoi Spavaldi con una disinfestazione antifascista in tutto il paese. Alle 11 si è tenuta l'interessante e partecipata conferenza del compagno Franco Schirone sull'antifascismo rivoluzionario e sui movimenti della dissidenza comunista. Al pomeriggio è stato il momento di Colby – USI DJ che ha intrattenuto e fatto ballare i numerosi partecipanti.
In serata abbiamo proposto la pastasciuttata del partigiano che chiude sempre l'evento del 25 aprile.
La giornata ha impegnato una settantina di compagni e compagne che hanno dato una grande dimostrazione organizzativa all'insegna dell'autogestione e della solidarietà.
S.R.
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Primo maggio/
Piove di Sacco (Pd)
Anche quest'anno la festa si è tenuta al Casone Ramei,
un'antica abitazione col tetto di paglia immersa in un bel boschetto.
Le persone che hanno partecipato sono state circa 200, alcuni
visi noti altri nuovi provenienti dal veneziano, dal vicentino,
Treviso, Pordenone, Padova. La giornata soleggiata e mite ha
permesso ai partecipanti di occupare i vari spazi disperdendosi
tra il boschetto. Il Coro degli Imperfetti, a conferma della
nostra posizione contro il potere, ha intonato vari canti di
lotta e il blues della B. Movie Band ha fatto ballare molte
persone.
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Piove di Sacco (Pd) - Il primo maggio anarchico |
Interessante proposta di un gruppo di partecipanti: eliminare
l'uso delle stoviglie “usa e getta” proponendo di
portare da casa piatti, bicchieri, posate, iniziando un'opera
di sensibilizzazione al rispetto dell'ambiente e la graduale
eliminazione della plastica. Suggerimento che attueremo nelle
nostre future iniziative all'aperto.
Ateneo degli Imperfetti
www.ateneoimperfetti.it
Primo maggio/
Altamura (Ba)
In occasione del Primo Maggio 2019, un nutrito gruppo di libertari
e di anarchici pugliesi si è riunito presso la Masseria
Martucci, sede del Centro Studi Torre di Nebbia, collocata nel
cuore del Parco nazionale dell'Alta Murgia, tra Altamura e Gravina
in Puglia, per dare vita a una giornata festosa e conviviale.
Nell'occasione è stata deposta, nell'aia antistante,
una scultura in pietra calcarea, opera dell'artista Vito Maiullari,
che i compagni hanno dedicato alla memoria del maestro muratore
anarchico Sante Cannito, a venticinque anni dalla sua scomparsa.
In mattinata, perciò, i compagni presenti hanno voluto
rendere omaggio alla figura di un lavoratore e di un uomo straordinario,
la cui militanza anarchica si è protratta, con ostinazione
e generosità, per quasi un secolo. Alla manifestazione
sono intervenuti anche altri compagni provenienti dalle città
limitrofe. Tutti, poi, si sono incamminati su di un sentiero
per ammirare e conoscere alcuni dei segni distintivi degli ecosistemi
naturali e antropici del Parco.
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Altamura
(Ba) - La scultura dedicata a Sante Cannito |
Nel pomeriggio, dopo il pranzo sociale, nella masseria ha avuto
luogo un dibattito sul tema: L'anarchismo nel XXI secolo. La
giornata è stata perciò intensa e proficua per
tutti i partecipanti, i quali hanno voluto con ciò non
solo testimoniare l'omaggio a Sante Cannito ma anche confrontarsi
liberamente su alcuni dei principali nodi problematici che investono
localmente e globalmente le nostre attuali società. L'evento
è stato organizzato da #Movimento13gennaio, Alternativa
Libertaria/Fdca e Centro Studi Torre di Nebbia.
S.C.
Sante Cannito/
Un uomo lungo un secolo
Abitava nella casa che lui stesso aveva costruito, al numero
35 di via S. Agostino, nei pressi di Porta Bari. Una casa modesta,
nelle cui stanze si notava più che la semplicità
del mobilio, l'assenza della televisione e della benché
minima traccia di effigi sacre. L'oggetto più prezioso
consisteva in una libreria dalla cui vetrata si scorgevano edizioni
ingiallite di ormai rarissime opere di Camillo Berneri, Enrico
Malatesta, Luigi Fabbri, Bakunin, Emma Goldman, Kropotkin, Max
Stirner poste accanto ai romanzi di Tolstoj, Dostoevskij, Hugo,
Zola...
Nella cantina, invece, erano depositati con ordine i suoi utensili
di lavoro, con i quali ancor giovanissimo aveva appreso, fino
a diventarne un maestro, la difficile arte muraria.
Era nato nel secolo scorso, Sante Cannito, il 28 giugno 1898
in un claustro del Centro Storico di Altamura. Era riuscito
a terminare gli studi elementari e questa esperienza, in un
paese che contava allora più dell'ottanta per cento di
analfabeti, l'aveva segnato così profondamente che ancora
molto tempo dopo, scrivendo i suoi Frammenti, ricordava:
“Sui banchi di scuola mi fu insegnato che la storia è
maestra di vita ed ho cercato di sapere”. Questa passione
della conoscenza fu repressa dalla crisi dilagante agli inizi
del secolo e dal conseguente impatto violento in cui precipitava
l'Europa. All'inferno del primo conflitto mondiale, Sante Cannito
partecipò come combattente lungo le trincee del Friuli.
Poi venne il fascismo, a proposito del quale la sua testimonianza
non indugia: “Il fascismo fu la fame per tutti i lavoratori”.
Questo giudizio lapidario, diluito in alcune pagine dei Frammenti
ed approfondito ancor di più nelle innumerevoli discussioni
che Sante, su questo punto quasi indomabile, riproponeva all'infinito
con i suoi coetanei e con noi stessi, dimostra come quella auspicata
conoscenza della storia si sia intanto già trasformata
in un impegno nella storia e nella scelta di stare dalla
parte dei “dannati”. Mentre la dittatura fascista
si appresta a spegnere ogni focolaio di libertà, Sante
con una piccola nave dal nome “Italia” si dirige
verso l'America, a New York, sulle tracce di suo padre, già
emigrato tredici anni prima e di cui non aveva da tempo notizie.
Fu la scoperta dell'America, quella degli emigranti e degli
Al Capone, ancor prima della lettura di Kropotkin, a sprovincializzare
la sua cultura e ad “aprir(gli) gli orizzonti”.
Nel quartiere di Brooklyn, dove abitava insieme a suo padre
in una “casetta di legno”, e soprattutto grazie
al suo lavoro di muratore, egli venne a contatto con emigranti
di varie origini e comprese più a fondo come, al di là
della differenza di lingua, di colore o di cultura, i lavoratori
subissero la stessa sorte di miseria e di oppressione. L'attività,
in difesa dei lavoratori, del grande sindacato americano I.W.W.
(Industrial Workers of World), rivendicava, in quel periodo
di grandi trasformazioni, la libertà di due sindacalisti
italiani arrestati.
Il ritorno in patria due anni dopo fu senz'altro quello di un
uomo più maturo e consapevole della condizione umana,
di un uomo che aveva scoperto, al di là del sole che
limitava la miseria dei contadini poveri del sud d'Italia, altre
forme più brutali di povertà: quella dei lavoratori
che abitavano i sobborghi metropolitani, nel paese più
“avanzato” della modernità. Lì abbracciò
la causa di Sacco e Vanzetti e divenne anarchico.
Dell'anarchismo Sante Cannito condivideva oltre ai principi
dell'educazione alla libertà e all'autogestione, la scelta
necessaria dell'organizzazione. Contro la concezione leninista
del partito, inteso come soggetto politico privilegiato che
avocava a sé il compito di esprimere e rappresentare
la classe operaia, Sante traduceva nella prassi il significato
etimologico della parola “partito” (= parte di qualche
cosa), mostrando una profonda coerenza verso una delle più
genuine concezioni libertarie della politica: quella che identifica
il partito con una minoranza agente all'interno della
classe e in grado di favorire, come un “lievito vivificatore”,
il processo di fermentazione teso alla conquista di più
ampie libertà sociali.
Sostenne perciò l'USI (Unione Sindacale Italiana), l'organizzazione
libertaria dei ferrovieri, la FAI (Federazione Anarchica Italiana),
il quotidiano anarchico “Umanità Nova” fondato
nel 1920 e le tante riviste libertarie tra cui “Pensiero
e Volontà”, il cui direttore, Enrico Malatesta,
Sante tanto amava. L'influenza del pensiero libertario aveva
certo lasciato qualche traccia anche ad Altamura, se ci si riferisce,
come ricorda Sante, all'esperienza dei circoli “Libero
Pensiero” e “Leone Tolstoj”. La militanza
di Sante Cannito, sia sotto il regime fascista che nelle fasi
cruenti della liberazione, dovette essere del tutto particolare.
Nonostante i rapporti con Tommaso Fiore e con altri antifascisti
e socialisti, pian piano egli restò, almeno in alcuni
periodi, quasi isolato, ma non certo a causa delle sue idee,
piuttosto perché era difficile per lui legarsi a partiti
di cui non condivideva affatto l'organizzazione gerarchica interna
e i metodi di lotta.
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Altamura
(Ba) - La targa in ricordo di Sante Cannito |
L'ostinazione di Sante Cannito aveva avuto ancora una volta
ragione negli anni 70, quando sull'onda delle lotte operaie
e studentesche anche ad Altamura si registrava, tra le altre
realtà, una presenza anarchica organizzata. Sante visse
una nuova giovinezza. Partecipava al lavoro e alle discussioni
con tale entusiasmo che noi, allora giovanissimi, lo ascoltavamo
con piacere parlare per ore. La sua estrema disponibilità
al dialogo, il senso di rispetto e di tolleranza che manifestava
con semplicità di fronte agli interlocutori più
diversi, contribuivano a frangere il conformismo delle distanze
culturali e, soprattutto, l'oggettiva differenza degli anni.
Ci si dimenticava, in sua presenza, di stare insieme ad un uomo
la cui età comprendeva quattro o cinque volte la nostra;
e si riusciva a comunicare con lui, senza difficoltà,
ogni argomento, ogni passione.
Sante Cannito amava la vita disperatamente. Forse per questo
la sua improvvisa scomparsa, avvenuta il 4 maggio 1994, all'età
di 96 anni, mentre era ospite di suo nipote a Isernia, ha lasciato,
a quanti lo hanno amato, un vuoto vero e incolmabile.
Piero Castoro
Tratto dall'introduzione: (a cura di Piero Castoro) Sante Cannito, Frammenti di storia altamurana, Torre di nebbia edizioni, Matera, 1994.
Roma/
Un incontro tra riviste
C'era anche la nostra rivista al “Best Off 2019”, appuntamento organizzato a Roma lo scorso 8 giugno dalla casa editrice Minimum Fax e dedicato alle riviste off, quelle indipendenti, politicamente e culturalmente impegnate. Noi di “A” abbiamo accolto il loro invito e preso parte al primo dei due dibattiti previsti, quello dedicato al rapporto tra le riviste e la disobbedienza, la cultura e l'impegno civile.
Diverse le domande che ci sono state rivolte, prima fra tutte: qual è il senso di produrre una rivista oggi? Una domanda, quella sul significato di fare una rivista cartacea, mensile, nei tempi della rete e della velocità, che ci viene rivolta spesso.
”Le ragioni per pubblicare una rivista oggi” ha detto Carlotta Pedrazzini, nostra redattrice che ha partecipato al dibattito “sono le stesse che da secoli spingono gli esseri umani a produrre periodici. Le riviste continuano a essere prodotti informativi e culturali, ma soprattutto relazionali. Attorno ad esse si tessono relazioni e si creano comunità. La loro funzione aggregativa è fondamentale, soprattutto in un momento storico come questo, caratterizzato da atomismi e individualismo.
Inoltre le riviste sono da sempre il luogo della riflessione, sia per la loro forma – la periodicità favorisce un approccio più lento, lasciando alle lettrici e ai lettori il tempo per riflettere – sia per il contenuto – maggiormente approfondito. E questo le rende importanti soprattutto oggi che dal punto di vista culturale e informativo assistiamo a un paradosso: grazie alla rete abbiamo potenzialmente accesso a tutte le informazioni e alla cultura del mondo, ma siamo profondamente ignoranti. Ciò è dovuto alla velocità in cui siamo immersi, che è indissolubilmente legata alla superficialità. Le riviste, con il loro approccio più lento e il loro contenuto più approfondito, possono essere un buon antidoto.”
Al dibattito erano presenti anche le riviste “Scomodo”, “Not”, “La Nuova Verde”. Ha moderato la chiacchierata Nicola Villa della rivista “Gli Asini”.
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Roma, 8 giugno 2019 - Il dibattito presso la terrazza della sede della casa editrice Minimum Fax |
Svizzera/
Lo sciopero nazionale delle donne
Oggi, venerdì 14 giugno 2019, le donne di tutto il paese
si stanno mobilitando 28 anni dopo la prima manifestazione del
1991, quando 500'000 persone erano già scese in strada
per combattere il sessismo, le disuguaglianze e le violenze
contro le donne. Questo momento storico coincide con la necessità
di un nuovo slancio nella lotta alla parità tra uomini
e donne, realtà purtoppo ancora lontana oggi.
Le principali rivendicazioni delle donne in Svizzera sono:
- Parità retributiva
- Equità delle rendite sociali
- Riconoscenza del lavoro domestico
- Riduzione del tempo di lavoro
- Sviluppo dell'accoglienza dei bambini e delle bambine
- Libertà sessuale
- Lotta alla violenza fisica e sessista
- Riforma della scuola
- Rifiuto del modello patriarcale
Queste richieste sono confermate dai dati statistici pubblicati
nel 2019 (www.statistique.ch)
che evidenziano le forti disparità tra uomini e donne
presenti nel paese. Queste hanno meno libertà nelle loro
scelte professionali, subiscono una disparità retributiva
che può superare il 20%, lavorano nella precarietà
che scontano poi all'età della pensione, non possono
ambire a posizioni dirigenziali nelle imprese e subiscono violenze
domestiche.
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Berna (Svizzera), 14 giugno 2019 - La manifestazione nella piazza Federale |
La Svizzera non è un modello per quanto riguarda i diritti
delle donne. Infatti, gli uomini hanno concesso loro il diritto
al voto solo nel 1971. Il principio di uguaglianza tra donne
e uomini è stato introdotto nella Costituzione soltanto
nel 1981. La disposizione del diritto matrimoniale secondo cui
l'uomo è il capofamiglia e la donna responsabile dei
compiti domestici scompare solo nel 1988.
Inoltre, uno studio pubblicato nel 2016 sulle disuguaglianze
tra i generi all'Università di Ginevra, realizzato dall'Osservatorio
universitario dell'impiego, mostra come la disparità
retributiva sia del 14.7% a favore degli uomini. Ma è
ancor più significativo che tale disparità accresca
con l'aumentare dei salari. Le posizioni dominanti sono riservate
agli uomini, sia nell'amministrazione che nella ricerca accademica
stessa. Il numero di lauree rilasciate conferma la disparità
tra i sessi poiché gli uomini laureati sono pari al 77,5%
mentre le donne sono pari al 62,5%. Tale differenza aumenta
col numero di dottorati rilasciati (64,4% contro 41,8%).
La disuguaglianza tra le donne e gli uomini non riguarda ovviamente
solo la Svizzera. Il Global Gender Gap Report 2018 del
World Economic Forum (WEF) mostra quanto siano timidi
i progressi nell'affrontare la disuguaglianza di genere nel
mondo. Secondo l'economista Robert Cotti, cofirmatario del rapporto,
«rimane ancora molto da fare: solo l'istruzione e la salute
sono vicine a risolvere il divario con un tasso di uguaglianza
di genere rispettivamente del 96% e del 95%. Ma nei settori
dell'economia (59%) e della politica (22%), rimane uno scarto
molto importante. A questo ritmo, stimiamo il numero di anni
per colmare la distanza all'età di 108 anni, a 202 anni
a livello economico, a 107 anni a livello politico, tutto ciò
analizzando l'evoluzione degli ultimi 10 anni.»
La classifica finale evidenzia, senza molte sorprese, come i
paesi più paritari siano i nordici, con l'Islanda prima,
seguita dalla Norvegia, dalla Svezia e dalla Finlandia. La Svizzera
si ritrova al ventesimo posto, lontana da paesi inaspettati
come il Nicaragua (5°), il Ruanda (6°) o la Namibia
(10°), mentre Francia (48°) e Italia (74°) fanno
molto peggio.
La copertina annunciata oggi stesso da Charlie Hebdo
per il numero in uscita e dedicata al Mondiale di calcio femminile
in corso, torneo che sta riscuotendo un gran successo di pubblico
e mediatico, dimostra quanto sia impervio il cammino per le
donne che lottano per la parità tra i sessi. La donna
nuda con il pallone incastrato nella vagina che si vede nella
vignetta e il commento che la accompagna, «Ne mangeremo
per un mese»1
ne sono la prova inconfutabile. La satira di Charlie Hebdo denuncia
i pregiudizi arcaici e sessisti, la mentalità ottusa
e maschilista contro i quali le donne devono combattere quotidianamente.
Paolo Attanasio
1. Espressione che si
può tradurre con «sopportare le donne fino all'esaurimento».
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