musica
Rock e rituali
intervista di Tobia D'Onofrio a François-Régis Cambuzat
Cosa accade quando la musica degli antichi
rituali di possessione del deserto tunisino incontra l'elettricità
del rock? Il musicistra François-Régis Cambuzat
racconta il progetto Ifriqiyya Electrique.
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Il
gruppo Ifriqiyya Electrique in concerto |
Su un manifesto una
donna incinta completamente nuda guarda l'occhio della fotocamera
dall'alto verso il basso, con sorriso lievemente beffardo. Tra
le mani stringe un fucile che le taglia orizzontalmente la figura
coprendole l'inguine. In alto una scritta: “L'Enfance
Rouge”, l'infanzia rossa. La foto è in bianco e
nero, ma avvicinandosi un pochino si nota che lo sfondo è
composto da minuscole scritte: un lungo testo invita a boicottare
una serie di aziende raccontando i crimini di cui si sono macchiate.
Corre l'anno 2000, non siamo su Wikileaks, e nella parte bassa
dell'immagine si legge “En concert”. Perché
di un concerto si tratta, in fondo, quello del duo che per anni
ha rappresentato un vero e proprio culto per molti appassionati
di rock “altro”: François-Régis Cambuzat
e Chiara Locardi, immortalata nello scatto.
François è un artista che ha scelto di abbandonare
i riflettori per inabissarsi nell'underground, da ormai quasi
trent'anni, e cita tra le sue letture preferite la bibliografia
di Daniel Guérin.
A 17 anni, negli anni '80, è sul palco del Blue Note
a New York con Dizzie Gillespie. Si trasferisce a Berlino e
lavora al Gran Teatro Amaro che coinvolge anche Luciano Berio,
poi a Londra e Roma, dove da frontman della garage band Kim
Squad firma un contratto discografico con la Virgin e viene
invitato in tv da Renzo Arbore. Ma sono gli ultimi passi nel
mondo del mainstream e dopo una parentesi da chansonnier, si
cala nei circuiti sotterranei, con il nome di Les Enfants Rouges,
i bambini rossi, appunto, che sfoderano una serie di meravigliosi
album rigorosamente autoprodotti, tranne quello del '98 “concesso”
al Consorzio Produttori Indipendenti.
Avant-rock è l'unica definizione possibile, o post-rock,
per i dischi usciti dal 1995, dopo l'ultimo passaggio in tv
da Red Ronnie con un folk noir romantico e introverso. A questo
punto il campo di battaglia del duo diventa la frenetica attività
live, con tour intercontinentali di circa 200 date all'anno.
E con l'ingresso in formazione di Jacopo Andreini il progetto
cambia nome in L'Enfance Rouge accasandosi presso la Wallace
Records fino al 2011. Poi François inizia a far emergere
la sua fascinazione per le culture sciamaniche e forma il Putan
Club in preda alla voglia di ballare, anche in compagnia di
leggende come Lydia Lunch, icona punk/goth del '77 newyorkese.
Sono questi gli anni del sodalizio con la bassista Gianna
Greco con la quale nel 2011 si ritrova nel mezzo della Primavera
tunisina. Poi saltano fuori nuovi progetti come il documentario
Trans-Aeolian Transmission nell'Estremo Oriente e infine l'ultima
incarnazione di Ifriqiyya Electrique, l'Africa Elettrica, in
un incontro che ha dell'incredibile con i musicisti dei rituali
adorcisti (di possessione) del deserto della Tunisia.
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Il
gruppo Ifriqiyya Electrique. Da sinistra, Boualem
Fedel,
François Cambuzat, Simoh Bouchra e Gianna Greco
Foto di Carlo Mazzotta |
Tobia – Le cerimonie tradizionali sono ancora
praticate?
François – Assolutamente sì, altrimenti
non ci saremmo andati. Era soprattutto l'elemento aggregativo
che ci interessava; il fatto che questa musica fosse al servizio
della comunità e avesse una vera funzione sociale. Il
lato terapeutico è sicuramente il suo scopo ultimo, ma
ci incuriosivano i “perché” e i “come”.
Detto questo, nessuno è stupido nel deserto: tutti sanno
che per un'appendicite devi andare all'ospedale.
Abbiamo una lunga relazione d'affetto con la Tunisia. La nostra
famiglia adottiva è a Tourbet el Bey. È uno dei
pochissimi posti al mondo in cui stiamo bene: niente auto, una
popolazione colta, femminismo militante, una medina di una bellezza
mozzafiato. Inoltre, i tunisini hanno fatto una rivoluzione,
loro.
Conoscevamo lo stambeli, il rituale musicale-terapeutico
impiantato da popolazioni provenienti dall'Africa subsahariana
che mischiava musica, danza e canzoni, durante il quale alcuni
partecipanti entravano in transe incarnando entità soprannaturali.
Nel 2015 abbiamo deciso di capirne di più. Abbiamo incontrato
la scena dello stambeli urbano di Tunisi, tra cui Bellassan
Mihoub. Dopo aver divorato il suo libro Stambeli: Musica,
Transe e Alterità in Tunisia, abbiamo contattato
Richard Jankowsky, un etnologo che ha trascorso in quelle zone
più di dieci anni, ma siamo rimasti delusi: secondo noi,
lo stambeli non ha più una funzione sociale. È
uno spettacolo bellissimo, ma è teatralizzato.
Poi la fortuna ha voluto che incontrassimo la ricercatrice Amel
Fargi che ci ha parlato del rituale della Banga nel deserto
del Djerid tra Nefta, Tozeur e Metlaoui. Ci ha invitato al raduno
annuale che si teneva durante l'estate del 2015 ed è
stato uno schiaffo: niente teatro, niente pubblico, ma una massa
compatta. Nel cortile, i rûwâhîne (spiriti)
invitati possiedono e torcono i corpi della comunità:
gli adolescenti rotolano a terra, inarcando le gambe, lo sguardo
perso; le ragazze lottano, forzando e accelerando i ritmi dei
tamburi; le donne urlano senza essere in grado di coprire l'implacabilità
delle percussioni metalliche; l'acqua schizza, vola in schiaffi,
mentre il fumo del benzoino copre le nostre vite.
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Il
gruppo Ifriqiyya Electrique, un momento di un concerto
Foto di Bartek Muracki |
Adorcismo significa che il tuo demone personale possiede il
tuo essere. Regolarmente chiederà il tuo corpo, ne avrà
un bisogno irresistibile quando ti senti male e infelice. La
comunità della Banga quindi arriva, portando il fuoco
per portarti nel tuo lato più selvaggio in un crescendo
frenetico fino alla perdita totale dei sensi. È un rituale
terapeutico, di possessione e transe, in un sincretismo sviluppatosi
tra l'Islam e alcune tradizioni animiste. Si pratica nei marabout,
ma soprattutto in case private e per strada.
Nelle oasi del sud della Tunisia, punti di sosta per il commercio
di carovane, gli schiavi neri erano impiegati nei servizi domestici
e nella produzione agraria. Sidi Marzûg (il santo nero),
originario dell'Africa subsahariana, fu in un primo momento
schiavo di Sidi Bou Ali (il santo bianco), celebre mistico sufi
installatosi a Nefta nel XIII secolo. In seguito ai prodigi
compiuti, il suo maestro avrebbe restituito a Sidi Marzûg
la libertà, comprovando la sua santità. Le comunità
nere di Tozeur, Nefta e Metlaoui lo commemorano attraverso un
rituale festivo e sacrificale, la Banga, che pratica l'adorcismo.
L'attuale santuario che ospita il catafalco del santo si trova
nella periferia della città di Nefta.
Gianna e io viviamo a Tozeur e la nostra casa è poco
più di una rovina, ma a 100 metri dalla comunità
che presto diventerà la nostra famiglia. Seguiamo tutti
i rituali, spesso chiamati all'ultimo minuto per aiutare/curare
una persona, una famiglia bisognosa. Ci siamo persi per mesi,
registrando, filmando, lavorando e componendo con i musicisti
della comunità. Facendo innanzitutto comunicare i demoni
con i computer, poi con le chitarre elettriche, per ricomporre
insieme questo rituale di possessione. Rispetto alla musica
dello Xinjiang, questa volta eravamo in quasi totale libertà
di composizione armonica, perché la Banga suona senza
strumenti melodici.
Avevamo giurato di non pubblicare mai più album discografici,
ma tutto si è impennato. Quando a giugno 2016 abbiamo
messo su Youtube i primi estratti del film, siamo stati immediatamente
contattati da diversi festival prestigiosi. Poi Chris Eckman
della Gitterbeat Records ci ha proposto una pubblicazione. Dopo
aver riflettuto, abbiamo accettato, decidendo che tutti i guadagni
sarebbero andati a Mr. Hassan, il muqqadem della Banga.
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Tunisia - Alcuni momenti dei rituali di possessione |
Il primo concerto si è svolto a giugno 2016 nella piazza
principale di Nefta. Poi la voce si è sparsa e siamo
stati invitati dai più importanti festival del mondo:
Roskilde, Sziget, Vieilles Charrues, Womad, Womex, FMM Sines,
Offest, Pohoda, Ostrava, Plai, Notte della Taranta, Ariano FF,
ecc. “Rûwâhîne”, il primo album
dell'Ifriqiyya Electrique, è stato pubblicato nel 2017
e catalogato come rock primordiale/pogo primitivo/rituale adorcista
& post-industriale. “Laylet el Booree”, il secondo,
è stato pubblicato ad aprile 2019.
Rispetto ai progetti precedenti, in cui emergeva sempre la
cifra antagonista, dove la troviamo in Ifriqiyya Electrique?
Per cominciare, crediamo che in occidente, dopo il crollo del
muro, il nuovo nemico dichiarato sia diventato l'Islam. Dunque,
da questa parte del mondo, ogni progetto insieme a musulmani
potrebbe essere considerato antagonista di per sé. Se
invece lo guardi dalla prospettiva di un paese sunnita, eseguire
canti religiosi con computer e chitarre pesantemente elettriche
risulta fortemente provocatorio, se non addirittura “contro”.
Infine, il fatto che tutto questo sia stato iniziato da atei,
potrebbe essere il tratto che denota una certa libertà
di pensiero e un certo rispetto. In questo senso, la cifra antagonista
è meno visibile, più subdola, forse, ma crediamo
sia molto più efficace.
Come scrive Gianni De Martino nella nota del curatore alla
prima edizione del Saggio Sulla Transe di Georges Lapassade
(Feltrinelli, 1980): “In effetti, le rivoluzioni storiche
presentano tutti i caratteri della transe collettiva. Non si
tratta di una transe ritualizzata come la si può incontrare
nella macumba, nel vodu o nelle altre istituzioni della transe
di origine africana. [...] È l'effervescenza collettiva
per così dire allo stato puro: senza istituzionalizzazione
visibile. [...] Esiste, infatti, dal punto di vista di ciò
che Marx chiama transizione, un nesso “sotterraneo”
tra il corpo in transe e il corpo sociale in effervescenza.
Ma è solo nei periodi rivoluzionari della storia che
esso si manifesta: quando i corpi asserviti si liberano, quando
- come ha mostrato Boris Souvarine, nella sua descrizione del
primo momento dell'insurrezione in Russia - le riserve di energia
rivoluzionaria a lungo compresse fanno irruzione su tutti i
punti, senza piano né parole d'ordine. La rivoluzione
è una transe sociale”.
Tobia D'Onofrio
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