“Saperci muovere e viaggiare, accogliere il nuovo”
intervista a Patrizia Laquidara
“Maria Pani, Maria Perda, Maria Pezza. Maria Manidipietra,
assunta in terra.
Facci tu una carezza, Maria Blenda.
Santa Maria Minerale, Dura Madre, facci carezze con le tue mani
belle, con le tue mani molli e profumate. Carezze a tutti gli
uomini ostinati, che ne hanno bisogno.
Ora che nella terra non c'è niente. Ora che la miniera
è in fondo a noi.”
Con questa giaculatoria si chiude uno dei racconti più
significativi di Bruno Tognolini, “Madre nostra Maria
Minerale.”
La dura condizione delle donne ai lavatoi delle miniere, le
cernitrici, il sacrificio, la fatica, il dolore, l'amore, le
rinunce, la rinuncia all'amore stesso, l'anelito alla mutazione
che solo il mondo fiabesco o quello del mito potrebbe accogliere
(in questo caso si tratta delle Janas della Sardegna).
Una giaculatoria che svela la potenza salvifica delle parole
destinate a guarire, a trasformare le avversità, ad alleviare
le sofferenze e che pone in risalto l'affascinante e misterioso
lavoro di quelle donne che, con fatica e tenacia, esorcizzano
distanze e attese costruendo un ponte tra la ricerca, lo studio
e l'ascolto della parola e la trasmissione poetica e sonora
delle trame orali e del senso che esse racchiudono.
Abile tessitrice penelopiana e portatrice sana di giaculatorie
salvifiche lo è sicuramente Patrizia Laquidara, cantautrice
e voce “misterica”.
Gerry – Patrizia, quante hai dovuto “sentirne”
per poi “cantarne”?
Patrizia – Più che sentirle penso a un altro
verbo che ha a che fare col vivere. E di avventure ne ho vissute
tante in questi anni.
Per quanto tu abbia sperimentato linguaggi e progetti
diversi, forse possiamo dire che da sempre canti perché
“ora che nella terra non c'è niente...”
Due album fa cantavo una canzone (Nuove confusioni) dove
dicevo: “È un immenso gioco in strada, di penisole
e di terra, lo specchiarsi di continuo. Crocevia di strane genti,
le parole senza peso, rimandare i gesti ad altro ho un po' di
cielo in spalla, sotto i piedi solo terra, l'orizzonte è
quasi aria, sotto i piedi terra calda.” Accennavo alla
sensazione di disordine mondiale, di inquietudine a cui assistevo.
E nonostante io affermassi, in quella canzone, che non ha più
nessun potere la parola sulla Terra, penso invece che nella
terra ci siano tante cose e che queste cose necessitino di cura,
di essere viste e di essere salvate.
Se dovessimo parlare di radici che si rinnovano nei
luoghi in cui viviamo e di identità che si dissolvono,
svelando le molteplici e non demagogiche “appartenenze”,
le tue coordinate siculo-venete potrebbero essere una risorsa
per un trattato antroposociale che confuterebbe in maniera ineccepibile
la deriva etno-securitaria che stiamo vivendo, o meglio dire
subendo.
So di poter dire, in questo momento della mia vita, che proprio
queste due coordinate siano oggi una grande risorsa per me.
Una risorsa umana ma anche creativa. Un modo altro di guardare
il mondo, una finestra aperta su scorci che non avrei saputo
vedere se non avessi sentito sulla mia pelle, anzi nella mia
carne, queste due radici. E le ho sentite in maniera tanto forte
che è stato necessario mescolarle, e ancor di più
sradicarle a volte, per ripiantarle su un terreno diverso, innestarle
l'una nell'altra in una continua ricerca di un'identità,
la mia.
Sento in me i monti materni e il mare paterno e questo è
ciò che ho di più caro e in questo sentire tanto
della mia personalità si è formata, nutrita ed
espansa.
Proprio oggi leggevo un libro incantevole di Romain Gray, che
scrive: “Amo tutti i popoli, ma nessuna nazione. Sono
un patriota, non un nazionalista. Che differenza c'è?
Il patriottismo è amare la propria gente, il nazionalismo
è odiare gli altri.”
Trovo inquietante, triste, pericoloso per tutti questa crescente
ondata di nazionalismo a cui stiamo assistendo, o meglio, come
dici tu, subendo.
A dispetto del fragilissimo e stucchevole mito del
Nordest, miseramente sgretolato dalle miserie umane e dalle
falle economiche, hai scelto Luna Nordestina per simboleggiare
il tuo progetto artistico.
Credo di avere riassunto bene ciò che per me è
il Nordest in cui vivo, in una canzone che si intitola Nordestereofonico.
Proprio lì parlo di questo territorio come di un luogo
che racchiude in sé aspetti tanto differenti, quasi come
fossi davanti a uno stereo che da destra e sinistra rimanda
suoni diversi che si mescolano. Del Nordest sono abituata a
vedere i capannoni e la distruzione quasi seriale di un territorio,
ma vedo anche i monti, le montagne, gli ossari, quei veri e
propri musei all'aperto dove i partigiani hanno combattuto.
Vedo la durezza e la chiusura di un luogo e allo stesso tempo
sento il mare di Venezia, che è stata città di
scambi, assisto al rito dell'aperitivo euforico per transitare
fino a un altro giorno”, ma ho conosciuto leggende antiche
che mi hanno permesso di fare un disco su una di queste figure
mitologiche che ha come emblema la riflessione sul tema del
desiderio e ciò che meglio contribuisce a coltivarlo
e nutrirlo.
“Un dono cantato alla mia terra d'adozione.
Perché si sappia che in Veneto c'è anche questo.
In questo disco si parla di identità. Un'identità
che non è fissa e immobile come vogliono farci credere.
Ma, anzi, un'identità che si sposta, viaggia. Perché
le culture popolari sono bastarde, meticce, migranti, impure,
cacciatrici di miti. Viaggiano, si mischiano, si abbracciano
e fanno nascere nuove culture, a volte anche con violenza. La
lingua e la musica davvero contengono sempre e comunque le tracce
di altri popoli. Il noi e il voi non esiste. Esiste il noi...”
Con Il canto dell'anguana
eri già stata ampiamente chiara. Raccontaci quel tuo
momento così fulgido, nitido, così fertile.
Nella scorsa domanda ho accennato a questo disco Il canto
dell'anguana. È un album che mi ha dato la possibilità
di riflettere sul territorio che abito. Una riflessione che
è diventata un disco monografico e che poi ha avuto una
scia, come dicevo prima, in Nordestereofonico, canzone
presente invece nel mio ultimo album.
Io il Nordest l'ho cantato perché non è stato
facile il trasferimento dalla Sicilia al Veneto.
Da piccola ho vissuto questa esperienza come una vera e propria
deportazione. Pensa solo che per un anno intero ho balbettato.
E proprio perché non è stato facile, (tra l'altro
in quegli anni c'era molto razzismo, razzismo vero, nei confronti
dei meridionali) ad un certo punto ho sentito che volevo cantare
questa terra. C'è un detto che dice “una terra
può essere vissuta e amata solo dopo che l'hai cantata”.
E quindi Il canto dell'anguana è stato anche tutto
questo, un atto d'amore tardivo ma necessario.
La Sicilia, invece, come si è sedimentata
in te, con quale trama tessi la distanza e, semmai, la presenza
e l'attesa di quella terra.
In Sicilia ci torno sempre più spesso, e negli anni ho
collaborato spesso con artisti dell'isola. Penso a Tony Canto
che è stato un mio collaboratore in tanti dischi, ma
anche Mario Venuti, Kaballa, che hanno scritto per me Per
Causa d'amore o Paolo Buonvino con cui ho scritto Noite
Luar. Ma penso anche ai Lautari, a Carmen Consoli che ha
sempre dimostrato stima e sostegno nei miei confronti.
La trama con cui tesso la distanza fisica con la Sicilia è
la scrittura. Da ormai un po' di tempo scrivo racconti che diventeranno
presto un libro.
In questi racconti, che sono i ricordi di quella bambina che
sono stata, è davvero molto presente la Sicilia in maniera
imponente e potente.
Riprendo il racconto di Tognolini: “Maria Pani
venne presa dalle Janas cinque anni dopo. In quei cinque anni
era passata dalla griglia all'insaccamento, sempre su sua richiesta:
era stufa di starsene all'aperto, esposta alle intemperie. Ma
anche al coperto si accorse presto che meglio non era: riempire
sacchi da ottanta chili di minerale e caricarli sul camion in
due era cosa da schiantare chiunque. E se i chili non erano
ottanta, alla pesa il sorvegliante sgridava. Ma Maria Manidipietra
non schiattò: divenne ancora più forte, più
tarchiata e più brutta, con mani come le pale della ruspa.
Aveva smesso di cercare il suo adorato, o qualche suo brano,
fra i minerali rotti che passavano sui nastri.”
Ecco, da quale “cernita” della tua vita prende
forma C'è qui qualcosa che ti riguarda, il tuo
nuovo viaggio poetico-sonoro?
Mi riconosco in ciò che c'è scritto su Maria Manidipietra.
Mi riconosco in quel suo non demordere, non “schiattare”,
in quel suo diventare più forte, in quel suo portare
pesi e scavare dentro la terra, quelle zone scure, che in maniera
simbolica rappresentano anche le zone scure dell'anima, quelle
zone di scarto in cui a volte è necessario calarsi per
trasformare la materia grezza, ciò che è putrefatto
e che quindi ci fa male, in oro.
Tutto questo non è altro che l'addentrarsi nell'ombra
per poi riemergere alla luce.
Ecco credo che C'è qui qualcosa che ti riguarda
arrivi proprio da quell'immersione, dopo un lungo processo in
cui la cernita è stata gettare il superfluo, cercare
le parole più adatte, i suoni più veri anche se
questo voleva dire a volte rinunciare alla sicurezza di una
voce forse più prestante o ammaliante per mostrarsi nuda,
con le proprie fragilità, scrivendo ciò che è
stato e ciò che si è, senza scuse né nascondigli.
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Copertina di C'è qui qualcosa che ti riguarda |
Raccontaci meglio nel dettaglio questo tuo nuovo
capitolo, i temi, le storie, gli stati d'animo, i compagni di
viaggio, del disco e le collaborazioni.
È stato un disco che ho covato a lungo, per cui mi sono
messa in discussione, per cui ho pianto. Penso per esempio a
quando credevo di non avere nulla da dire, niente da dichiarare.
Ma poi le canzoni sono arrivate all'improvviso, come la gallina
che cova dentro di sé le uova, che sono già formate
da tempo e che necessitano solo di venire alla luce. Ecco quindi
che le canzoni, le storie sono arrivate quando volevano loro
e io ero lì, pronta a partorirle, così com'erano.
Perché tante delle canzoni dell'album sono arrivate come
se già fossero state scritte e io dovevo solo metterle
su carta o suonarle. Soltanto dopo mi sono accorta che c'erano
due temi centrali in questo disco che sono il femminile e la
trasformazione.
Tante storie di donne, di donne ritratte nel quotidiano oppure
donne totem, che rinascono dalle sconfitte, oppure il femminile
rappresentato da una grande madre, che ci può nutrire
come anche soffocare. Ecco, credo che questo disco sia soprattutto
il mio omaggio al femminile e a ciò che esso rappresenta
per la nostra società e umanità in questo momento.
E quando canto “lì dove credi che tutto finisca,
lì si ricomincia”, parlo di un nuovo mondo che
avanza, che arriva proprio da dove noi non abbiamo guardato,
da dove non ci aspettavamo. Tutto questo si riferisce chiaramente
a un mondo nuovo dentro di noi ma anche in maniera più
ampia e universale a tutto ciò che sta accadendo oggi
in Europa, all'Africa. L'invito a guardare, a guardare davvero
lì dove non abbiamo mai guardato.
In questo disco la collaborazione più importante è
stata sicuramente quella con Alfonso Santimone, il produttore
artistico, mio compagno da dieci anni, che ha reso tutto quel
materiale sonoro diverso, eterogeneo, e gli ha dato una identità,
ha saputo creare una visione sonora e artistica, ha dato insomma
un suono al disco.
E lui, essendo artista di vasta cultura, e musicista di una
certa genialità era l'unico che potesse raccogliere tutto
quel materiale così vario e vasto e dargli compattezza.
Ha saputo creare un disco a più dimensioni, che ad ogni
ascolto rivela un mistero, un particolare diverso che prima
non avevi sentito. Un disco moderno che suona classico. E poi
ci sono state le collaborazioni con Joe Barbieri, con Luca Gemma,
con Tony Canto coi miei musicisti a cui devo moltissimo perché
sono compagni di viaggio essenziali per me.
Senza dimenticare il mio pubblico, che mi ha sostenuto nella
campagna di Crowdfunding con una generosità e un coinvolgimento
commovente per me.
A proposito di custode della parola, provo a definirti
così, ti stai dedicando anche alla scrittura da un punto
di vista letterario. Che tipo di progetto sarà?
Come ho già accennato prima, sarà un libro di
racconti che potrebbero però facilmente diventare un
romanzo. Quando ho cominciato a scrivere avevo davvero la sensazione
forte di essere una custode, una custode delle impronte di chi
era passato su questa terra prima di me.
Mi riferisco ai miei avi ma anche a quell'Italia “antica”
che noi abbiamo sfiorato anche se non vissuto, ma che abbiamo
visto e sentito. Ecco, questi racconti sono storie che danno
una visione di quell'Italia ma non solo, danno voce a chi è
arrivato e vissuto prima di me e poi a quella bambina che sono
stata e che ad un certo punto si è trasferita con la
sua famiglia dalla Sicilia al nord.
Parla di quei viaggi interminabili in sei su una 127, di quella
bambina che vede la realtà così come è
e la trasforma dentro di sé con una visione favolistica
di ciò che la circonda. Perché se tutti noi abbiamo
avuto il dono di un tempo favoloso quello è stato grazie
all'infanzia.
Chiudo ancora con la Maria Minerale di Tognolini:
“Maria Pani pervase la montagna. S'era compiuta in lei
la mutazione. Intrise di sé ogni grano di roccia, ogni
ruga, ogni faglia, per un raggio di miglia all'intorno. Fu scisto,
basalto, granito, steatite nel Monte Arci, calcàre del
Monte Albo, ossidiana nel Monte Gonare. Fu effige di donna impietrita,
negli affioramenti: Madre Mediterranea steatopigica, Maria Pietra
dell'antica fiaba sarda, statua di lutto nei camposanti, madonna
ingioiellata che tentenna nelle processioni.
E fu Jana che ride spavalda con le sue compagne, con la gonna
sgargiante a piegoline che lampeggia un istante agli occhi del
mondo, e poi scompare.”
Cos'è quel “qualcosa che ci riguarda”,
Patrizia, in questi strani tempi che ci pervadono? A quale mutazione
dovremmo anelare? E soprattutto, ti piacciono le gonne sgargianti
a piegoline?
Mi piacciono le gonne in genere, tanto meglio se sono sgargianti,
ampie, morbide, da gitana.
Mi sento cosi, una gitana. Mi piace affacciarmi su altro, mi
piacciono i gitani, i popoli nomadi, e forse, se a qualcosa
dovremo anelare è proprio il saperci muovere e viaggiare,
accogliere il nuovo, il diverso, dentro, fuori, non difenderci
dietro a prese di posizione che nel tempo e nella storia si
sono sempre rivelate mortifere.
Contatti: www.patrizialaquidara.it/official/
Gerry Ferrara
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