società
Genitori non si nasce
di Daniela Mallardi foto di Veronica Dalla Valle De Toni di “Non Una Di Meno” di Vicenza
La “famiglia naturale” non esiste. E la genitorialità non attiene all'ambito della natura, ma a quello della scelta e dell'assunzione di responsabilità. Una riflessione su ciò che la psicoanalisi può dirci sulla famiglia e sulle sue diverse configurazioni.
Dal 29 al 31 marzo 2019, si è
tenuto a Verona il Congresso Mondiale delle Famiglie (World
Congress of Families, WCF), un evento pubblico internazionale
che si è posto come obiettivo quello di “unire
e far collaborare leader, organizzazioni e famiglie per affermare,
celebrare e difendere la famiglia naturale come sola unità
stabile e fondamentale della società”. L'impatto
mediatico del Congresso è stato notevole. Anche la scrittrice
Dacia Maraini si è espressa a proposito definendo la
kermesse nient'altro che un'inquietante teatralizzazione di
fantasmi fascisti.
Ma esiste la “famiglia naturale”? Come si articola
il discorso della genitorialità nel rapporto natura-cultura?
E soprattutto che cosa la psicoanalisi può dire circa
la famiglia e le sue diverse configurazioni?
Partiamo da una premessa d'ordine generale: non si può
assolutamente parlare di famiglia “naturale”; tale
posizione dipende dalla convinzione che esista una sola natura
cui appartenere, quella umana, e che l'unica differenza sia
quella fra maschile e femminile.
Che la procrezione rimandi al registro biologico e passi necessariamente
dall'incrocio tra gameti maschili e femminili è un dato
inconfutabile (sebbene la stessa procreazione sia ormai sganciata
dalla nozione di naturalità con la contraccezione da
un lato e la fecondazione artificiale dall'altro). Risulta,
però, altrettanto inconfutabile quanto la genitorialità
possa essere costruita anche “dopo la nascita” poiché
ogni famiglia prevede una propria organizzazione interna che
disciplina e regolamenta i rapporti tra i soggetti che la compongono.
La logica sottostante alla famiglia naturale è stata
storicamente segnata dall'idea del matrimonio, in quanto istituto
giuridicamente normato, come unione tra maschio e femmina. Ma
la famiglia è una costruzione sociale mutevole nel tempo
e nello spazio. Ed è lo stesso cristianesimo a testimoniarlo.
Il teologo André Wénin, sottolinea quanto nei
racconti biblici non si rintracci una singola linearità
di famiglia, bensì una pluralità di sue geometrie:
dalla coppia “classica” di Abramo e Sara, passando
per la parentela allargata di Giacobbe, fino ad arrivare al
nucleo monoparentale di Agar e Ismael (senza contare gli episodi
di adulterio, incesto e stupro) lo sguardo è difatti
molto lontano dal proporre l'ideale della “sacra famiglia”.
D'altronde di Gesù, Giuseppe risulta essere padre putativo
e Maria madre surrogata, senza tuttavia che questo impedisca
all'uno e all'altra di assumersi la funzione genitoriale, ovvero
di scegliere di crescere un figlio come fosse biologicamente
proprio. Il concepimento di Gesù – proprio perché
non avvenuto dall'effettiva unione tra Giuseppe e Maria –
risulta essere artificiale e non “naturale”.
La famiglia è rappresentabile quindi non come luogo di
generazione (non solo almeno) bensì come luogo di trasmissione.
Trasmissione di cosa? Della storia delle persone che l'hanno
fondata, degli affetti, della cultura, del patto di accordo
nel “dare spazio” a un figlio. La non obbligatorietà
del circuito sessualità, concepimento, filiazione e genitorialità
(si pensi anche solo alle coppie adottive) apre la via alla
consapevolezza per cui la famiglia non sia un prodotto “naturale”
e che il “romanzo familiare” di un bambino non sia
solo una faccenda biologica ma anche e soprattutto psichica.
Quando si decide di avere un figlio, si inizia a mettere in
moto tutto un investimento affettivo e di pensiero rispetto
al come sarà “una volta arrivato a casa”
e questo può accadere non solo nelle coppie “tradizionali”
ma anche nelle coppie che, ad esempio, si rapportano, per la
prima volta, ai figli avuti da precedenti unioni.
La bugia dell'istinto genitoriale
Generare un figlio non implica essere conseguentemente madri
o padri: si può generare un figlio abbandonandolo, trascurandolo,
ignorandolo. Si può allora essere definiti comunque padre
o madre? È questa la bugia dell'istinto paterno e dell'istinto
materno come se la genitorialità fosse una spinta interna,
congenita e immutabile, ad agire nel miglior modo possibile.
Ma se talvolta la cronaca di alcuni padri e alcune madri fa
i conti con l'orrore, che ne è del supposto “istinto”?
L'installazione dell'accesso alla vita è in realtà
un fenomeno tutt'altro che automatico per l'essere umano.
La generazione è, necessariamente, un fatto di cultura
prima che di natura e l'idea di famiglia si presta a leggere
la dialettica, ambigua e non ovvia, tra queste due dimensioni.
C'è un ordine che va oltre l'anatomia ed è l'ordine
simbolico in cui vale solo l'assunzione etica di responsabilità.
Non è allora di natura che si deve parlare quanto di
scelta: la genitorialità fa gioco proprio lì,
in seno a una decisione.
Quando Françoise Dolto asseriva che “la genitorialità
è sempre adottiva” è perché ogni
figlio, anche se biologicamente proprio, viene adottato psichicamente
dal genitore, viene cioè marchiato di un interesse particolareggiato,
calando su di lui il proprio amore in modo soggettivo lasciando
che cresca secondo il proprio desiderio. Tuttavia, spesso questo
non accade e anzi il desiderio del genitore viene incosciamente
anteposto a quello del figlio, con tutta una serie di aspettative
e di prolungamenti individuali dinanzi ai quali il bambino,
qualora non riesca a sottrarsi, troverà incidenza nel
“sintomo”.
Da un punto di vista psicoanalitico, il figlio si trova nella
posizione di rappresentare la verità del legame che unisce
i due genitori: ciò che un figlio eredita non è
solo il patrimonio genetico ma la declinazione particolare con
cui la parola del padre viene accolta dalla madre e il posto
che quest'ultima riserva al primo. Ma si dà il caso che
la funzione del padre e la funzione della madre possono anche
essere esercitate in modo non necessariamente coerente con l'appartenenza
biologica. Nelle famiglie omosessuali, al pari delle eterosessuali,
il genitore che assume la funzione paterna introduce una legge,
un taglio normativo rispetto alla coppia, totalizzante ed esclusiva,
composta da chi detiene la funzione materna e il bambino; o
ancora: nelle famiglie monoparentali, la difficoltà dell'unico
genitore, al di là che sia un uomo o una donna, sta proprio
nel saper bilanciare tali due posizioni, facendole coesistere
in un'altalena delicata.
Non è il genere a determinare la genitorialità
Quando si parla di coppie “adeguate” alla crescita di un figlio si fa riferimento a quelle munite di un certo tipo di assetto mentale che è da intendersi quale una propensione all'ascolto, alla domanda, al desiderio e quindi all'amore ma soprattutto alla rinuncia che un figlio comporta, una rinuncia “adulta” che ridimensiona la propria “onnipotenza” a favore di un altro.
Non è quindi il genere dell'uno o dell'altro genitore a determinare quanto possa essere “idonea” la genitorialità ma l'incontro dei rispettivi apparati psichici, nonostante i pregiudizi di forma e di fatto che ancora coesistono nei confronti delle famiglie omosessuali. Il fondamento dell'amore non può essere schiacciato sulla differenza anatomica dei sessi in base alla presenza o meno dell'attributo fallico ma deve invece essere basato sulla differenza dei soggetti.
La psicoanalisi è oggi chiamata sempre più a riflettere sui significati e sulle posizioni del desiderio; nel ricondurre i fenomeni a un supposto funzionamento naturale e oggettivo si rischia di perdere la complessità della realtà. La vera sfida, come scrive lo psicoanalista Antonino Ferro, è che “il mentale” sposti sempre più sullo sfondo “il biologico” finanche svincolando l'esercizio delle funzioni genitoriali da un'adesione di genere: “ciò che conta è che ogni bambino abbia il suo Presepe, la sua festa, che sia accolto e amato come un prodigio”.
Il mandato dei professionisti della salute mentale deve interrogarsi su come, nel solco delle variazioni del binomio natura-cultura, questo prodigio possa essere osservato magari attraverso la formulazione e l'affiancamento di nuovi costrutti oltre quello classico della concettualizzazione psicoanalitica del triangolo padre, madre e figlio. Se è vero che in origine era il verbo, la parola, allora è quanto mai necessario pensare a ulteriori narrative circa la mobilità dei legami sociali all'interno delle diverse istituzioni familiari.
Daniela Mallardi
Bibliografia
A. Ferro, “Nel presepe moderno anche le coppie gay”,
in Corriere della Sera, 6 gennaio 2013, p. 33
F. Gambini, “Sparta incontra Orwell. Considerazioni
psicoanalitiche attorno all'idea di coppia e di famiglia”,
in Anthropos & Iatria, Rivista italiana di Studi e
Ricerche sulle Medicine Antropologiche e di Storia delle
Medicine, Edizioni Nova Scripta, Genova, 2011, Anno XV
n. 3
V. Lingiardi, “La famiglia «inconcepibile»”,
in Infanzia e Adolescenza, Il Pensiero Scientifico Editore,
Roma, 2013, Vol XII, n. 2, pp. 74-85
A. Wénin, “Storie di famiglia. Riflessioni
a partire dalla Genesi”, in Le trasformazioni della
famiglia: incidenze cliniche ed educative, Quaderni di
Psicoanalisi, Associazione Freudiana, Scuola di Psicoanalisi
di Torino, Torino, 2005, pp. 34-42
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Nelle foto di questo articolo: Partecipanti
alla manifestazione dello scorso 30 marzo a Verona organizzata
da “Non Una Di Meno”.
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