Il coraggio delle donne
Parliamo di donne.
Parliamo di come sappiano essere coraggiose, a volte, e di come, sempre più spesso di questi tempi, il coraggio delle donne venga derubricato a esibizionismo, isteria, pazzia, emotività esasperata, mancanza di lucidità, ribellione insensata, anarchia.
Parliamo, per esempio, di Forugh Farokhzad (1935-1967), forse la più grande poetessa iraniana, morta a 32 anni dopo essere stata costretta al matrimonio, ripudiata, chiusa in manicomio, fortunosamente liberata, e lasciata sola, essenzialmente, nell'ostinata volontà di far sentire la sua voce, e attraverso essa, quella delle innumerevoli donne costrette al silenzio da una serie di consuetudini tradizionali oppressive. È forse significativo che io, comunque forte lettrice, non avessi neanche sentito nominare Forugh. Non sono per nulla esperta di Iran, è vero, ma sono stata indirizzata sulla strada giusta da quella che è forse la maggiore iranologa italiana, Anna Vanzan, e tuttavia di Forugh Farokhzad non sapevo nulla.
Sono donna – e questo è già un bel problema – e sono curiosa – seconda caratteristica che alle donne, a partire da Eva, ha sempre reso la vita complicata. Perciò, raccogliendo indizi, sono arrivata a un volume di Jasmin Darznik, Canto di una donna libera (2019), che è di fatto la biografia romanzata di questa poetessa. Figlia di un colonnello, identità ribelle e talento inconfondibile, Forugh si è trovata quasi per caso a svelare – nel senso proprio del termine – la condizione costrittiva di molte donne iraniane.
Mi sono fatta l'idea – non del tutto infondata, anche se forse impressionistica – che la rivolta di questa donna sia passata soprattutto attraverso una consapevolezza del corpo mai resa esplicita da scrittrici iraniane precedenti. Tecnicamente, non è una rivolta meditata. Forugh non è una femminista per scelta. Finisce per esserlo quando svela, attraverso il corpo della donna – turbato, innamorato, violato, sofferente, rifiorito, recuperato, salvato – una condizione di solitudine insuperabile, originata da un solo dato: ci sono cose che gli uomini possono fare e di cui possono parlare, e che sono di fatto precluse alle donne. Chi osa superare questo divieto – e questo non solo in ambienti come quello iraniano – merita una punizione, la rimozione dal sociale – attraverso la reclusione coatta, e sappiamo bene che questa è stata la storia anche dell'occidente – o la riscrittura dei significati, la manipolazione di una voce che vorrebbe essere libera e che invece viene bollata come scandalosa.
Forugh è “impura” perché non nasconde il suo corpo e non ne maschera le emozioni. Si comporta, cioè, da donna libera.
Facciamo un salto cronologico, topografico e simbolico, e arriviamo all'oggi e a un'altra forma di coraggio, quella della giovane Carola Rakete, che decide di raccogliere naufraghi in difficoltà e poi di trasgredire un divieto in nome di uno spirito umanitario che dovrebbe essere condiviso. Non è poesia, ma è senza dubbio un atto di coraggio, che espone la giovane donna in questione a un pubblico ludibrio che ancora adesso, a mesi di distanza dai fatti, non accenna a spegnersi. È una derubricazione del coraggio, quella cui viene sottoposta Carola, ugualmente violenta. Un quotidiano nazionale cui fatico a riconoscere la funzione di strumento informativo dei fatti, pubblica appunto, dopo il pronunciamento della magistratura in favore di Carola, un pezzo che nei confronti di un uomo sarebbe stato impensabile. In esso si asserisce che la comandante della Sea Watch sarebbe “scandalosa” perché si è presentata ai giudici in maglietta e senza reggiseno. Ora, lasciando perdere la morbosità di un giornalista che si mette a esaminare con cura le foto di Carola Rakete per stabilirne l'abbigliamento intimo, è interessante prendere atto di come si sviluppi la diffamazione: essa si concentra, di nuovo, sul corpo delle donne e su come esso verrebbe “esibito” in circostanze poco appropriate, presumibilmente con lo scopo di distrarre (al meglio) o corrompere (al peggio) chi deve giudicare. Come se un uomo in una situazione analoga venisse accusato di essersi presentato in calzoncini troppo aderenti e senza mutande sotto. Impensabile, vero?
Perciò ecco qui riassunta, in due vicende lontanissime, la sorte delle donne coraggiose, che sono Alda Merini (i parallelismi tra la sua storia e quella di Forugh Farokhzad sono incredibili, dal rapporto col padre alla separazione dai figli e al manicomio), ma anche Deborah Ballesio (che prima di essere uccisa dall'ex marito violento, lo aveva denunciato 19 volte). È in questa dimensione che si misura il coraggio delle donne, e la loro solitudine: come scrive Forugh, “Ecco, sono io/Una donna sola/Sulla soglia della stagione fredda”.
Nicoletta Vallorani
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