Rivista Anarchica Online





Il selfie che uccide

La gente non faceva altro che fotografare se stessa. Focalizzata sulla propria solitudine, cercava freneticamente un testimonial con cui farsi immortalare nell'illusione di poter consegnare al mondo un'immagine meno disperante della propria vita.
Il selfie era diventato il capolinea dell'ego, e faceva riflettere che la cruda sintesi di quella umanità fosse un neologismo invecchiato precocemente come un boomerang linguistico.
Il selfie si era ritorto contro i suoi cultori, facendone corazze intrappolate nella propria esistenza, incapaci di orientare l'obiettivo verso dettagli stupefacenti come un corso d'acqua al tramonto o il bacio in bianco e nero di due innamorati.
I baci, appunto, furono la chiave di tutto per capire. Quelli dei selfie erano quasi sempre stitici, standardizzati, con la bocca stretta a cuoricino e le labbra sporgenti come in preda a uno spasmo d'attenzione. Baci nati per l'inquadratura, mentre un bacio profondo, appassionato, sensuale esige l'abbandono.
Sedotti dalla nostra centralità, siamo lentamente finiti alla deriva di noi stessi, artefici di un maleficio che ci opprimeva ma da cui non riuscivamo a liberarci. Anzi. Siamo andati oltre lo smarrimento della bussola sentimentale. C'è gente che per un selfie si è schiantata in auto, è precipitata da un burrone o è finita in pasto a un orso. Liquidando troppo facilmente lo sfondo come irrilevante, è stata richiamata alla realtà nel modo più tragico. Perdendola.
Così abbiamo deciso di portare il delirio collettivo alle estreme conseguenze. Possedendo tecnica e passione, ci siamo coalizzati, sabotatori invisibili, per manomettere i dispositivi aguzzini e mettere a nudo lo stato cadaverico dei suoi possessori.
Sto parlando dell'azzera-persone, ovvero del selfie che uccide. Una app che si è insinuata strisciante come un virus nei telefonini, capace di fotografare solo la sostanza del soggetto, la sua vera personalità. La stragrande maggioranza dei selfie-dipendenti ha fatto così un'amara scoperta. Negli scatti ha visto solo lo sfondo. Nient'altro. Nessuna traccia di sé né dei propri partner. Il nulla in posa. La nostra app sabotatrice ne ha certificato la morte di fatto.
Ciò che sembrava impossibile è accaduto. In pochi mesi la pratica più in voga degli ultimi anni si è estinta, rimpiazzata dalla classica fotografia scattata da un'altra persona che inquadra, mette a fuoco e schiaccia il pulsante. Ma siccome non si torna mai al punto di partenza, adesso hanno coniato un nuovo termine per questa tradizionale tecnica. La chiamano other-lie.
Una foto d'altri o un'altra bugia?
Prevedo nuovo lavoro per i sabotatori invisibili.

Paolo Pasi