Il diritto di esistere
Ho letto in giro che ci sono piante che vivono tranquille per
un secolo e oltre, fioriscono una sola volta e poi muoiono stremate
dallo sforzo. Ce ne sono altre che fioriscono meravigliosamente
ogni tot di anni, ed è una grande festa di emozione e
gioia per chi se ne prende cura: mi è sembrato di essere
proprio uno di questi giardinieri appassionati e pazienti quando
ho appoggiato le orecchie sul nuovo lavoro di Kurkuma (Il
diritto di esistere, cd autoprodotto 2019) e mi sono lasciato
portare alla deriva. Quello precedente era stato pubblicato
ventidue anni fa (vedi “A” 239): allora mi aveva
colpito la lontananza del progetto da tutto e da tutti, sforzo
artistico di un collettivo indipendente in senso davvero radicale
che rivendicava quel suo esistere creativo fieramente “lontano
dalle discoteche allestite come centrisociali e dai centrisociali
allestiti come discoteche”.
È evidente che a dispetto di chi ci vuole male il progetto
è andato avanti: forte del suo stile-che-stile-non-è
(e che chiamerei meticciato sonoro, frutto di improvvisazione
e spontaneità attorno a molti e diversi linguaggi e altrettante
ispirazioni) il gruppo si è mantenuto piuttosto stabile
nonostante i venti contrari e ha praticato quelle rotte di navigazione
che gli sono proprie tenendosi a distanza di sicurezza dalle
sirene e dalle secche. Ma c'è qualcosa che proprio non
mi va in questa frase che ho appena scritto: ho pensato a Kurkuma
come a una barca sul fiume, invece mi accorgo che Kurkuma è
il fiume: ha alternato lunghe fasi tranquille a piene improvvise
- come questa uscita - capaci di scavalcare gli argini e rovinare
in strada intralciando il traffico, più spesso scendendo
silenzioso in profondità come fanno i fiumi carsici che
improvvisamente a distanza ritornano all'aperto in risorgiva.
“L'umanità è negata
da silenzi imposti
da muri che fermano ogni voce.
Questo è il luogo in cui
le voci squarciano i silenzi
per il diritto di esistere”
Le canzoni funzionano molto bene tutte insieme e prese una alla
volta hanno carattere, malgrado la ritrosia di ciascuna a rendersi
identificabile all'interno di un qualche genere stilistico.
Potrei spiegarle come il frutto di un intrecciarsi fitto di
influenze e innamoramenti che passa da una all'altra, si affievolisce
scompare per poi ricomparire poco più in là -
di nuovo il discorso del fiume carsico. Sono tutte canzoni senza
documenti, insomma, che scappano via e non si lasciano acchiappare
e men che meno collocare strutturalmente in un qualche repertorio
trasportabile: non conosco nessuno che sarebbe in grado di riproporle
senza sembrare un po' posticcio, artificiale, plasticoso. Ogni
tanto si accende un faro di costa che spinge a leggerle come
oggetti preesistenti (che so, questa sembrerebbe quasi una vecchia
canzone di protesta, in quell'altra ti si ferma il respiro all'irrompere
di una voce già sentita che ti abita dentro, in quell'altra
ancora si incespica in una rima o un ritornello che ti accendono
un sorriso in faccia e insieme un fuoco in testa) ma è
l'illusione di un attimo, è la memoria che scherza e
fa il solletico al cuore.
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La copertina del disco Il diritto di esistere dei Kurkuma |
Quando le ho ascoltate la prima volta mi è venuto da
ridere: non perché fossero canzonette, perché
fossero banali o sciocche - tutt'altro. È che mi rallegravo
al guardarmi intorno: mi piacevano i posti dove queste canzoni
mi hanno portato, canzoni oblique e magnetiche che con un rapido
schioccare di dita cambiano l'acqua in vino e riescono magicamente
a portare Genova in Piemonte, a dissolvere le ruspe e trasformare
il tracciato della TAV in bosco proprio così com'era,
a cambiare versione della storia del bandito e del campione,
a restituire vita futuro e dignità ai morti in mare.
Ci sono canzoni che sono capaci di cambiare la percezione del
mondo reale avvicinandolo ai nostri sogni, ai nostri desideri
più intimi: in questo disco ne sono raccolte parecchie,
strette insieme.
Certo, sono disposte una dopo l'altra in sequenza ma è
davvero l'unica somiglianza con quelle che stanno dentro a un
disco “normale”: leggetele non come un susseguirsi
di strofe e ritornelli ma come un mosaico caleidoscopico multidimensionale
di suoni e voci e storie e disegni e ambienti intorno e soprattutto
ragionamenti che rimbombano dentro.
Kurkuma era cosa del tutto a sé già vent'anni
fa: un gruppo aperto in un'epoca di formazioni solide a sostenere
ciascuna un frontman, allora come oggi Salvatore Corvaio si
ritrova a fare da raccoglitore di messi perdurando torso nudo
sotto il sole a non indossare la t-shirt del leader.
Mi riempie di felicità il ritornare a scriverne su queste
pagine, a duecento numeri di distanza, perché nel frattempo
la vita è andata avanti nel solo modo in cui è
capace di andare avanti, cioè come pioggia forte che
morde ai fianchi le montagne e con sé trascina a valle
i sassi. Ecco, ascoltare queste canzoni è un esercizio
zen che mi fa distogliere l'attenzione dal fango e dai detriti
e dalla rovina e riflettere piuttosto sull'acqua fresca del
torrente turbinoso di questi anni.
Contatti: lab.perlanera@libero.it
Marco Pandin
stella_nera@tin.it
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