La realtà oltre il sogno americano
Bellicismo, diffusione delle armi da fuoco, traffico di esseri umani e spose bambine. Dietro la vetrina del sogno americano si nascondono sacche di violenza, ignoranza, arretratezza culturale e sfruttamento.
Sei ancora quello della pietra e della fionda, uomo del mio tempo... Con la tua scienza esatta persuasa allo sterminio...
(Salvatore Quasimodo, Uomo del mio tempo, 1946)
In certe mattine invernali, quando il cielo è nascosto
da una coltre di nubi grigiastre e la luce tarda ad arrivare,
la città si sveglia lentamente, covando un malumore che
forse si scioglierà solo a primavera. Nei notiziari rullano
i tamburi di possibili conflitti armati, sogni di esplosioni
e lamenti che l'impero forse coltiva, abituato alla guerra e
sempre bisognoso di nuovi nemici. L'industria bellica ringrazia
e sforna alacremente i nuovi dei di una razza d'acciaio e di
fuoco.
In nome della pace il cellulare mi si riempie di appelli da
firmare, preghiere da recitare in pubblico e in privato, inviti
a flash-mob e sit-in cittadini, per manifestare il supposto
orrore collettivo. Ma sono minuzie, sparute minoranze nel ventre
della grande mela, testarde e commoventi. La maggioranza resta
silenziosa, coltiva i suoi piccoli e grandi mali e vive come
se non esistessero davvero i droni americani che bruciano gli
abitanti di lontani villaggi o i missili iraniani che abbattono
aerei di linea pieni di innocenti passeggeri. Del resto i bagliori
di queste e mille altre esplosioni brillano altrove, non si
vedono da quaggiù.
Francamente in certi giorni mi è difficile immaginarmi
in un sit-in di venti anime piantate sul marciapiede di una
qualche famosa e gelida piazza di New York, con la gente attorno
che passa e nemmeno se ne accorge. Mi è più congeniale
trovare conforto nella natura, addormentata eppure ottimista
e già protesa all'inevitabile risveglio primaverile.
Per questo passeggio prima dell'alba nel parco, spettrale e
quasi disabitato, come se la metropoli non esistesse. Sui rami
già si intravedono le gemme e fioriranno, a dispetto
della follia umana.
Quest'anno il freddo mi ha portato in dono ospedali e studi
medici, inevitabile corollario dell'età che avanza. Ovunque
ho trovato cordialità. Nelle cliniche non arrivano i
rumori della strada e le luci sono soffuse. Fuori va in scena
lo spettacolo consueto di un mondo guidato da pazzi che, sulla
pelle della povera gente, promettono vendette e assicurano rappresaglie.
Negli ambulatori invece prevale il dolore personale e gli schermi
delle sale d'aspetto non proiettano notiziari ma consigli per
la salute.
Il terribile generale iraniano, assassino certamente superprotetto,
è stato annientato con impressionante semplicità
da un drone americano, strumento di morte telecomandato, programmato
con coordinate calcolate con precisione. È stato così
facile che allora viene da chiedersi perché non sia stato
fatto prima: perché non diecimila o ventimila morti fa?
Forse perché delle vittime della sua ferocia non importava
a nessuno. In fondo in tante altre occasioni la rotta dei droni
è più incerta e finiscono per colpire villaggi,
distruggere case, scuole e ospedali, lasciando dietro di sé
rovine fumanti e morti innocenti.
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New York (USA), agosto 2019 - Una manifestazione del movimento Black Lives Matter |
Ingegno dedicato alla distruzione
Schiacciato fra notiziari e protocolli medici, non ho potuto
fare a meno di riflettere sull'ingegno umano, sulla scienza
e sulla tecnologia che ne deriva: quanto sforzo, studio, conoscenza
e intelligenza e quanta tenacia per esplorare fino in fondo
i recessi più nascosti del nostro corpo e poi creare
le macchine favolose che ci ispezionano, ci auscultano, persino
ci operano e ci curano; ci salvano forse, o perlomeno ci allungano
la vita o ce la rendono a volte più lieve. E però
quanto genio, quanto acume, quante risorse e cervelli dedicati
invece alla distruzione, all'annientamento, alla meccanica precisa
del massacro. Resta per me indecifrabile il mistero di questo
ingegno umano tanto esaltato, con cui mi hanno riempito la testa
fin dalle elementari, che può spendersi per sradicare
dal mondo intero piaghe che lo hanno afflitto fin dall'alba
dei tempi, ma che allo stesso modo si impegna anche per creare
terrore indescrivibile e annientare quegli stessi esseri umani
che in altro modo cura e salva. Chi potrebbe mai tenere un'efficace
contabilità dei risultati di questo sforzo contraddittorio?
In certe mattine invernali preferirei essere altrove e non dovermi
più sentire schiacciato dalla responsabilità dell'occidentale
che, suo malgrado, contribuisce all'economia di guerra che tiene
in piedi l'impero. Vorrei diventare obiettore territoriale,
andar via da tutti i posti che contano; scomparire, ritrovarmi
in uno di quei luoghi trascurati, inutili alle strategie militari
dei paesi forti. Invece vivo proprio nel cuore dell'impero,
pago le tasse e sono per questo responsabile. Trovo allora rifugio
fra gli alberi scheletriti del parco e proprio qui mi chiedo
come faccia il cosiddetto americano medio a sostenere il peso
del destino di appartenere all'impero con la macchina da guerra
più potente di tutti i tempi, lo Stato possente che ha
conquistato il territorio col genocidio e la deportazione, e
sperimentato sulla pelle di altri popoli ogni possibile crudeltà,
dal napalm all'annientamento nucleare, curando però sempre
di farlo in nome della libertà, della giustizia e della
civiltà.
Chiaramente sono tutte storie che mi metto in testa io. Basta
guardarsi attorno per capire che nessuno qui passa il tempo
a farsi domande così stupide e inutili. Perlopiù
domina l'indifferenza, come da noi. Vince la facile convinzione
di essere sempre nel giusto e che tutti questi conflitti siano
in fondo indispensabili: c'è abitudine qui alla guerra
lontana, alla morte dispensata in paesi sconosciuti che si immaginano
abitati solo da barbari fanatici, vestiti di stracci e col turbante
in testa; esseri subumani, per i quali non vale la pena commuoversi
quando le loro case saltano in aria e muoiono dilaniati anche
i bambini. Ben venga dunque la guerra per mantenere questa pace,
purché non faccia male a noi, che viviamo al sicuro nelle
nostre tiepide case. Anche i nomi e i volti dei soldati americani
caduti in azione non appaiono mai in TV: sono eroi da celebrare
nelle occasioni solenni, ma nessuno vuole essere turbato a cena
dalla loro fragilità.
Suppongo che in mezzo a noi, magari proprio alla porta accanto,
vivano anche gli ingegneri e gli operai della morte. Me li immagino
tornare a casa la sera, in famiglia, dopo aver trascorso la
giornata a progettare e costruire distruzione diabolica, strumenti
sempre più sofisticati per mutilare e straziare. Mine-giocattolo,
bombe a grappolo, pallottole squarcianti: non c'è limite
alla fantasia del terrore, privato o di Stato. Non so come facciano
a non impazzire.
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New York (USA), dicembre 2019 - Una manifestazione femminista |
My Lai, Wounded Knee, Abu Ghraib
Il 16 marzo 1968 una compagnia di giovani soldati americani
di leva penetrò nell'abitato sudvietnamita di My Lai
a caccia di Vietcong infiltrati. L'incursione finì col
massacro senza pietà e senza scopo di cinquecento civili
inermi. Le autorità militari tentarono di insabbiare
la storia ma circolarono foto di fosse comuni e immagini di
donne e bambini terrorizzati, riprese pochi istanti prima di
essere falciati dalla mitraglia. Nessuno pagò per quel
crimine ma un'ondata di indignazione mondiale travolse il paese
e costò agli USA la perdita di ogni pretesa di superiorità
morale in quella sporca guerra.
Di quei corpi si stanno sbriciolando ormai anche le ossa e sulla
vicenda è caduto l'oblio, a dispetto di certi storici
che ancora ne scrivono1 e io,
vagabondando sulla collina vicino casa, mi chiedo con quale
autorità morale l'America di My Lai, di Wounded Knee
e delle tante Abu Ghraib, l'America delle invasioni e dei colpi
di stato, delle deportazioni e dei bambini in gabbia, ritenga
di avere ancora quella superiorità morale che l'ha trasformata
nel gendarme che amministra la giustizia nel mondo. Non l'America
astratta della mia giovinezza, fatta di marce per la pace e
slogan forse ingenui, ma questa America concreta, che conosco
e vivo ogni giorno, piena certamente di brava gente ma anche
di insanabili contraddizioni. Quest'America che non è
la luce posta da Dio in cima a un colle per illuminare il mondo
intero, vagheggiata dai filosofi dell'americanismo, e nemmeno
più, se mai lo è stata, la nazione che accoglie
a braccia aperte i reietti del mondo, simboleggiata dalla Statua
della Libertà. Ma l'America razzista, armata, arretrata
e violenta che conosco io, con le stragi nelle scuole e i barboni
mezzi matti a congelarsi sui marciapiedi. Questo paese, che
non ha mai abbastanza soldi per le scuole e le cliniche dei
poveri, ma spende oltre la metà del bilancio federale
per le forze armate, non può più vantare pretese
di superiorità.
Eppure ne ho conosciuti di patrioti infervorati, convinti che
il loro paese sia speciale e che tutti al mondo dovrebbero ammirarlo
e imitarlo. Nel mio immaginario sono riassunti e simboleggiati
da un certo Bob, un tipo grosso e barbuto, con la bandiera piantata
davanti alla porta della sua abitazione, poco più di
una baracca in una specie di campeggio. Sui social esalta ogni
giorno il mito americano, ringrazia i ragazzi partiti per difendere
la patria e vocifera contro chi vorrebbe limitare il diritto
alle armi. Credo non si sia mai mosso dalla sua contea, di certo
non sa nulla del mondo, passa il tempo libero a pescare in un
laghetto, al sabato va alle partite di football e alla sera
lo aspettano gli amici al pub. Una vita come tante, ma è
convinto che sia l'unica che valga davvero la pena di essere
vissuta.
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New
York (USA), dicembre 2019 - Una manifestazione femminista |
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Traffico di esseri umani e spose bambine
In un romanzo ambientato nel gelido inverno newyorchese del
2015, Isabel Allende ha messo assieme una piccola pattuglia
di protagonisti commoventi e improbabili per costruire un intreccio
narrativo in cui si annida la torbida storia di un traffico
di esseri umani destinati alla schiavitù.2
L'argomento non esce dalla fervida fantasia della scrittrice
ma dalla cronaca nera: gli Stati Uniti sono in cima alla classifica
mondiale, assieme a Messico e Filippine, per il traffico di
schiavi e New York è fra le destinazioni principali della
tratta, oltre che zona di transito per le vittime destinate
alle zone rurali del nordest. I numeri sono da capogiro, con
centinaia di migliaia di esseri umani rapiti e sfruttati come
lavoratori nell'industria e nell'agricoltura, domestici nelle
case private e schiavi sessuali: turpi commerci resi ufficialmente
illeciti negli USA solo nel 2000, con l'approvazione del “Trafficking
Victims Protection Act”. Si stima che ogni anno siano
almeno ventimila le nuove vittime e poco si parla del lato forse
più oscuro della tratta: quei rispettabili cittadini
che ne beneficiano, tenendo prigionieri nelle fabbriche, nelle
fattorie, nelle case e nei bordelli esseri umani schiavizzati,
spesso minorenni.
Nel 2018 l'Unicef, in collaborazione con l'associazione “Girls
not Brides” ha pubblicato i dati di un'altra tragedia
americana: nei primi 15 anni del terzo millennio più
di 200.000 bambine sono state sposate negli USA. In oltre la
metà degli Stati non è infatti prevista età
minima per il matrimonio e il Missouri, in particolare, è
meta favorita di un nefasto pellegrinaggio di uomini adulti
che vi si recano a sposare bambine, talvolta persino dodicenni.
Un fenomeno che si immagina confinato a certe realtà
dell'Africa sub-sahariana o del Medio Oriente è tragedia
sociale anche qui. Permangono infatti nel paese sacche di culture
arretrate e accade che siano le famiglie a spingere giovanissime
figlie a sposarsi, in matrimoni combinati o riparatori. Afferma
Mark Engman, direttore Unicef: “Norme adeguate sono auspicabili
ma la legge di per sé non sarebbe sufficiente a cambiare
la mentalità; è indispensabile un'azione educativa
per convincere la gente che il matrimonio minorile è
sbagliato e pericoloso e finisce sempre in tragedia per i bambini
coinvolti”.
L'Unicef spinge inutilmente le autorità a intervenire
sul territorio con un approccio educativo teso all'evoluzione
delle norme sociali, per mettere in crisi credenze e tradizioni
ancora profondamente radicate. Nell'inerzia generale ogni anno
migliaia di bambine vengono private del diritto a studiare e
a vivere un'infanzia gioiosa e diventano giovani spose, abusate,
sfruttate, violentate e costrette ad una vita schiavizzata e
pericolosa. Alla piaga del matrimonio prematuro si associa infatti
quella della morte per parto, la cui incidenza è maggiore
nelle giovanissime.
Sono solo alcune delle tante amare vicende occultate dietro
la vetrina del sogno americano. Si potrebbe raccontare dei 40.000
detenuti in cella di isolamento nella sola New York o della
donna dell'Alabama ferita a colpi di pistola e poi incriminata
da un giudice idiota per l'omicidio del bambino che portava
in grembo, complice una scandalosa legge anti-aborto che criminalizza
le donne. Si potrebbe dire degli innocenti condannati a morte
in Pennsylvania e di un procuratore ambizioso che rifiuta di
riaprirne i processi per non scontentare gli elettori. Potrei
scrivere delle umiliazioni che subiscono negli aeroporti i cittadini
americani di fede islamica o dell'FBI che arresta innocenti
malamente identificati da programmi di riconoscimento facciale
che penetrano illegalmente nei nostri computer e ci spiano.
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New York (USA), 3 ottobre 2019 - Una manifestazione a sostegno del Rojava |
I lati oscuri di questo paese
Non credo che i tanti Bob che ho conosciuto siano davvero al corrente dei lati oscuri del loro paese, altrimenti non ne sarebbero così orgogliosi. Lo amerebbero, certo, come ognuno ama della propria terra anche difetti e contraddizioni, ma forse riporrebbero la bandiera nel garage e si darebbero da fare per cambiare qualcosa qui, invece che altrove. O forse resterebbero gli stessi: la coscienza è un mistero imperscrutabile.
In quest'inverno confuso sento appena il rullio dei tamburi di guerra, ho nelle orecchie piuttosto il clangore delle risonanze magnetiche in un laboratorio di radiologia. Per essere ammesso in quel moderno tempio di Esculapio, ogni volta devo presentare la tessera dell'assicurazione medica e la carta di credito e mi rendo conto così di un'altra verità: la tecnologia medica è per pochi. Miliardi di miei simili nel mondo probabilmente non ne sospettano nemmeno l'esistenza e qui, negli Stati Uniti, chi non ha né assicurazione né soldi quei controlli e quelle cure non potrà mai permetterseli. È una questione ben raccontata nella serie televisiva Breaking Bad, famosa anche in Italia, dove un professore di chimica, che arrotonda il magro stipendio lavorando in un autolavaggio, quando scopre di avere il cancro, si trasforma in imprenditore della droga per potersi pagare le costose cure che la sua assicurazione non copre.
La tecnologia della distruzione, invece, è più democratica, è a disposizione di tutti, perché la guerra, come spesso ci ricorda il fondatore di Emergency, Gino Strada, colpisce soprattutto i civili, gli innocenti, preferibilmente poveri.
Qualcuno ha scritto che a New York approda tutto ciò che di meglio e di peggio esiste al mondo e immagino che questo sia stato il destino di ogni capitale imperiale nel corso di tutta la storia umana. La Grande Mela è meta obbligata o sognata di artisti e intellettuali di tutto il mondo ma anche covo di sporchi affaristi, mercanti d'armi e trafficanti di esseri umani.
Qualche tempo fa, camminando davanti a una scuola, mi sono imbattuto nelle attiviste della Granny Peace Brigade, un piccolo gruppo di anziane e combattive pacifiste, nato a New York nel 2005 per contestare l'invio di giovani reclute in Iraq. Donne coraggiose che si oppongono alla militarizzazione della società, hanno adottato le tecniche della resistenza popolare nonviolenta e non hanno timore di essere arrestate. Cercano di impedire l'ingresso nei plessi scolastici ai reclutatori dell'esercito e mettono in guardia gli studenti dalle ingannevoli sirene della velenosa propaganda militare. La loro bella determinazione è capace di risvegliarmi dall'illusione che andarsene serva a qualcosa. Mi ricordano le gemme sui rami spogli, sintomi di primavera: è certo che torneranno a fiorire, a dispetto degli uomini che tramano un inverno senza fine.
Santo Barezini
- Fra gli studi più recenti e completi sulla vicenda si veda: Howard Jones, My Lai, Vietnam 1968, and the Descent into Darkness, Oxford Press, New York, 2017.
- Isabel Allende, Mas Allà del Invierno, Editorial Sudamericana, 2017 (edizione italiana: Oltre l'inverno, Feltrinelli, 2017).
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