elezioni
Un'antica illusione
di Giulio Angeli
Storicamente, tutte le esperienze parlamentari della sinistra sono giunte a una sostanziale inconcludenza. E non hanno alimentato la consapevolezza di classe né la fiducia in altre prospettive politiche o organizzative.
“Il sistema di produzione capitalistico con la sua massimizzazione dei profitti, si sta risolvendo in barbarie per l'intera umanità; per incidere sui rapporti sociali esistenti, sui rapporti tra capitale e lavoro, occorre costruire alleanze sociali solide attorno a proposte concrete a difesa degli interessi immediati delle classi sfruttate; nel suo lungo percorso il terreno istituzionale, anche se declinato in senso tattico, non si è dimostrato idoneo alla difesa degli interessi delle classi subalterne.”
È dal 1968 che le componenti più a sinistra della “sinistra storica”, rappresentata principalmente dal Partito Comunista Italiano (PCI) e dal Partito Socialista Italiano (PSI), tentano di darsi una rappresentanza parlamentare autonoma con risultati alterni.
È una storia che comprende esperienze politiche e organizzative innumerevoli e talvolta rilevanti, che ha coinvolto la vita di centinaia di migliaia di persone e, insieme a loro, idee, sacrifici, impegno e aspirazioni.
Una storia che deve essere analizzata nel contesto sociale di un'epoca che si snoda nei cicli della grande ristrutturazione capitalistica e nel conseguente conflitto tra capitale e lavoro, caratterizzato dall'emergere di movimenti giovanili e di massa che, come il movimento femminista e ambientalista, avrebbero positivamente sconvolto molte certezze non solo in ambiti partitici e sindacali, ma anche in quelli delle nuove aggregazioni politiche e di classe.
Ed è anche una storia di vittorie e di sconfitte che hanno comunque avuto il pregio di rilanciare la partecipazione e il dibattito, specialmente in ambiti giovanili anche in una situazione politicamente e organizzativamente arida e complessa come quella che stiamo vivendo.
Tutte queste esperienze parlamentari sono giunte, attraverso percorsi complessivamente declinanti e alquanto divisivi, a una sostanziale inconcludenza, alimentando non la consapevolezza di classe, ma la sfiducia in ogni altra prospettiva politica e organizzativa.
Il primo riferimento per una critica alla scelta parlamentare non deve quindi iniziare dalla “necessità astensionista”, ma dalla critica alla democrazia borghese nel quadro dell'avvento dell'imperialismo quale fase dello sviluppo capitalistico, per riconnettersi poi al percorso elettorale del socialismo, che in Italia inizia formalmente nel 1879 con la candidatura di Andrea Costa (1851-1910).
Questo percorso, articolato e complesso, ha contribuito in maniera determinante a edificare il socialismo riformistico nelle sue innumerevoli declinazioni politiche e sindacali. Queste non procedono nel senso ottimistico tracciato dal Costa stesso nella Lettera ai miei amici di Romagna (“La Plebe”, n. 30 del 3 agosto 1879), che rappresenta l'atto costituente del socialismo riformista nel nostro paese.
Nel 1879 il Costa, che era stato un anarchico intransigente, definisce chiaramente l'intento di costruire una rappresentanza socialista nelle istituzioni borghesi, al fine di costituire un punto di riferimento per un'efficace azione di classe.
Sono passati circa 150 anni e – nonostante enormi cambiamenti epocali che comunque rimandano le odierne condizioni lavorative e sociali al 1800, e nonostante tutte le derive del parlamentarismo – all'interno dell'articolatissima compagine della sinistra in progressivo declino, si continua ancora a ritenere che manchi un'adeguata rappresentanza politica:
“Un sindacato che si ponga altresì il tema della
mancata o inefficace rappresentanza politica del lavoro, partendo
dalla consapevolezza che in prospettiva non c'è sindacato
confederale di massa senza un partito dei lavoratori e della
trasformazione sociale, radicato nel Paese.”1
Il sopracitato concetto ricorre spesso anche all'interno della CGIL, e sia le componenti più concertative che quelle della vecchia e nuova opposizione, vi si ritrovano, sia pure differenziandosi sul come, sul dove e sul quando.
Dissoluzione e sfiducia
Il confidare nella realizzazione di un soggetto politico parlamentare,
che nelle istituzioni rappresenti, o torni a rappresentare il
lavoro e i movimenti di massa rimanda a un'antica illusione
la quale, o si è consumata dopo un qualche successo limitato
se non effimero, oppure ha posto in essere una transizione che
fin dall'intera vicenda storica del PSI e del PCI si è
parzialmente o totalmente separata dalla difesa degli interessi
delle classi subalterne, divenendo parte integrante dello schieramento
borghese e delle sue istituzioni, per poi dissolversi creando
disorientamento e sfiducia nella nostra classe, contribuendo
così all'ascesa della reazione.
È quindi il caso di ribadire che l'illusione parlamentare
la quale, stando ai risultati ormai ultrasecolari, ha creato
danni inenarrabili all'intero movimento di classe contribuendo
a logorarne la propria capacità di resistenza sindacale,
politica e organizzativa, oltre a realizzare la dimensione complessivamente
avariata e improponibile del socialismo nelle sue varianti socialdemocratiche
e staliniane, socialimperialiste, talvolta massimaliste, velleitarie
ed effimere.
Non è comunque nostra intenzione indugiare in analogie
tra le varie forme istituzionali con le quali si afferma il
dominio della borghesia: parafrasando il nostro Errico Malatesta,
la peggiore forma democratica è certamente migliore della
dittaura più edulcorata.
Da questo punto di vista, e in assenza di una concreta prospettiva
rivoluzionaria, è indiscutibile che la forma democratica
offra maggiori spazi all'azione dei rivoluzionari e degli anarchici,
ma attenzione: non della propaganda generale e dell'agitazione
dei principi si tratta, ma dell'azione organizzata della minoranza
agente che in regime di democrazia borghese conserva e non attenua
o contraddice le proprie concezioni antiparlamentari che rifuggono
il perseguimento “del male minore”.
Al riguardo ben si esprimeva Errico Malatesta: “Con questa
logica (il male minore, nda) si può andare lontano;
poiché non v'è istituzione reazionaria, nociva,
assurda, che non trovi chi la combatte allo scopo di sostituirvene
un'altra peggiore. Quindi bisognerebbe che non vi fossero né
anarchici, né socialisti, né repubblicani (salvo
nei paesi dove esiste la repubblica), e diventassimo tutti conservatori...
per salvarci del pericolo di tornare indietro. Oppure, bisognerebbe
che i repubblicani difendessero la monarchia costituzionale
per tema di veder tornare l'Austria ed il Papa-re; che i socialisti
difendessero la borghesia per garantirsi contro un ritorno al
medioevo; che gli anarchici facessero l'apologia del governo
parlamentare per paura dell'assolutismo. O che cuccagna per
quelli che detengono il potere politico e l'economico!”2
La coerenza nel perseguire il programma che una forza politica
organizzata si dà, unitamente alle altre implicazioni
soggettive quali la capacità, la consapevolezza e la
determinazione delle militanti e dei militanti, sono tutte caratteristiche
importanti, ma che da sole non bastano a conferire praticabilità
ed efficacia a una proposta politica complessiva, capace di
coniugare la difesa degli interessi immediati con il perseguimento
di quelli storici delle classi subalterne.
La storia antica e recente dimostra che non basta la genuinità
dell'intento classista e l'onestà individuale a conferire
la credibilità e la praticabilità degli obiettivi
che si intende perseguire.
Credibilità e praticabilità di un programma politico
rivoluzionario, e comunista anarchico nel nostro caso, dipendono
dalla capacità di incidere sui rapporti sociali realmente
esistenti vale a dire, schematizzando, sui rapporti tra capitale
e lavoro, costruendo alleanze sociali solide attorno alle proprie
proposte.
Se questo è l'obiettivo, il terreno istituzionale, anche
declinato in senso tattico, non si dimostra storicamente adatto
alla difesa degli interessi delle classi subalterne: specialmente
in questa fase di declino della democrazia borghese e delle
sue istituzioni conseguente ai grandi processi di ristrutturazione
che hanno ridefinito l'assetto capitalistico e imperialistico
mondiale, che ha visto concentrarsi in ambiti incontrollabili
i processi decisionali un tempo propri dei singoli stati e delle
loro istituzioni.
Senza settarismi
È questo che dobbiamo sostenere, proprio perché il compito nostro è quello di porre in essere uno sviluppo rivoluzionario che in questa fase non può che essere necessariamente lento, basato com'è sui numeri che realisticamente possono essere intercettati da noi, senza ostentare comportamenti settari quali, ad esempio, una campagna astensionista che dati i contesti suonerebbe come autoreferenziale, pregiudicando ogni capacità di interlocuzione con le disperse realtà di classe e con i soggetti individuali e collettivi che le rappresentano.
Dobbiamo quindi distinguerci sulla questione elettorale e dobbiamo farlo con serenità e chiarezza ammonendo sui rischi che comporta e, soprattutto, sostenendo che le dinamiche politiche pesano per le alleanze sociali che riescono a determinare e che, per porre in essere queste alleanze, abbiamo bisogno di organizzazione politica (la minoranza agente), di energie militanti e di obiettivi – i quali, per svolgere la funzione di ricomposizione sociale, non possono che essere pochi, chiari e articolabili nelle realtà di classe e di movimento. Il fine è la realizzazione della più vasta unità possibile su salario, orario di lavoro, assistenza e previdenza.
Attorno a questo nucleo di obiettivi qualificanti ruotano altre fondamentali tematiche e le stesse capacità della nostra classe e dei movimenti di massa locali e nazionali di crescere, unificarsi e affermarsi. È attorno a questo processo unitario che ruota la possibilità di difendere i territori dall'aggressione capitalistica e di contrastare la recrudescenza fascista, razzista, sessista e l'involuzione violenta e autoritaria della società capitalistica, perché una classe oppressa è una classe debole e subalterna, che trasforma in zavorra la propria emancipazione dal bisogno.
Ciò rende il capitale ancora più agguerrito e stimolato a nuove offensive per la massimizzazione dei profitti, che si sta rapidamente risolvendo in barbarie per l'intera umanità.
Giulio Angeli
- La CGIL del futuro, documento approvato dal Coordinamento Nazionale di “Lavoro Società - Per una CGIL unita e Plurale”.
- Errico Malatesta, Lo spettro della reazione, “L'Agitazione”, 11 novembre.
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