Il nome della cosa
La storia definisce il senso delle parole. I significati si stratificano e rimodellano nel tempo. Essi non sono indipendenti dai fatti, ma al contrario sui fatti si modellano. Le convenzioni culturali che regolano il definirsi dell'area semantica coperta da un termine sono fluide e devono restarlo, perché in questa possibilità di rimodellamento consiste l'esercizio della libertà. Ergo, le parole – soprattutto certe parole – non vanno usate a vanvera. È quello che cerco di insegnare ai miei studenti, quando ricostruisco, in ambiti diversi da quello che ci appartiene, il progressivo sporcarsi di espressioni come “uguaglianza”, “diritto”, “libertà” e “democrazia”. È necessario che questa prospettiva storica sia presente, altrimenti non si comprende, per esempio, come si sia passati da una Dichiarazione di Indipendenza in cui si afferma che “Tutti gli uomini sono creati uguali” alla presidenza di Trump, passando attraverso lo schiavismo, la guerra in Vietnam, le mille altre guerre accessorie, la discriminazione delle minoranze e via dicendo.
La storia italiana ha definito il significato originario del termine “fascismo”: una contingenza specifica, tragica e inaccettabile, ne ha modellato il senso nella forma di un regime autoritario, costellato di abusi, che in molti modi ci stiamo industriando a insabbiare. Oggi, con tutto questo bagaglio storico sulle spalle, mi pare che si faccia ancora fatica a intendere la portata del termine. Ci troviamo, cioè, a combattere le stesse battaglie di un tempo, con davanti un paese che interpreta il fascismo storico senza averne la minima consapevolezza e senza neanche sapere quali sono i principi che sta sostenendo.
Di fronte a questa insipienza, giovani e adulti si confondono. La lacuna storica degli adulti mi stupisce più di quella dei ragazzi, per una mera questione anagrafica, e di grande semplicità: a crescita in corso, i paletti hanno ancora da essere sistemati, usando punti di riferimento che del mondo dei “grandi” – intellettuali o presunti tali – fan parte.
Per questo assisto con stupefazione al sistematico processo che riguarda il movimento di genesi più recente. Sulle Sardine ho mille dubbi, e ne riconosco tutte le ingenuità, gli scivoloni, la manipolazione inconsapevole, la strumentalizzazione. E tuttavia… tuttavia ci sono alcuni distinguo da fare. Giorni fa, ho letto uno dei mille post di questo tipo, caricato da un collega accademico, nel quale con livore inusitato si accusava l'ormai onnipresente Mattia Santori di fascismo, portando ad esempio non so più quale affermazione fatta da questo visibilissimo esponente del movimento. Era, questo lo ricordo bene, una affermazione “sbagliata”, mal formulata per certo e accompagnata da fatti che tutti conosciamo e che possono senza dubbio essere discutibili. Prima di questo, avevo assistito, nel corso di trasmissioni anche molto prestigiose, al sistematico interrogatorio di questo e di altri esponenti del movimento, ai quali si chiedeva con insistenza di esprimere pareri politici e una linea che comunque profili di ben altra esperienza non sono stati in grado di formulare. Ora, la mia domanda banale è questa: abbiamo davvero bisogno, noi adulti, di usare i più giovani come bersaglio? E la seconda domanda è: non ci viene di chiederci quali modelli, da adulti, abbiamo indicato, in termini di etica della relazione, rispetto della libertà e richiesta di uguaglianza nei diritti e nei doveri?
Quando si evoca la “giovane età” degli esponenti più visibili del movimento allo scopo di rendere comprensibili gli errori che hanno fatto e che stanno facendo, la risposta, in modo quasi sistematico è: a trent'anni suonati non sono più giovani. Benissimo, mi sta bene, ma allora come mai diventano tutti molto giovani quando si tratta di garantire loro una possibilità di lavoro, una professione che non sia uno stage mal pagato o gratuito, una prospettiva di vita dignitosa?
Nel mio luogo di lavoro, la categoria “giovane ricercatore/ricercatrice” si applica mediamente a ultraquarantenni. Quando qualcuno cerca di far notare che forse giovane non è più, gli/le viene detto che deve aspettare il suo turno perché ha una vita davanti. Poi i giovani scendono in piazza senza chiedere permesso e li si sottopone a macellazione mediatica. È un buon modo? Io non lo so, ma mi permetterei di dire che non credo proprio. Forse faremmo meglio a fare il nostro mestiere, etico e politico, da adulti veri, invece di costruire intere carriere su menzogne reiterate. E faremmo meglio ad accorgerci in fretta di quello che stiamo contribuendo a creare: una comunità in cui il fascismo prospera, perché non abbiamo saputo insegnare che cosa esso comporti.
Nicoletta Vallorani
|