Fotogiornalismo/Il precariato compromette l'informazione
(...) Il fotogiornalismo è sempre stato un mercato abbastanza florido, poi c'è stato un cambiamento di verso, i giornali hanno incominciato a pagare meno le foto e hanno voluto gestire i loro affari tramite agenzie e non più con il singolo fotografo. Nei primi anni 2000 i fotografi hanno visto calare drasticamente i loro profitti, ma ancora si guadagnava molto bene nonostante il numero di fotografie a disposizione fosse aumentato a dismisura. Ci si poteva permettere di dedicare del tempo e molta più profondità ad una storia.
Oggi l'immediatezza della notizia ha partorito il morbo della cronaca live e della condivisione via internet di fake news e di materiali; tutto questo ha definitivamente ucciso la fotografia e ha reso i fotogiornalisti freelance dei lavoratori autonomi che fanno la fame e che competono tra loro sperando di pubblicare, che vendono sporadicamente alle grandi agenzie che si tengono enormi percentuali. Questo riguarda principalmente i quotidiani, quelli che si trovano al bar quando facciamo colazione, ma che distribuiscono globalmente notizie e fotografie ormai soprattutto su internet.
Per la maggior parte delle fotografie passeranno 5/6 mesi prima di vedere un report e stimare che finalmente ti pagheranno trattenendo una percentuale che si aggira al 55% per fotografia.
Nel frattempo, durante quei 5/6 mesi in cui nessuno paga, si deve usare l'arte di arrangiarsi per affrontare le spese della vita e i nuovi costi tra i quali magari figurano le riparazioni delle attrezzature a causa di maltrattamenti della polizia, usura e tutto quello che può accadere giorno dopo giorno.
Insomma questo in parte è anche il motivo di tanta disinformazione, la diffusione massiccia e indiscriminata di immagini e spettacolo che non servono a mostrare cosa vogliamo che si veda ma cosa siamo disposti a comprarci.
Le grandi agenzie, da parte loro, hanno massacrato ulteriormente il mercato offrendo le loro foto con un abbonamento, quindi i giornali pagano una quota al mese e possono scaricare tutto quello che vogliono. Così il freelance deve sperare di fotografare un evento dove non sono presenti le grandi agenzie e di cui comunque i giornali vogliono parlare (cosa ormai vicina all'impossibile). Pure i fotografi delle grandi agenzie sopravvivono perché guadagnano un fisso e sono diventati degli impiegati. La cosa più triste è che l'ambito in cui ancora si guadagna è il gossip perché sembra più importante vedere un ministro che va a fare la spesa per dimostrare quanto è “normale”, piuttosto che immortalare un evento politico.
Ho conosciuto gente che è stata in Siria, in Libia, in Kurdistan rischiando la vita per raccontare cosa succede e c'è andato di tasca sua per poi non vendere nulla o addirittura pubblicare per 80 euro a fotografia che non è nemmeno il costo di un giorno di traduttore o fixer che in quei posti ti può salvare la vita.
Per non parlare delle donne fotogiornaliste che sgomitano in un mondo fatto principalmente di uomini dal momento che una semplice gravidanza può incidere sulla fine della “carriera” con zero supporto/interesse. Al contrario, sono tutti pronti a prendere il suo posto, colleghe in primis.
Poi ci sono i blog e quasi ognuno ne ha uno, come un cellulare che faccia foto o selfie. Poi ci sono le testate locali di controinformazione, ma sono limitate nei fondi e rifiutano sovvenzioni. Come uscire da questo pantano allora?
(...) Tutti vogliamo il like sulla foto senza spendere un euro e sempre meno ci preoccupa accertare le fonti o ricostruire scenari in profondità pubblicando materiale trovato grazie al sacrificio di qualcuno. Insomma può anche succedere di pagare un fotografo per la copertura di un evento, e normalmente sono accordi che si prendono prima che l'evento abbia luogo, non certo dopo. Basta osservare chi sono gli autori che pubblicano le foto. Gli stessi che invece che vivere la pienezza del momento e avere due mani libere hanno oltre le dita il prolungamento di uno smartphone per trasmettere in tempo reale qualsiasi cosa, da una colazione a un matrimonio a un riot. Questo non permette di lavorare con tranquillità, e fare il fotogiornalista è diventato uno dei lavori più precari e discriminati di sempre. No pasaran!
Gian Marco Benedetto Barcellona (Spagna)
La danza del Coronavirus/Amore e rivoluzione al tempo della pestilenza
I
posti letto negli ospedali ridotti all'osso
gli operati - anziani compresi - mandati subito a casa
l'assistenza ai convalescenti dimandata ai parenti
l'assistenza agli anziani non autosufficienti
dimandata ai migranti, gli unici così disperati
da poter accettare un lavoro di 24 ore al giorno
per quel poco che le pensioni (da fame)
possono ancora garantire
il diritto alla salute ridotto a un'utopia
la Sanità percepita come un'azienda da far profitti
che se hai i soldi puoi fare l'esame o la visita “intra
moenia” e vivere
e se no aspetti finché magari è troppo
tardi
per ora, nella gestione ordinaria abbiamo nuotato già
con l'acqua al collo
ma ora, che si paventa una crisi di ospedalizzazione
il rischio del collasso si profila
ecco perché, non potendosi permettere la crisi
stanno uccidendo la socialità, il piccolo commercio
il teatro, il cinema, i concerti che insegnano a pensare
i circoletti e le osterie dove i vecchi giocano a carte
maledicendo le donne, il tempo e (soprattutto) il Governo
e ci stiamo riducendo ad amebe tremolanti
chiusi nelle case col televisore
con la paranoia che cresce di bollettino in bollettino
spauriti da mille notiziari contraddittori al giorno
e poi tutto sommato
sempre meglio sopprimere il pensiero:
confondere e spaventare
per opprimere e comandare meglio
ciò di cui morremo non sarà il raffreddore
più forte della Storia
o aver tossito senza il gomito in bocca
ma questo Capitalismo infame
che prima ci ha mutato da umani in clienti
(clienti di qualsiasi cosa, anche dell'ospedale)
e oggi ci dice che l'errore è la stretta di
mano
quando io vi dico che il vaccino esiste già
ed è la nostra unione, la consapevolezza
la voglia, la capacita, la forza di reagire
e che il processo di guarigione
magari drastico come un intervento chirurgico
come un'amputazione oggi come ieri si chiama Rivoluzione
e non è uno spettacolo che si dà in televisione
e che anche una volta guariti
la convalescenza sarà probabilmente lunga
ma piena di baci proibiti e consolatori
di strette di mano solidali
di amore e poi di amore e poi di amore
e qualche posto in più negli ospedali.
(Questo testo è frutto di alcune riflessioni personalissime
dovute al confronto e alle chiacchiere di questi giorni
con degli amici che ne sanno molto più di me: la
dott.ssa Emilia Polimeno, la dott.ssa Luisa Mondo, il
regista Michelangelo Ricci, l'attore Maurizio Muzzi, la
giornalista Elisabetta Malantrucco. Se c'è dentro
qualcosa di sensato è dovuto a loro, il resto è
farina del mio sacco.)
Alessio Lega Milano |
I
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ricordando Pio Turroni; 20,00; Daniela e Edy Zarro
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