repressione/2
Dalla parte delle vittime di abusi
intervista di Carlotta Pedrazzini all'Associazione contro gli abusi in divisa (Acad)
Da anni impegnati nella denuncia di quelle vicende che spesso non trovano spazio sui mass media, le/i militanti di Acad spiegano difficoltà e risultati del loro impegno, che prosegue anche in quest'epoca di lotta alla pandemia.
Carlotta – Quando è stata fondata Acad
(Associazione contro gli abusi in divisa), di cosa vi occupate
e come? Chi si rivolge a voi tramite il numero verde che avete
messo a disposizione?
Acad – L'associazione nasce formalmente come Onlus nel 2014 dall'intenso lavoro di un gruppo di attivisti che, già da diversi anni, si stavano occupando di abusi commessi dalle forze dell'ordine, cercando di dare una risposta concreta ai crescenti casi di violenza, al fegato che mordeva sempre di più per il disgusto e alle battaglie portate avanti dalle famiglie delle vittime.
In realtà, infatti, Acad come percorso di lotta organizzato contro gli abusi nasce molto prima, soprattutto grazie alla forza delle famiglie Aldrovandi, Cucchi e Uva, che non hanno accettato le versioni ufficiali di questure e giornali e, con grande forza e coraggio, hanno intrapreso una dura lotta per chiedere a gran voce la verità. Se non fosse stato per loro, oggi ci sarebbero stati tre funerali e non tre processi per morti di Stato. Sarebbe stato praticamente impossibile oggi arrivare alle grandi “vittorie” pubbliche che hanno portato consapevolezza popolare di massa atta a far emergere la violenza delle forze dell'ordine e, unendo le lotte, a contrastarla (il processo Cucchi, con il film in tutte le sale, le realtà sociali, le iniziative, ne è stato l'emblema).
L'idea di Acad nasce quindi all'indomani dell'omicidio Aldrovandi, nel 2005; è bastato vedere le foto di Federico per smentire la versione ufficiale: dicevano che si era accasciato davanti agli agenti per un malore, dicevano che era un drogato. Oggi sappiamo che Federico è stato ucciso da quattro poliziotti con una ferocia inumana, che aveva 54 lesioni sul corpo e che gli avevano spezzato due manganelli addosso.
Come Federico, purtroppo, molti altri. La famiglia Aldrovandi è stata un'importantissima guida per chi negli anni successivi ha subito abusi in divisa: il 2008 è l'anno della tragedia di Uva e il 2009 di Cucchi. Da quel momento in poi inizia un percorso unitario e vengono organizzate in tutta Italia iniziative sul tema delle morti di Stato. Questo è anche il momento in cui quel gruppo di attivisti decide che bisogna fare qualcosa di più per combattere le ingiustizie del sistema e per essere uno strumento di difesa contro i vari abusi delle forze dell'ordine. Nasce quindi l'esigenza di concretizzare e strutturare maggiormente Acad. Nasce l'associazione, nascono le assemblee territoriali, nasce il coordinamento nazionale. Al momento seguiamo una ventina di processi in corso, cerchiamo di dare supporto immediato alle richieste di aiuto, siamo in contatto con oltre trenta famiglie e vittime dirette sopravvissute, rispondiamo al nostro numero verde giorno e notte, aggiorniamo quotidianamente la pagina Facebook e il sito di controinformazione, replichiamo a centinaia di segnalazioni via mail.
Nella pratica l'azione di Acad si muove quindi su più fronti:
- attivarsi velocemente in caso di abuso tramite un numero verde attivo 24/h collegato a oltre 20 numeri di attivisti sparsi in più zone d'Italia che sono in contatto con una rete di oltre 90 avvocati per cercare di agire nell'immediato in caso di abuso;
- sostenere le battaglie delle famiglie, presenziando alle udienze e creando momenti di ricordo, confronto, informazione, anche quando i processi finiscono. Sostegno alle famiglie delle vittime anche con iniziative di autofinanziamento per sostenere i costi processuali e di controperizie medico-legali in caso di indigenza;
- controinformazione: la difficoltà mediatica di questi casi necessita di uno sforzo di informazione costante; troppo spesso infatti gli articoli dei media nazionali vengono scritti senza una reale conoscenza dei fatti, ma ricopiando le veline dei verbali di questure colpevoli e complici. Quello che ne deriva è un'unica versione dei fatti, indiscutibile. Necessari sono quindi momenti di confronto con le persone, iniziative pubbliche e nelle scuole. Anche per questo abbiamo lanciato due campagne: #acadinogniscuola e #acadinognicittà per cercare di essere il più capillari possibili nel territorio e per lanciare dal basso un dibattito sulle morti di Stato, sugli abusi e più in generale sulla repressione.
In caso di segnalazione di un abuso, come prima cosa viene fatta una valutazione collettiva con il supporto dei nostri avvocati. Successivamente sono gli attivisti del punto Acad geograficamente più vicino a prendersi in carico il singolo caso. Nel caso di abusi che si stanno ancora consumando, la prima cura di Acad è quella di attivarsi in un'azione di pronto intervento cercando di garantire l'immediata presenza fisica di attivisti e di un legale. La gran parte delle violenze si verificano al momento dei fermi, o in tempi immediatamente successivi nelle caserme, nelle questure e a volte anche al Pronto Soccorso. Inoltre molti degli elementi che saranno determinanti in sede giudiziaria si acquisiscono proprio in questa prima fase. È fondamentale che vittime e familiari sin da subito possano godere di un supporto adeguato. Il numero verde serve proprio a garantire questa tempestività.
Se la vittima diventa il colpevole
Quali sono i casi più comuni e più
critici che vi trovate ad affrontare?
È quasi impossibile fare un'inchiesta seria e mettere
nero su bianco la grande quantità di segnalazioni che
ci arrivano, suddividere il tutto in categorie di abusi, studiarle,
analizzarle e collettivizzare i risultati. Ci stiamo provando
da molti anni a portare avanti questa via per arrivare a un
dossier che contenga tutte i casi, ma le urgenze si sommano
e il tempo per sistemare i dati è sempre troppo poco.
Purtroppo gli abusi non si fermano, si sommano ogni giorno e
hanno bisogno di risposte, soluzioni, tempo ed energie.
I casi più comuni – a parte le recenti presunte
o fantasiose violazioni delle ordinanze legate al Covid-19,
le morti terrificanti in carcere dopo le proteste o l'aumento
vertiginoso dei TSO – sono senz'altro i fermi per possesso
di droghe leggere o altri piccoli reati che rapidamente degenerano
in episodi violenti, dove l'arroganza delle divise viene per
magia tramutata in resistenza a pubblico ufficiale e, nei casi
più gravi, a reati di violenza a pubblico ufficiale,
spesso supportati da referti inverosimili, mentre dall'altra
parte si fatica a ottenere un referto decente e congruo per
le violenze realmente subite dal fermato. La vittima diventa
automaticamente e sempre il colpevole.
I casi più critici invece sono quelli di morte. Sentire
dall'altro lato del telefono o incontrare un familiare che ha
perso il proprio caro in un pestaggio, in un fermo con soffocamento,
in una morte in carcere o in una sparatoria, è quanto
di più difficile ci possa essere, soprattutto a livello
umano; è devastante e molto impegnativo.
Nell'ultimo anno è capitata la prova più grande
per la nostra associazione, ritrovarsi a casa della moglie delle
vittima dopo due ore dai fatti. Ancora ci tremano le gambe,
ma se non avessimo suonato a quella porta, Arafet Arfaoui, ragazzo
di 31 anni soffocato da 5 poliziotti in un money trasfer di
Empoli nel gennaio 2019, sarebbe risultato morto per droga.
E invece, grazie anche alla solidarietà popolare e al
supporto di tutti, oggi abbiamo 5 iscritti nel registro degli
indagati per omicidio.
Che cambiamenti ha provocato la situazione generata
dal Covid-19? Vi risulta una maggiore arroganza del potere?
Avete ricevuto più segnalazioni e richieste di aiuto?
Il cambiamento che abbiamo notato durante il periodo di quarantena
– che crediamo sia stato sotto gli occhi di tutti, dati
i numerosi video in circolo sul web – è stato l'inasprirsi
della morsa del controllo sociale che, secondo la logica dell'abuso,
ha elevato di diritto, e spesso anche nell'opinione pubblica
di massa, gli agenti a paladini della giustizia per il rispetto
delle norme anti Covid-19; la situazione ha dato loro molta
più libertà di azione e movimento, facendo sì
che spesso e volentieri si sfociasse in fermi violenti e insensati,
contribuendo a generare un senso comune di “legalismo”
e rispetto delle regole anche fra la popolazione stessa.
Tutto ciò è stato aggravato dalla strategia che
ha coinvolto anche i media nazionali che hanno messo sul piano
degli “eroi fondamentali” medici, infermieri e forze
dell'ordine; un atteggiamento atto a forzare l'opinione pubblica
all'accettazione della sottomissione passiva e dell'abuso.
A livello di segnalazioni, contiamo un'impennata rispetto alle
e-mail e ai messaggi via facebook. Numericamente parliamo di
42 richieste di aiuto sulla mail ufficiale e numerosissime segnalazioni
via facebook fra cui 22 storie di abusi documentate che abbiamo
inserito in una parte apposita del nostro sito web “Abusi
in quarantena”.
Ricordiamo a tutt* l'importanza di segnalare e documentare,
con video soprattutto, gli abusi commessi dalle forze dell'ordine.
Non solo in questi giorni, durante i quali l'abuso sta diventando
un'inquietante normalità con multe spesso ingiuste e
fermi altrettanto spesso violenti.
Disponibilità al supporto per abusi, violenze, sanzioni
Fra le varie questioni legate all'emergenza sanitaria
c'è anche il blocco della “giustizia”. In
questo periodo sembra ancora più difficile – quasi
impossibile – fare opposizione ai provvedimenti e fare
ricorso in caso di multe e sanzioni. Cosa consigliate a chi
ritiene di essere stato vittima di un abuso o di una sanzione
ingiustificata?
Se si è vittime di abuso è sempre bene segnalarlo, ove possibile documentandolo con immagini o video. Per le multe, ove si ritiene siano ingiustificate, è possibile presentare ricorso, anche se le scadenze della definizione dello stesso dipendono non tanto dal blocco della giustizia per il virus (che in realtà riguarda più che altro i processi penali, non tanto la giustizia civile), quanto piuttosto dalle fisiologiche tempistiche che da sempre riguardano la giustizia.
Se si vuole fare ricorso è quindi sempre opportuno tenere presente i tempi, facendosi consigliare anche dal proprio legale.
Il blocco della giustizia penale merita poi una parentesi a parte, che sarebbe lunga e anche abbastanza tecnica. Le rappresentanze degli avvocati penalisti in questi giorni stanno proprio mettendo in discussione la legittimità costituzionale del processo penale da remoto, quindi via computer, che pregiudica i diritti costituzionalmente garantiti sia degli imputati che della difesa stessa.
È opportuno sottolineare che le casistiche di multe – e quindi di abusi – sono talmente varie che è sempre bene non generalizzare e valutare i singoli casi con una consulenza legale specifica.
A tal proposito, e nei limiti del possibile della nostra piccola associazione, rinnoviamo la nostra disponibilità di supporto. I nostri contatti sono:
Numero verde 800 588 605 (solo per emergenze in corso)
E-mail: infoacad@inventati.org
Pagina facebook: https://www.facebook.com/acadonlus/
Carlotta Pedrazzini
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