Rivista Anarchica Online


distribuzione alimentare

Supermercati sì, mercati contadini no?

di Manuel Garuti

Le scelte politiche governative discriminatorie hanno danneggiato e danneggiano le piccole produzioni e distribuzioni a tutto vantaggio dei colossi della grande distribuzione. Con danni (e rischi maggiori) anche per la gente.


Con il propagarsi dell'emergenza Covid-19 si è vista una netta serrata della gran parte dei mercati contadini. Soprattutto a partire dal mese di marzo, in varie città si sono applicati provvedimenti anti-coronavirus che hanno causato la chiusura delle piccole reti distributive alimentari locali.
Per quanto vi sia stata condivisione nella scelta di cercare, laddove possibile, di arginare la diffusione del virus, risulta però inspiegabile questo provvedimento che ha di fatto penalizzato tante piccole aziende agricole, favorendo totalmente la grande distribuzione organizzata.
Questa assurda linea di contenimento può essere ritrovata anche in altre incomprensibili scelte che il governo ha voluto imporre come, ad esempio, il divieto di poter fare attività fisica o anche solo di uscire di casa con le dovute precauzioni. Si sono susseguite settimane assurde in cui, fra le poche possibilità che erano rimaste di evadere da una condizione di arresti domiciliari collettivi, vi era quella di andare a fare spesa al centro commerciale più vicino.
Questo ha portato alla creazione di interminabili code davanti ai supermercati, nate non solo dall'esigenza di rifornirsi di prodotti alimentari, ma anche dalla naturale necessità di voler uscire da una condizione di detenzione forzata.

Meglio le aree aperte

Quante attività dedite alla produzione di beni non essenziali non hanno mai chiuso? Quante fabbriche sono state al centro di notizie quotidiane di contagi avvenuti sul posto di lavoro durante questi mesi? Fabbriche che per la gran parte non si sono curate nemmeno, se non proprio nell'ultimo periodo, di fornire le minime attrezzature protettive ai propri lavoratori e alle proprie lavoratrici.
Questi sono solo alcuni fra i tanti esempi che si possono citare a dimostrazione della disparità di trattamento che ha caratterizzato la scelta di chiudere i mercati contadini. Togliendo così di fatto la possibilità a tutti/e di rifornirsi di alimenti sani e genuini, che sono sicuramente protagonisti indiscussi della cura e del mantenimento della salute di tutta la collettività.
Le grandi catene distributive invece hanno avuto un netto aumento delle vendite, fino ad arrivare ad un intasamento dei servizi disposti alla consegna a domicilio della spesa. Questo aumento è un altro inequivocabile dato che mostra chiaramente che i mercati locali avrebbero potuto aiutare le comunità ad accedere al rifornimento alimentare evitando interminabili attese, sia per le consegne sia davanti ai centri commerciali.
In aggiunta, come nel caso delle fabbriche, anche nei centri commerciali i dispositivi di protezione e l'attenzione alla salvaguardia dei lavoratori e delle lavoratrici è stata certamente inadeguata.
Da un punto di vista della sicurezza collettiva poi, le aree aperte dove si svolgono i mercati settimanali contadini sono di fatto più predisposte nell'evitare che nuovi contagi possanno presentarsi.

Una filiera corta e diretta

Nonostante le scelte che hanno portato a una vera e propria discriminazione nei confronti delle piccole attività agricole, molte si sono da subito riorganizzate attraverso consegne a domicilio autogestite fra più produttori o anche singolarmente mantenendo viva, per quanto possibile, un'alternativa alle grosse industrie agroalimentari.
Nella “fase 2”, in cui si ha la riapertura in sicurezza di tanti mercati contadini, emergono altrettante discrepanze. È incomprensibile come le precauzioni che oggi dobbiamo rispettare per permettere lo svolgimento dei mercati – quindi guanti, mascherine, distanze, ingressi contingentati – non potevano trovare la medesima applicazione anche prima, garantendo così una sicurezza nello svolgersi delle distribuzioni. In aggiunta, alimenti che attraversano una filiera corta e diretta risultano certamente più sicuri rispetto a quelli che sono costretti ad attraversare un lungo tragitto e quindi molti passaggi prima di arrivare a destinazione.
Altre “vittime” di questo trattamento impari sono stati i tanti e le tante che avevano piccoli orti che non erano in prossimità dell'abitazione, i quali hanno dovuto abbandonare tutte le lavorazioni poiché l'autoproduzione di cibo non era contemplata nelle motivazioni che permettevano l'uscita di casa.
Questa emergenza ha reso evidente quanto sia importante e insostituibile l'accesso al cibo per la collettività per evitare di essere totalmente sotto ricatto. La produzione e la distribuzione alimentare non devono in alcun modo essere, come oggi, una fonte di profitto di lobby e multinazionali che ne detengono il controllo quasi totale.

Proteggere l'ecosistema

Proprio per questo motivo è fondamentale dare valore ed energia a tutte quelle reti locali e circuiti di scambio che propongono un'alternativa alla grande distribuzione organizzata. Questa scelta può facilmente trovare concretezza nella quotidianità di tutti e tutte, appoggiandosi per il proprio fabbisogno alimentare a chi lavora, nei vari territori, con criteri etici e sostenibili e riprendendo possesso di tutte le competenze per riportare le comunità ad una diffusa pratica di autoproduzione agricola.
Bisogna rivoluzionare le scelte alimentari quotidiane, mangiando per quanto possibile prodotti locali, stagionali, realizzati con metodi naturali e che sostengano un'agricoltura che vuole essere custode e protettrice dell'ecosistema.
Solo così si potranno creare le condizioni per riuscire a ribaltare le odierne logiche capitalistiche di produzione e distribuzione alimentare, che hanno come unico fine il profitto, a spese del pianeta e di tutti i suoi abitanti.

Manuel Garuti