Analfabetismi
Il punto è che non sto più capendo.
Io che sono sempre stata innamorata delle parole e della loro
forza, del modo in cui possono essere impugnate come armi ma
anche usate come cura, non sto più capendo. E non credo
neanche di essere l'unica. In questa orgia di teorie, dibattiti,
accapigliamenti insensati, pareri e contropareri, spesso svenduti
a caso da qualcuno che non ha idea di che cosa si stia parlando,
il senso è andato perduto. Resta lo sciacallaggio dell'inconsapevolezza
(che è ignoranza) e della manipolazione consapevole (che
è esercizio del potere).
Ci
sono due modi di svuotare la parola. Uno è star zitti.
L'altro è parlare in eccesso. Il parlare in eccesso si
esibisce nel dire quello di cui non si sa, ponendolo come una
verità cristallina. Anche in questa seconda ipotesi,
esistono due vie possibili. La prima discende l'assenza di pensiero
e conoscenza, un'assenza spesso arrogante e che mistifica senza
la piena consapevolezza di farlo. La seconda segue una strada
diversa, non saprei dire se più colpevole o no. Essa
riconosce l'enorme potere delle parole e lo usa, trasformando
il segno in una scatola vuota, derubricata alla sola superficie,
alla quale l'ascoltatore inconsapevole si ferma, nell'illusione
di aver capito qualcosa che non c'è. È il dettaglio
del significato che va perduto, ed è un dettaglio infinitamente
importante.
“Le parole sono pietre” dice Alessandro Portelli.
Mentre lo ascoltavo, qualche tempo fa, intento a spiegare il
suo lavoro sulle culture popolari afroamericane, pensavo alla
forza di questa affermazione, ma anche alla sua duplicità.
Una volta lanciate nello spazio della relazione, esse non possono
più essere cancellate. Restano sbagli o sentenze, e si
riproducono come le pietre non sanno fare, con la furia inarginabile
di una epidemia.
Il senso di un'organizzazione gerarchica
“Epidemia” è una parola che abbiamo imparato
a usare molto, di recente. Etimologicamente, è un termine
composto, che mette insieme il concetto di “sopra”
con quello di “popolo”. Il senso di una organizzazione
gerarchica che si impone sulla volontà popolare è
segnale e simbolo di questi tempi sciagurati. Quello che ci
è accaduto, ora, trascende la volontà popolare
e la riduce a uno stato di confusione del quale è facile,
per chi lo vuole, approfittare. È semplice, per chi ha
contratto l'abitudine a violare le parole, servirsi di questa
condizione per costruire una gabbia, spacciata per un luogo
sicuro. Una volta dentro, non potremo uscire. Però possiamo
evitare di entrarci, quanto meno volontariamente, se capiamo
quello che sta succedendo.
Continuo a sentir dire che gli italiani sono di destra. Oltre
alla fatica di assimilare una generalizzazione nazionalista
di questo tipo, mi chiedo come sia possibile ridurre una pluralità
di individui a una categoria ideologica così imbarazzante.
Accantonando la difficoltà a capire che cosa voglia dire
“essere di destra” o “di sinistra” oggi,
e supponendo che per destra si intenda – come ho sentito
qualche giorno fa – la tendenza a sostenere un governo
che ci dia regole da applicare e che ci salveranno, beh, non
sono d'accordo.
Le cose stanno anche peggio di così. Io credo che gli
italiani – categoria che comunque ho difficoltà
a inquadrare – chiedano regole per un altro motivo, storicamente
consolidato: per mettersi poi in polemica con esse. Questa polemica
non è un atto di libertà individuale (che, quando
consapevole, sarebbe anche una buona cosa), ma una corsa collettiva
a dimostrare quanto si è più bravi a imbrogliare
le carte, violando una attenzione non scritta, che è
la dimensione della vita collettiva in una cornice di libertà.
Questa dimensione rischia di essere azzerata da una condizione
emergenziale che, nel senso comune, sdogana ogni forma di controllo
nella cornice di un bene superiore.
Io non credo che esista alcun bene superiore senza l'attenzione
per il singolo. E credo anche che abbia ragione Donna Haraway
quando, in Staying with the Trouble, ribadisce che non
esiste conoscenza al di fuori della relazione. L'unica soluzione
ai guai del mondo è imparare la simpoiesi, il fare insieme
libertario e consapevole, che non ha al suo centro l'uomo occidentale,
ma la creatura vivente che, nelle sue infinite varietà,
abita il pianeta. “Make kin not babies”, ovvero
investite nella relazione, con chiunque essa sia, e non a detrimento
della vostra libertà.
Le dittature si edificano sulle emergenze. O presunte tali
E tornando a noi, per poi chiudere questo faticoso cerchio della storia, occorre forse diffidare di chi rimette sul tavolo, ancora una volta e rischiando la noia di un discorso fatto ormai mille volte, la rabbia del popolo italiano contro il governo (di qualunque ordine e grado). Il popolo è troppo impegnato a sopravvivere, ma anche a fare in modo che questa necessità di sicurezza non diventi un grimaldello nei confronti di chi, dopo aver provocato il danno, adesso propone una soluzione, e poi un'altra, e poi un'altra ancora.
Le dittature si edificano sulle emergenze, o presunte tali. E si edificano perché, come scrive Atwood in Il racconto dell'ancella, “Eravamo addormentati: è così che abbiamo permesso che accadesse”.
Per distrazione e perché abbiamo trascurato il senso di quello che ci veniva detto.
Sarà meglio, di questi tempi, fare attenzione.
Nicoletta Vallorani
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