dibattito anarchismo
La nostra cassetta degli attrezzi
di Francesco Codello
Una società diversa si può realizzare se le persone che la compongono e la animano sono diverse. È questo il fine del nostro impegno, che attinge alla ricca e multiforme storia del pensiero e del movimento anarchico.
«Non ho abbandonato l'ideale della società anarchica del futuro, ma solo la convinzione che possa essere raggiunta in un prossimo futuro con gli uomini attuali. Credo per contro alla sua razionalità e alla sua realizzabilità grazie agli uomini di buona volontà e di buon senso» (Gustav Landauer).
Faccio mie queste parole di Gustav Landauer e ritengo quanto mai attuale riflettere su di esse.
Avere una visione che contenga i connotati di un mondo diverso da questo è indispensabile per non subire passivamente o per non accettare coscientemente le condizioni di dolore, sopraffazione, disuguaglianza, dominio che quotidianamente ci vengono imposte. Ma ho la convinzione che non sia sufficiente pensare “altro” e produrre un capovolgimento radicale per avere la garanzia che questa visione possa concretizzarsi. Una società diversa si può sostenere se le persone che la compongono e la animano sono diverse.
Ho ben presente che qui si aprono due (schematizzando) approcci differenti che hanno caratterizzato anche la discussione tra gli anarchici nel corso della storia. La questione è nota: va cambiata la società perché solo così saranno diverse le persone oppure sono le persone stesse che, cambiando, muteranno la società? Ma non è questa la questione che vorrei qui affrontare, anche perché i due cambiamenti non possono che avvenire in ambedue i sensi. Si tratta allora di riflettere sul qui e ora, su questa società nella quale viviamo e sulle persone che siamo e che frequentiamo a livelli diversi per intensità e grado di scelta. Le drammatiche vicende di questi tempi sono, a mio modo di vedere, abbastanza emblematiche per provare a confrontarsi su questa prospettiva.
Un lavoro lungo e difficile
Certamente è giusto e inevitabile, per chi come noi
sostiene la libertà nella sua più elevata espressione,
non solo preoccuparsi ma anche denunciare le possibili derive
autoritarie, lottare affinché questo non avvenga. Ma
io mi sono chiesto tante volte, in circostanze diverse della
quotidiana esistenza, non solo nei momenti drammatici ma anche
in quelli più consueti e abituali, come sarebbe stato
possibile, non a slogan, suggerire, proporre, praticare, modalità
organizzative coerenti col nostro modo di pensare la vita sociale.
Credo che sia difficile, se non impossibile, trovare risposte
a tavolino, addirittura sbagliato (quando non deleterio) costruire
sistemi astratti di prefigurazione sociale.
Prima
di tutto perché la nostra cassetta degli attrezzi (il
patrimonio storico dell'anarchismo) non ha risposte a tutte
le questioni che caratterizzano la vita sociale. Poi perché
dobbiamo tener conto di chi siamo, dei limiti e delle potenzialità
che abbiamo, singolarmente intesi e collettivamente pensati
come gruppo sociale. Solo la pratica e la sperimentazione, accompagnate
da una visione più generale, possono aiutarci in questo
senso.
Allora, se queste considerazioni preliminari sono vere e accettate,
ritengo fondamentale riconoscere che la parte distruttiva del
nostro pensare e agire non può rappresentare da sola
il senso delle nostre azioni. Date le condizioni generali attraverso
le quali si esercitano le forme attuali del dominio, in tutte
le sue sfaccettature, mi pare veramente incompleto continuare
a pensare a un cambiamento nei termini consueti in cui è
stato concepito e nei modi in cui, mi auguro marginalmente,
continua a essere perorato.
Ecco perché la riflessione di Landauer mi sembra quanto
mai opportuna e utile. Alcune caratteristiche di ciò
che siamo oggi, ciò che molti uomini e molte donne di
questo mondo pensano e agiscono, non può essere il fondamento
su cui poter costruire una società radicalmente diversa
quale noi agogniamo. Qualcuno può pensare onestamente
che se d'improvviso dovesse sparire ogni forma di dominio più
evidente e noto il gioco sarebbe fatto?
Con questo non sto dicendo che lottare per annientare le forme
più varie di oppressione e di violenza non sia il nostro
scopo. Sto sostenendo che è un lavoro lungo e difficile
che ci aspetta e che forse non completeremo mai. Mi sto chiedendo
se, per come siamo oggi, generalmente intesi, saremmo in grado
di reggere all'improvviso un vero e profondo cambiamento in
senso anarchico.
Viviamo una fase storica dove la semplificazione e la banalizzazione
rappresentano una delle forme più consolidate del potere
politico, dove il dominio è divenuto parte integrante
del nostro pensare, del nostro agire; è divenuto corpo,
è dentro di noi, grazie a sottili e devastanti azioni
di condizionamento a tutto campo. Possiamo allora pensare che
tutto questo possa in un baleno sparire semplicemente perché
abbattiamo le forme più evidenti del Potere (ammesso
di riuscirci, ovviamente)?
Non ne sono certo, ho dei dubbi, credo quanto mai necessario
porsi anche questa questione. Riflettere su questo non è
un ripiegamento all'interiorità, una ritirata mistico-religiosa,
una scappatoia, una fuga dalla nostra responsabilità.
Si tratta di essere consapevoli che il nemico da cui difendersi
non è solo quello esterno a noi, ma che uno altrettanto
pericoloso e difficile da sconfiggere è spesso dentro
di noi. Sta dentro le nostre abitudini, le nostre comodità,
la nostra pigrizia, la nostra fuga dalla libertà, la
nostra limitatezza e specificità, corre attraverso le
nostre vene infettate da paure, rancori, cattiverie, egoismi.
Necessaria e inevitabile coerenza tra mezzi e fini
C'è tanto lavoro da fare su noi stessi ma non da soli, non ripiegando in autoanalisi che portano spesso a compiacimenti e autogiustificazioni. Solo la condivisione, la messa in gioco nelle nostre relazioni sociali di ogni parte di noi, l'accettazione della nostra fragilità possono aiutarci veramente. Solo provando e riprovando, creando esperienze di condivisione e di mutuo aiuto, possiamo pensare di iniziare quel cambiamento che desideriamo e che riguarda ciascuno di noi e l'intera società.
Anch'io, come Landauer, credo veramente che l'anarchia sia un'idea razionalmente sostenibile e che solo uomini e donne, di tutte le età, di buona volontà e dotate di buon senso, possano cominciare a renderla operativa.
Questa speranza si nutre di una convinzione che ho fatto mia e che Colin Ward ha più volte sottolineato: «Dato un comune bisogno, le persone sono in grado, tentando e sbagliando, con l'improvvisazione e l'esperienza, di sviluppare le condizioni per il suo ordinato soddisfacimento; e che l'ordine cui si approda per questa via è di gran lunga più duraturo, e funzionale a quel bisogno, di qualsiasi altro imposto da un'autorità esterna».
Il nostro lavoro non viene sminuito né ancor meno banalizzato se si muove in questa direzione. Probabilmente è più difficile, meno autoreferenziale, più rischioso, potrebbe metterci in condizione di ritarare le nostre convinzioni, ma credo più efficace. I tempi lunghi non ci devono spaventare se servono a far crescere una nuova cultura che si sostanzia più in profondità, dentro ciascuno di noi e, soprattutto, nella nostra società. E poi abbiamo una forza che nessun altro pensiero ha: la convinzione della necessaria e inevitabile coerenza tra mezzi e fini. Questa è la nostra bussola che ci può continuamente indicare se siamo in cammino lungo una strada giusta.
Francesco Codello
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