Rivista Anarchica Online
Torquemada in Italia
di Paolo Finzi
Su questa faccenda delle torture avete scritto un sacco di puttanate. Ogni
poliziotto che sa fare il suo mestiere se ne accorge subito. Prendi l'acqua
e il sale. Sì, è vero, in qualche caso l'abbiamo usata. Ma mica come si è
raccontato. Quella storia dei litri buttati giù a forza... di solito basta
il primo bicchiere. E per farlo bere ti bastano due dita dietro la testa.
Poi non devi fare più niente. L'interrogato ha bisogno di bere. Gli lasci il
bottiglione e te ne vai a prendere un caffè. Quando torni, l'acqua e sale se
l'è finita di bere lui, da solo. Gliene lasci ancora. Butta fuori tutto, da
sopra e da sotto; ma non può smettere di bere. Basta che tu torni dopo un
po', con una bella bottiglia di acqua fresca e pulita, magari con le
goccioline che scendono lungo il vetro.
Che le cose, però, non stiano esattamente così, come le descrive su La
Repubblica (18 marzo) un anonimo investigatore di polizia (che - viene
precisato - ha partecipato in prima persona alle fasi più delicate e calde
dell'inchiesta Dozier), ci sono innumerevoli testimonianze a dimostrarlo.
Innanzitutto, le denunce - spesso uscite per vie traverse - delle vittime
di questi episodi di vera e propria tortura. Che non si tratti di sicuro di
singoli episodi isolati, lo conferma, da Londra, anche David Braham,
responsabile dell'"unità di ricerca" per l'Italia di Amnesty International,
l'organizzazione internazionale che da anni si batte contro la tortura e la
pena di morte. Abbiamo già raccolto una massa di indizi impressionante - ha
dichiarato Braham - Riceviamo segnalazioni di casi di tortura da tre mesi,
e con particolare intensità ne abbiamo avute nelle ultime settimane.
Tenendo presenti la tradizionale lentezza di Amnesty International e la
sua disponibilità a muoversi solo sulla base di una rigorosa e verificata
documentazione, si ha un'autorevole conferma che la tortura in Italia c'è.
Che non si tratti solo dell'iniziativa "scomposta" di qualche poliziotto
particolarmente incarognito, ma di un preciso "stile" operativo
sollecitato e comunque avallato "dall'alto", lo dimostrano - oltre al
numero stesso degli episodi denunciati - le precise dichiarazioni
rilasciate da alcuni funzionari ed agenti di polizia iscritti al SIULP:
dichiarazioni, queste, che hanno suscitato l'indignata reazione dei
difensori ad oltranza della repressione, ma che - guarda caso - coincidono
sostanzialmente con i racconti delle vittime della tortura. Come nel caso
di Alberta Biliato, imputata nel caso Dozier. Un poliziotto, presente nel commissariato di P.S. a Mestre, ha raccontato
infatti (sul numero citato de La Repubblica) che, affacciatosi in una
stanza riservata, si era sentito gridare "E tu che cazzo vuoi?" ed era
stato spinto via. Ma qualcosa ho visto. Al centro della stanza c'era una
ragazza con la testa incappucciata da qualcosa di bianco, forse un
asciugamano: da sotto spuntavano dei capelli biondi. Uno dei tre che stava
dentro, tutta gente arrivata da fuori, era accanto alla ragazza e la faceva
girare su se stessa. L'ha anche colpita al capo (...). Chi fosse quella ragazza lo si è potuto capire appena Alberta Biliato è
riuscita a far pervenire alla stampa il resoconto del suo arresto. (...)
Dalla questura di Treviso venni subito portata al commissariato di P.S. a
Mestre in via Ca' Rossa (...) I poliziotti di Treviso se ne andarono quasi
subito ed entrarono quelli del posto che, dall'accento che avevano, presumo
fossero romani o meridionali (...) Mi rimisero la benda ed anche un
cappuccio di lana in testa che lasciava fuori solo la bocca. Mi fecero
rimanere ancora a lungo in piedi e ad un tratto mi fecero girare
vorticosamente con le loro mani altrimenti sarei andata a sbattere la
testa contro qualche cosa (...) Un poliziotto che in seguito sentii chiamare
maresciallo, mi diede una scarica di schiaffi prima su una guancia e poi
sull'altra. Quindi mi bendarono e cominciarono ancora con l'acqua e sale. Ml
fecero bere con un bicchiere a forza non so quanta acqua in varie riprese.
Io ogni volta vomitavo. Visto che non riuscivo a trattenerla, mi fecero
stendere su di una tavola e bere ancora, immobilizzandomi poi con un
bastone sulla bocca aperta per darmi modo di respirare ma impedendomi così
di vomitare (...) Alcuni mi tenevano le braccia, altri mi tolsero gli
stivali e cominciarono a bastonarmi sotto le piante dei piedi. Smisero per
un po' e poi lo rifecero (...) Mi denudarono completamente e uno seduto
dietro di me fece l'atto di infilarmi un bastone nell'ano e nella vagina, me
lo appoggiò spingendo solo un po'. Mi picchiarono quindi sulle anche e
sulle gambe con un bastone (...) Tutta la notte la passai bendata e in piedi,
a volte con le braccia alzate, a volte inginocchiata. Quando fu mattina
(così mi dissero), sempre il maresciallo mi alzò la maglietta e minacciò
con l'accendino di bruciarmi i capezzoli e le mani. Quindi mi tirò
fortemente sempre i capezzoli, e me li stritolò in tutte le maniere e a
lungo, tanto che i giorni successivi mi si screpolarono tutti (...) Mi
portarono quindi al piano superiore nell'archivio. Erano in parecchi, mi
colpirono al capo minacciandomi di appendermi nuda ed ammanettata ad un
gancio del soffitto fino a quando non avessi parlato (...) Io mi reggevo
malamente sulle gambe, ero di nuovo bendata. Poi il maresciallo (lo
riconobbi dalla voce) mi sbottonò i calzoni (indossavo una tuta) e mi
introdusse per varie volte una mano nella vagina. Tornarono anche gli
altri. Uno mi si sedette davanti ed anche lui mi infilò una mano nei
pantaloni tirandomi fortemente i peli del pube. Mi disse che se non avessi
parlato me li avrebbe strappati uno a uno (...). Non saremo certo noi anarchici a stupirci del fatto che polizia e
carabinieri utilizzino sistematicamente la tortura. Un simile stupore lo
lasciamo a tutti coloro che (ingenui? imbecilli?) continuano a illudersi
che vi possano essere poteri "buoni". Né è da oggi che nell'Italia
democratica e antifascista simili metodi vengono usati, anche se non in
tale misura e con tale sistematicità. Conosciamo troppo bene la storia, per
averla vissuta - come movimento anarchico - sulla nostra pellaccia, per
poter cadere nell'errore di sottovalutare il cinismo del potere e dei suoi
cani da guardia. Se è certamente vero che la lotta armata, qual è stata
condotta in questi anni, ha sortito l'effetto di rendere più efficiente
l'apparato repressivo statale (restringendo, al contempo, l'area di simpatia
e di impegno di chi vi si oppone), non si deve dimenticare che il potere si
è sempre servito dei mezzi giudicati più efficaci (e sbrigativi) per
combattere i suoi oppositori. Senza tornare tanto indietro, ricordiamo che
Pinelli fu assassinato nella questura di Milano (pare, dopo un pestaggio
con colpi di karatè) quando ancora di lotta armata non si parlava nemmeno.
E che, negli stessi locali, l'anno successivo l'anarchico Braschi veniva
fatto sedere sulla finestra e invitato a "fare come Pinelli", se proprio
non voleva "confessare" quel che i poliziotti volevano. In questo contesto, la nostra denuncia della tortura sistematica ha ben
poco a che spartire con quella (peraltro assai timida) portata avanti dai
comunisti e da altre forze d'opposizione. Dopo aver promosso e fatto
propria la strumentalizzazione ossessiva e martellante del lottarmatismo
ai fini del progetto di "solidarietà nazionale, il P.C.I., ora che vuole
accentuare il suo carattere di "lotta", non perde occasione per mettere in
difficoltà il governo. Anche la denuncia delle torture serve
strumentalmente a questo scopo: una denuncia limitata alle "presunte
deviazioni", al comportamento di questo o quel funzionario, meglio ancora
se piduista come uno dei torturatori di Mestre. La nostra, invece, è una denuncia dell'intero sistema repressivo, di cui la
tortura sistematica è uno degli aspetti più sconvolgenti, ma resta pur
sempre parte di una questione ben più vasta. Non si può accettare che
mentre si denunciano gli aspetti più bestiali della repressione, si
finisca con l'accettare come "cose normali" i pestaggi nelle carceri, i
braccetti speciali, le detenzioni preventive che durano anni (quelli del 7
aprile compiono in questi giorni i 3 anni di "preventivo"), i falsi
pentimenti, la cultura della delazione, ecc. ecc.. E, d'altra parte, quale credibilità può avere la "campagna" contro la
tortura portata avanti dalle B.R. e da quanto rimane del fronte
lottarmatista? Dopo aver predicato per anni l'uso illimitato della
violenza, dopo aver eretto la ferocia delle gambizzazioni a sistema di
lotta, dopo aver spinto in tutti i modi verso la logica della guerra, a che
cosa possono oggi appellarsi? Al senso di umanità su cui hanno sempre
sputato? A un'opinione pubblica che hanno sempre disprezzato? Non è forse
questo un risultato (prevedibile) dell'"innalzamento del livello di
scontro"?
Questa dichiarazione, con le firme di una trentina di compagni/e che
l'hanno sottoscritta, è stata distribuita a Venezia e dintorni sotto forma
di volantino.
Di fronte ad un clima di tensione, di intimidazione, di terrorismo, di
provocazione, che non accenna a diminuire.
Alla tracotante prevaricazione del potere che sempre più calpesta
ignobilmente anche i più elementari diritti del vivere civile.
Agli arresti che ricordano i tanto biasimati metodi della repressione
latino-americana e quindi al sequestro di persone per giorni e giorni
senza che nessuno, avvocati o familiari, sappia dove si trovino.
Ai pestaggi indiscriminati di gente fermata e per qualsiasi motivo
portata in questura e torture con l'appoggio di squadre speciali.
Di fronte all'uso di una stampa complice e sottomessa, che velatamente
appoggia e garantisce questo stato di cose e che trova più comodo
condannare ampiamente le ingiustizie e le atrocità degli altri paesi e
nascondere gli abusi di casa propria, nonostante la televisione di regime
- come nel Medio Evo, quando venivano pubblicamente eseguite le sentenze
e le torture più raffinate - ci faccia vedere i volti tumefatti dei
presunti terroristi che denunciano a milioni di sordi di essere stati
"torturati".
Di fronte a questa situazione generale che rischia di diventare parte
integrante del nostro vivere sociale, che annulla con un sol colpo di
spugna libertà e diritti che si credevano ampiamente acquisiti, un gruppo
di militanti anarchici ha ritenuto doveroso denunciare pubblicamente
tutto ciò, quando di pubblico c'è solo la parola arrogante del potere,
firmando direttamente con nome e cognome questa lettera aperta:
Non siamo brigatisti, fiancheggiatori o loro simpatizzanti; fin dal suo
primo sorgere abbiamo criticato e combattuto la strategia della lotta
armata in Italia, autoritaria e leninista nella sua concezione, fanatica
e perdente nella sua pratica.
Lo Stato, il Potere, da questo scontro, non poteva che rafforzarsi.
Il tempo ci ha dato ragione.
L'inasprimento della "guerra privata" brigate rosse/frange affini e
Stato italiano ha portato non già all'acuirsi della lotta sociale, che
sempre meno si è riconosciuta in questo scontro, ma alla generalizzazione
delle leggi di guerra su scala sociale.
La destra più forcaiola italiana con i suoi deliranti messaggi di morte
non poteva sperare di meglio.
L'informazione, abilmente manipolata dagli organi di regime, ha avuto buon
gioco nello stimolare nella pubblica opinione uno stato di insicurezza
generale, al quale non poteva che corrispondere una richiesta di ordine e
di sicurezza e, di conseguenza, una maggiore identificazione
dell'individuo medio con il potere, unico garante delle paure inconsce
che le sottili maglie della psicologia sociale ha saputo risvegliare
attraverso il fantasma del terrorismo.
La guerra privata dei brigatisti ha creato il pretesto e la possibilità -
vecchio sogno da sempre accarezzato - di criminalizzare le lotte sociali;
il dissenso diventa sinonimo di terrorismo; molti compagni vengono
condannati senza l'ombra di una prova e solo in base alle dichiarazioni
dei quanto mai provvidenziali "pentiti".
Emblematico il caso di MONICA GIORGI, attiva militante anarchica
livornese, condannata a 12 anni di galera per accuse legate al
terrorismo, in base alle sole dichiarazioni del pentito di turno,
definito equivoco dagli stessi magistrati istruttori.
NON CHIEDIAMO AL POTERE DI RISPETTARE DELLE LEGGI CHE ESSO STESSO
CALPESTA DOPO ESSERSENE ERETTO A DIFENSORE: DENUNCIAMO E BASTA.
Ci appelliamo a quanti amano la propria libertà al pari di quella degli
altri, perché sappiano che non esiste potere che garantisca qualsivoglia
diritto, ma solo la propria forza e la volontà di essere comunque UOMINI
E DONNE LIBERI!!!
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