Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 12 nr. 100
aprile 1982


Rivista Anarchica Online

Un tabù per il potere
di Eduardo Colombo

Presso i discendenti dell'Ilunga Mbili, il nuovo Mulowhe (il grande capo dei Baluba) aveva rapporti sessuali con sua madre e le sue sorelle. Le donne e le figlie dei suoi fratelli divenivano automaticamente sue spose. Egli proseguiva anche la tradizione di Kongolo, che aveva dei rapporti sessuali con le sorelle. E, senza saperlo, si collocava nella tradizione consacrata dell'incesto reale, che non si limita all'Africa nera, dal momento che già c'erano stati gli esempi celebri dell'Egitto dei faraoni (come Tolomeo VIII Evergete II, che non esitò a sposarsi con la regina sua sorella, vedova di suo fratello Filometore; poi violentò la figlia di sua moglie e due volte sua nipote, con la quale più tardi si sposò. La famosa regina Cleopatra, che era il frutto di questa lunga successione di incesti, si sposò in tempi successivi coi suoi due fratelli Tolomeo XIII e Tolomeo XIV), dei persiani, degli incas, dei melanesiani, ecc.. In molti di questi casi, come in tante altre ricerche antropologiche, si tratta di incesto rituale, cioè (se ci è concesso usare questi termini) di una trasgressione permessa e addirittura prescritta di quella legge che proibisce l'incesto. Potremmo anche citare la tradizione clandestina dei re del Medioevo e dei papi del Rinascimento, o la pratica frequente dell'incesto in tutte le società conosciute, nonostante le interdizioni formali e la persecuzione legale. Ma le difficoltà iniziano quando si tratta di comprendere quel fenomeno psicologico e sociale che noi chiamiamo incesto, nonché il suo significato nella cultura.
I differenti termini (utilizzati da popoli diversi) che gli antropologi traducono con la parola "incesto" sono portatori di tradizioni culturali, valori etici e pensieri che non hanno niente in comune tra di loro e anzi, frequentemente, sono in contrasto. Nelle lingue romanze "incesto" deriva dal latino: in (prefisso con un significato negativo) e castum (incestus, propriamente, "non casto"). L'idea latente sarà dunque quella di un'offesa alla purezza e alla decenza. In lingua indonesiana, tanto per fare un altro esempio, la parola che generalmente si traduce con "incestuoso" è sumbanc, che significa anche "sconveniente" o "ripugnante". Indica una condotta socialmente criticabile o condannabile: dal punto di vista sessuale comprende sia l'incesto sia l'adulterio.
Attualmente il dizionario ci dice che l'incesto è una relazione sessuale tra parenti prossimi, che non hanno diritto al matrimonio. In altri termini, una relazione illecita tra persone che sono parenti ad un grado specificato dalle leggi. Le spiegazioni avanzate sono di tutti i colori e vanno dalla paura o dall'orrore per il sangue mestruale, passando per gli effetti nefasti (?) della consanguineità, la ripugnanza istintiva, la rottura della solidarietà familiare, fino agli effetti di disorganizzazione degli status gerarchici che l'accettazione dell'incesto può produrre nella società. Ma ciò che ha affascinato gli antropologi (tutti, sia detto di passaggio, individui più o meno socializzati della nostra stessa cultura) è la pretesa universalità della proibizione dell'incesto. Noi faremo riferimento a due delle teorie generali che caratterizzano il pensiero contemporaneo e nelle quali il divieto dell'incesto svolge un ruolo primario: la teoria della parentela di Levi-Strauss e la teoria psicanalitica di Freud.
La proibizione dell'incesto, per Levi-Strauss, svolge il ruolo privilegiato di rendere possibile il passaggio dal dominio della natura a quello della cultura. Il comportamento "naturale" dell'Uomo non esiste: la specie umana ha progredito attraverso la vita sociale, la parola, l'organizzazione istituzionale. Il comportamento biologico è integrato nell'ordine simbolico di una cultura. La "natura" è il dominio dell'eredità biologica, la "cultura" è l'ordine della tradizione esterna. Poniamo dunque - afferma Levi-Strauss - che tutto ciò che è universale presso l'uomo provenga dall'ordine della natura e si caratterizzi per la sua spontaneità, mentre ciò che è attinente ad una norma appartiene alla cultura e presenta un carattere relativo e particolare. Da questo punto di vista c'è, nella proibizione dell'incesto, un'ambiguità che la lega a entrambi i versanti del fatto umano, quello naturale e quello culturale: essa è universale come i fenomeni che derivano dalla naturalezza e al contempo è una norma particolare che determina le relazioni tra i sessi. Come non vi è generazione spontanea, il doppio fatto della filiazione e dell'alleanza determina il quadro sociale nel quale si riproduce e si evolve la specie umana. La consanguineità è un fatto naturale in cui si esprimono le leggi dell'ereditarietà, mentre l'alleanza tra i sessi è un fatto culturale che determina chi si allea con chi. La natura impone l'alleanza senza determinarla: e la cultura non l'accoglie che per definirne le modalità. La proibizione dell'incesto è concepita così come la struttura stessa della regola che fonda la socialità.
L'elemento fondamentale della vita sociale è dunque lo scambio, cioè lo scambio dei beni, degli oggetti, dei valori, dei segni, delle parole, e la struttura dello scambio contiene un principio di reciprocità. Nel caso dell'alleanza matrimoniale, vi è una relazione globale di scambio che coinvolge il trasferimento di beni materiali, di valori sociali come i privilegi, i diritti e gli obblighi soprattutto, evidentemente, della donna, che è considerata come un "bene sociale". Questo tipo di prestazione totale, che caratterizza lo scambio che regola il matrimonio, non si stabilisce tra un uomo e una donna, bensì tra un gruppo di uomini e un altro gruppo di uomini, e la donna vi figura come uno degli oggetti dello scambio e non come uno dei protagonisti. La reciprocità fra i differenti gruppi sociali è assicurata dalle norme dell'esogamia che stabilisce quali sono le donne permesse: la proibizione dell'incesto non è che l'aspetto negativo di queste regole. Non è tanto una norma che impedisce di sposare madre, sorella o figlia, quanto una norma che obbliga a dare madre sorella o figlia ad altri. È la regola del dono per eccellenza.
Per altri autori, la proibizione dell'incesto non ha niente di universale né è legata alla natura umana. Le limitazioni alla disponibilità di donne all'interno di un gruppo sono legate al controllo della riproduzione dello stesso gruppo: da questo momento il controllo matrimoniale si trasforma in uno degli elementi del potere politico. Il matrimonio preferenziale è una strategia politica nei rapporti esterni del gruppo, e necessita della disponibilità di un certo numero di donne come beni di scambio. Così la proibizione dell'incesto si sviluppa come un concetto morale prodotto da un'ideologia legata all'elaborazione del potere nelle società domestiche.
Affrontiamo ora il problema da un'altra angolazione, quella della teoria psicanalitica di Sigmund Freud: l'incesto è visto fondamentalmente alla luce dei desideri inconsci. Se l'umanità, dai tempi primitivi, si è preoccupata di proibire e di creare tabù e castighi, miti e istituzioni sul tema dell'incesto, è perché deve esistere un desiderio positivo teso alla sua realizzazione. In effetti - osserva Freud - che necessità ci sarebbe di proibire ciò che nessuno vuol fare? Ciò che viene severamente proibito non può che essere oggetto di un desiderio. La vita animica del bambino comincia a strutturarsi sul contrasto tra gli affetti positivi e negativi, l'amore e l'odio, rivolti verso le persone che gli stanno attorno, i suoi parenti prossimi, consanguinei o acquisiti. Si sviluppa così un nucleo centrale della personalità formato da affetti ed identificazioni, che nella psicanalisi è definito "complesso di Edipo". Per dirlo in maniera semplice e schematica (ma sappiamo che la realtà psicologica è ben più complessa e difficile da descrivere) la prima sintesi di desideri amorosi e ostili che sente il bambino gli si presenta come la trascrizione in campo psicologico del mito greco di Edipo: desiderio sessuale per la persona dell'altro sesso e impulso di morte contro il rivale, rappresentato dalla persona dello stesso sesso. Nella sua forma positiva e nel bambino maschio, il complesso di Edipo è il desiderio incestuoso verso la madre accompagnato dai sentimenti ostili di odio e di aggressività diretti contro il padre.
Il complesso di Edipo, che Freud situa tra il terzo e il quinto anno di vita, culmina con il "complesso di castrazione" (fantasma o fantasia incoscia di venir castigato con la castrazione da parte dell'autorità paterna onnipresente), che preclude definitivamente al bambino maschio la madre come oggetto sessuale. Il complesso di castrazione dev'essere compreso come una parte dell'ordine culturale, con una funzione mitica di interdizione e di normatività. Nella supposta "minaccia di castrazione", che conferma la proibizione dell'incesto, si realizza, in un immaginario autoritario, la funzione della Legge in quanto costitutiva dell'ordine umano, nella stessa maniera in cui (l'abbiamo visto nella teoria di Levi-Strauss) la proibizione dell'incesto rappresenta la regola che inaugura l'ordine simbolico e determina quello sociale. L'incesto, la sua proibizione e le istituzioni esogamiche che gli sono collegate nell'origine mitica della società, si integrano, come chiarisce Freud in Totem e tabù, con la "teoria" del padre primitivo che si riserva sotto la minaccia di castrare i figli, l'uso esclusivo delle donne dell'orda. Questa ricostruzione mitica dei tempi primitivi, per quanto probabilmente falsa come ricostruzione "storica" delle origini, permette di mostrare una struttura simbolica che spiega il contenuto profondo dei comportamenti umani.
In questa maniera, il complesso di Edipo e il complesso di castrazione che ne deriva non sono riducibili ad una situazione reale, a un'esperienza particolare vissuta da ogni individuo in seno ad una "famiglia", ma al contrario costituiscono un divieto che obbliga ciascun individuo a definirsi come soggetto nel seno di una società gerarchica, in cui la soddisfazione immediata è definitivamente impedita. Questa istanza, che si esprime nel divieto dell'incesto, collega inseparabilmente il desiderio alla legge. Nella teoria espressa da Freud in Totem e Tabù, il divieto dell'incesto non è un prodotto della famiglia mononucleare composta dal padre, dalla madre e dai loro figli (quale noi la conosciamo oggi), ma un'istituzione culturale propria del clan, tesa principalmente ad impedire l'incesto del figlio con la madre, per poi estendersi successivamente, con il crescente complicarsi della organizzazione sociale, ad altre relazioni di parentela.
Per terminare questa succinta carrellata sulle teorie dell'incesto, faremo due osservazioni: 1) la pretesa universalità della proibizione dell'incesto (universalità accettata dall'80% degli antropologi) è stata criticata per l'estrema variabilità delle proibizioni che, nelle distinte culture, reggono lo scambio sociale. I divieti dell'incesto non costituiscono una categoria ben definita e l'opinione di Murdock (Il tabù dell'incesto e le restrizioni endogamiche di ogni tipo si presentano chiaramente come l'estensione dei tabù sessuali tra padri e figli, e tra fratello e sorella nella cellula familiare) non è più che un'ipotesi ideologica che estrapolando un elemento dalla nostra cultura (i tabù sessuali della famiglia nucleare) lo utilizza come fattore esplicativo di tutte le proibizioni sociali. Ciò che è valido per la nostra cultura, non lo è necessariamente per tutti i tempi e per tutte le culture.
Riassumendo diremo, con R. Needham: in ogni società particolare noi ci troviamo in presenza di regole esplicite (cioè di rappresentazioni collettive di ciò che si può e non si può fare); una stessa regola definisce ciò che è permesso e, di conseguenza ciò che è proibito; l'accesso ai beni sociali riconosciuti è sempre regolato in una società e la regola non esprime altro che il valore attribuitole. Dunque, l'incesto si riferisce per definizione alle regole che si riferiscono all'accesso alle donne e non è altro che l'aspetto negativo del controllo di questo accesso. Le proibizioni dell'incesto non hanno altro in comune tra loro che il loro carattere di proibizione.
2) Come abbiamo visto all'inizio, tutte le teorie che accomunano la regola e la legge al divieto dell'incesto partono da un'asimmetria tra i sessi. Sono gli uomini quelli che determinano lo scambio delle donne: in una società di uomini, infatti, le donne sono un "bene sociale". Questa asimmetria non è spiegata nelle teorie se non con un vago riferimento al fatto "naturale". La gerarchia tra i sessi, lungi dall'essere una situazione antecedente la costituzione dell'ordine sociale, è una conseguenza delle regole di proibizione che stanno alla base dello sviluppo del potere politico nelle società segmentate, cosiddette primitive. Da un altro punto di vista, considerando il divieto dell'incesto integrato con il complesso di castrazione, con la struttura edipica, dobbiamo considerarlo come un aspetto normativo che nell'inconscio individuale permette la riproduzione del potere politico e sanziona la "legittimità" dell'autorità sociale.
La critica della dominazione sociale deve tener presente questa dimensione, al tempo stesso inconscia e istituzionale, del tabù dell'incesto.