Rivista Anarchica Online
Potere militare in URSS
di L.L.
Che cos'è oggi la Russia dopo sessant'anni dalla rivoluzione d'ottobre? Che
cosa diventa un regime
totalitario quando dura più di sessant'anni? Si domanda Cornelius Castoriadis. La stessa domanda che
ha rivolto ai partecipanti al seminario "Sorti del totalitarismo e imperialismo sovietico" organizzato dal
Centro Studi Libertari "Pinelli" alla fine di marzo a Milano. Interrogarsi sulla natura sociale dell'URSS
è oggi diventato di moda. Soprattutto a sinistra le analisi si
sprecano. Sembra definitivamente chiuso il periodo in cui porre non dubbi, ma solo interrogativi sul
regime sovietico significava essere dalla parte dell'imperialismo americano o "lacchè dei reazionari".
Castoriadis, però non fa parte di questa "tardiva compagnia". Ha iniziato ad occuparsi dell'Unione
Sovietica fin dai primi anni del dopoguerra, quando a Parigi fondò, assieme a Claude Lefort, la famosa
rivista Socialisme ou Barbarie. Ateniese, Castoriadis, ha studiato diritto, economia e filosofia.
All'inizio dell'occupazione italo-tedesca
della Grecia, fonda con altri comunisti dissidenti un gruppo politico di resistenza in opposizione al
Partito Comunista ufficiale. Successivamente aderisce all'organizzazione trotzkista di Spiros Stinas,
nella quale milita fino al 1945, anno in cui si trasferisce in Francia. Da allora il suo interesse per i "paesi
del socialismo realizzato" diviene sistematico. La sua influenza nei gruppi dell'estrema sinistra francese
si accresce sempre di più: le sue analisi sono moneta corrente fra i protagonisti del maggio '68. Oggi
Castoriadis insegna all'Ecole Pratique des Hautes Etudes, un istituto post-universitario parigino; è
autore di numerosi libri, tra cui La società burocratica (ed. italiana 1978), L'institution
imaginaire de
la société (1975), Les carrefuors du labyrinthe (1978), La
société franç?aise (1979); e da anni ha
cessato di definirsi marxista. Però? questo abbandono non lo ha sospinto (come è? successo per
molti
della sua generazione) su posizioni socialdemocratiche o liberaleggianti, ma verso un sempre più?
accentuato libertarismo. L'incontro di Milano è stata una buona occasione per
intervistarlo.
Nel tuo ultimo libro, Devant la guerre, (di cui sono apparsi
alcuni brani sul n. 1/1982 della rivista
Volontà, con il titolo URSS: la società militare) tu scrivi che non è più
sufficiente descrivere la
Russia come un paese in cui la tecnoburocrazia è diventata classe dominante, in cui lo sfruttamento
e l'oppressione hanno raggiunto livelli mai conosciuti nella storia moderna. Quali sono gli elementi
nuovi? Per poterti rispondere è necessario fare prima alcune considerazioni. In
primo luogo bisogna rilevare
che il terrore di massa, nella forma staliniana è scomparso. Non ci sono più assassinii di centinaia
di
migliaia di persone, né campi di concentramento con decine di milioni di prigionieri. Certo c'è
una
repressione totale, ma questa repressione è diventata in un certo senso più efficace, cioè
può mantenere
la popolazione nell'obbedienza senza fucilazioni di massa e senza milioni di persone nei campi di
concentramento. Il terrore "classico" dell'era staliniana non era che un aspetto di quello che io chiamo
il "delirio". Non esisteva alcuna giustificazione razionale a questa diffusione del terrore, né economica,
né politica. Ma il "delirio" non si manifestava solo nel terrore, ma anche nell'economia ed esisteva un
vero e proprio "delirio ideologico". Ora questo "delirio" è scomparso. Attualmente ci sono menzogne
in quantità enorme, ma le menzogne non sono il delirio. E' scomparso il disprezzo totale dell'efficienza
che era caratteristico dell'era staliniana e non si cerca di stabilire gli insuccessi dei vari piani
programmatici all'attività sabotatrice degli anarchici o dei trotzkisti. E non esiste neppure più una
costruzione totalmente fittizia della realtà. Un altro elemento importante da considerare, è
la decomposizione e praticamente la morte
dell'ideologia. Un'ideologia dove avere un certo rapporto con l'universalità e la razionalità da un
lato,
e deve giocare un certo ruolo nella formazione della realtà sociale dall'altro. Non è questo il caso
della
Russia, oggi. Il marxismo-leninismo è semplicemente un rituale che non cerca neppure di essere
coerente e che non gioca alcun ruolo nella formazione della realtà sociale. Inoltre i "padroni rossi" non
cercano più di esercitare un controllo totale sulla realtà. Il regime ha rinunciato a controllare il
pensiero
e l'anima della gente. Certo se qualcuno si dimostra apertamente oppositore del regime finirà in un
ospedale psichiatrico o in un campo di concentramento o, nel migliore dei casi, perderà il lavoro. Ma
se non si protesta, si viene lasciati tranquilli. Il regime si limita a controllare il comportamento esteriore.
Sì può dire che il regime è divenuto pavloviano e skinneriano e ha rinunciato alla
supersocializzazione
della gente. Al contrario di ieri, oggi il regime spinge verso la privatizzazione, verso le piccole carriere
personali e verso la vodka.
Ma questi elementi che cosa rappresentano? Cosa ci
dicono dell'attuale regime? Prima di tutto bisogna comprendere che c'è un'istanza
fallita del totalitarismo iniziale, così come c'è
stato il fallimento di qualsiasi tentativo di autoriforma della burocrazia. Con la morte di Stalin si è
pensato, e molti continuano a pensarlo ancora oggi, che la burocrazia si sarebbe riformata da se stessa
e che la società russa sarebbe evoluta verso ciò che, dal punto di vista di un universitario
occidentale
o di un ideologo occidentale, è lo stato normale verso cui tendono tutte le società: un po' di
democrazia
e un po' di libero mercato. Quindi si è iniziato a studiare le riforme che andavano introdotte nel sistema
burocratico, si sono iniziate a studiare le tendenze per introdurre più razionalità economica, in
senso
occidentale, nel regime. Si è creduto di poter analizzare i problemi della società russa secondo
gli
schemi della sociologia americana cioè, grosso modo, come dei giochi e delle competizioni tra i gruppi
di interesse. Ma le cose non stavano così. In effetti ci sono stati due tentativi di riforma dall'alto del
sistema. Il primo è quello di Malenkov che voleva aumentare un po' la produzione dei beni di consumo,
ed è stato eliminato molto rapidamente con l'intervento, anche, dell'esercito. Il secondo tentativo è
quello di Kruscev che voleva soprattutto limitare gli armamenti militari. E Kruscev è stato eliminato
da una coalizione di cui faceva parte l'esercito. Dopo di allora non assistiamo più a tentativi di
autoriforma. Oggi che il partito comunista è divenuto un "parassita storico totale", assistiamo al
fantastico sviluppo del settore militare, tanto che tutte le grandi questioni che concernono la società
russa non possono essere prese senza l'accordo dell'esercito e ciò mi porta a dire che l'esercito è
diventato la forza dominante nella società russa. Oggi il potere in Russia è un "potere
stratocratico",
cioè una struttura che vede l'esercito assumere, come corpo sociale, la direzione della
società.
Ma l'esercito non sembra gestire direttamente il potere, non occupa
una "posizione centrale" nella
struttura del potere sovietico. Credo che per capire quello che sta succedendo sia
necessario accantonare le categorie sociologiche fin
qui conosciute. Innanzi tutto ci sarebbe da chiedersi che cos'è il potere? E' semplicemente l'apparato
formale del potere? Non possiamo pensare ad una riproduzione del potere solo nelle forme che noi
conosciamo. Oggi in Russia c'è una nuova articolazione del potere che non possiamo spiegare con i
modelli in nostro possesso. In questo caso non si tratta solo dell'emergere di una potenza militare, ma
di un fenomeno meno nuovo, un fenomeno cosmo-storico rappresentato da questo esercito moderno
industrializzato. Mai è esistito un esercito che implicasse un tale complesso industriale per esistere.
Questo esercito russo in che senso domina? A mio avviso perché impone i grandi orientamenti, le
grandi direttive, le scelte nazionali e internazionali. Questo settore non ha interesse a nominare gli
insegnanti nella Siberia orientale, o a fissare i prezzi delle scarpe, per queste cose c'è la burocrazia del
partito.
Dunque il partito occupa ancora un posto importante nella società
russa? Come ho scritto nel mio libro Devant la guerre, ci sono due settori
nella società russa: il settore civile
che non funzione o funziona malissimo, in cui c'è costantemente penuria di beni e prodotti di cattiva
qualità. Il settore militare che funziona perfettamente e che ha fatto diventare la Russia la prima potenza
militare del mondo. Questa situazione vorrà pur significare qualcosa? L'esercito del dopo-Stalin è
un
esercito di ingegneri nucleari, di elettronici, di chimici, di ingegneri metallurgici, insomma un esercito
di specialisti. L'accrescersi della differenza tra settore civile e settore militare è enorme. Sembra che la
società militare sia la sola parte efficiente della società russa. Questa società militare
(parlo
evidentemente della parte professionale dell'esercito) è soprattutto un'enorme industria che secondo i
miei calcoli deve impiegare circa venti milioni di lavoratori su una forza lavoro totale di circa
centoquaranta/centocinquanta milioni. Come mai questo settore produce con efficienza? Per ottenere
questo non è sufficiente consacrare alla produzione una grande parte delle risorse. Ad esempio da dieci
anni si devolve il 30% degli investimenti russi all'agricoltura e questa è sempre nella stessa disastrosa
situazione. Esiste, dunque, un'altra organizzazione della produzione militare, di cui oggi abbiamo i dati
grazie alle testimonianze dei dissidenti. Se osserviamo l'insieme della società russa, notiamo che la
sotto-società militare è la sola forza viva del regime, mentre il partito è una specie di
cadavere vivente
e si è portati alla conclusione che il totalitarismo nel senso classico ha lasciato il posto ad un nuovo tipo
di formazione sociale che io chiamo, come ho accennato prima, "stratocrazia".
Ma
allora ha ancora un senso definire il regime sovietico come un regime totalitario, cioè
caratterizzato dalle forme che noi conosciamo? Credo si debba riconoscere che abbiamo
di fronte un animale storico nuovo che ha in comune con il
totalitarismo classico una caratteristica, cioè tende alla forza bruta per la forza bruta, ma a parte questo,
c'è una sostanziale diversità perché dobbiamo constatare che in Russia l'obbiettivo di una
dominazione
totale sulla società ha dovuto essere abbandonato. La dominazione continua a essere un obbiettivo, ma
come dominazione esterna. Perché? Penso che almeno nel caso russo il totalitarismo classico abbia
fallito nel suo obbiettivo centrale cioè assimilare totalmente gli esseri umani alla società o, in
difetto,
distruggerli. Questo si è dimostrato impossibile e, a mio avviso, il fallimento del partito e l'emergere
dell'esercito traduce questa impossibilità. Certo la storia non è ancora terminata, ma nella misura
in cui
questa evoluzione mostra che è impossibile superare la resistenza del fattore umano, noi possiamo
pensare che c'è sempre la possibilità della lotta per la libertà e non soltanto pensarlo, ma
cercare di
metterlo in atto.
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