Rivista Anarchica Online
Non c'è solo Walesa
di Paolo Finzi
A colloquio con Babar, sulla Polonia
Le prime 48 ore le ho passate davanti al magistrato che mi interrogava. Poi un pestaggio sodo e
sono stato rinchiuso per una decina di ore in una cella tutta bianca, assolutamente vuota eccezion
fatta per una telecamera posta in alto. Poi mi hanno tirato fuori dall'isolamento e mi hanno messo
in una cella dove guarda caso! c'era un detenuto che parlava francese. A parlarmi del suo arresto, avvenuto a Varsavia nella notte tra il 5 ed il 6 luglio scorsi, è Roger
Noel, conosciuto con l'appellativo di Babar, 27 anni, belga. Siamo seduti al tavolino di un bar nelle
immediate adiacenze della Sala Franchetti, dove si stanno svolgendo le sessioni del XVI congresso
della FAI: Babar è stato invitato come relatore per il dibattito pubblico tenutosi domenica sera 24
aprile su «Autoorganizzazione e solidarietà internazionale», nell'ambito delle iniziative
propagandistiche promosse dalla Federazione Reggiana della FAI a margine del congresso. Del «caso Babar» abbiamo già parlato. Arrestato appunto mentre stava consegnando un'emittente
radio, introdotta clandestinamente in Polonia, a militanti di Solidarnosc, Babar è rimasto in carcere
fino al 26 novembre, fino al pagamento di una pesante cauzione, sostitutiva della pena di tre anni di
detenzione a cui era stato condannato. Anarchico, membro del Gruppo autonomo libertario e
dell'Associazione «22 marzo» (che gestisce tra l'altro un'avviatissima tipografia e pubblica il
periodico anarchico B.I.L), Babar era molto noto in Belgio già da prima del suo arresto, per esser
stato uno dei fondatori ed il primo presidente dell'associazione che si è battuta in Belgio per la
libertà d'antenna delle emittenti «private». La sua azione solidaristica ed il suo arresto hanno
provocato lo sviluppo di una vasta campagna d'opinione in Belgio (e, in misura minore, anche
altrove), alla quale non hanno potuto sottrarsi nemmeno le forze politiche «ufficiali». Ma del suo
gesto, Babar non ci tiene troppo a parlare: precisa solo che il suo arresto è avvenuto nel corso del
suo quarto viaggio in Polonia. L'emittente radio che stavo consegnando era la nona che ero
riuscito ad introdurre clandestinamente in Polonia: certo, me l'hanno sequestrata, ma le altre otto
erano già giunte a destinazione e alcune di loro dovrebbero essere ancora operanti. Ciò di cui
preme parlare a Babar è la situazione polacca, con particolare riferimento a Solidarnosc e in
generale ai movimenti di opposizione. Ci sono molti luoghi comuni da sfatare sottolinea Babar per esempio quello che Solidarnosc sia composta solo di bigottoni, oppure quello che la gerarchia
ecclesiastica ed i lavoratori di Solidarnosc siano sulle stesse posizioni, oppure ancora che Walesa
sia davvero il leader carismatico e unanimemente accettato del sindacato. Babar parla con sicurezza, si comprende subito che è un discorso che ha già fatto molte volte. E nel
parlare della situazione polacca fa frequente riferimento ai suoi contatti diretti, ai militanti di
Solidarnosc che ha conosciuto nei (quasi) cinque mesi di galera ed anche nel mese che
complessivamente ha trascorso nei suoi precedenti viaggi in Polonia. Gli chiedo in che lingua si
svolgevano le sue conversazioni con i polacchi, dal momento che lui stesso mi ha detto di non
conoscere nè il polacco nè altre lingue dell'Europa Orientale (anzi, pensa che fino al golpe del 13
dicembre '81 non mi ero mai interessato alle vicende polacche: - precisa sorridendo - ma quel
golpe fu un vero pugno nello stomaco!). Babar risponde che un pò a gesti, un pò con qualche parola
o frase in francese e in inglese, un pò con quanto di polacco andava apprendendo, alla fine ci si
poteva capire. Certo, per fare una chiaccherata come la nostra (un'oretta), allora avrei impiegato
almeno una giornata: ma in carcere, credimi, il tempo non mancava! Ma veniamo alla Polonia. Innanzitutto bisogna tener presente che Solidarnosc è tutt'altro che un
movimento omogeneo: ci sono tendenze di tutti i tipi, dai moderati filo-occidentali ai trotzkisti e ai
libertari. Di gruppi specificamente anarchici o libertari, però, Babar non è mai venuto a
conoscenza: e sottolinea più volte che gli sembra un errore clamoroso, sintomo di una mentalità
gruppettara, il dedicarsi esclusivamente alla ricerca dell'esistenza di un gruppetto, magari
inconsistente, di anarchici «puri» in Polonia, senza invece concentrare la nostra attenzione sugli
aspetti profondamente, anche se incosciamente, libertari espressi da alcuni settori e da alcune
metodologie di lotta adottate dal movimento d'opposizione polacco. Mi riferisco, per esempio, a
quella pratica dell'azione diretta di cui si ebbe, tra gli altri, un eccezionale esempio nell'estate
dell'80, al tempo delle trattative tra governo e delegati di Solidarnosc nei cantieri Lenin a Danzica.
Come non ricordare la continua trasmissione in diretta, a tutti i lavoratori in lotta, delle trattative,
grazie all'impianto di televisione a circuito chiuso? Come non ricordare che quando si trattava di
allontanarsi dallo stretto mandato ricevuto dalla base, i delegati lasciavano momentaneamente il
tavolo delle trattative e sottoponevano all'assemblea dei lavoratori le diverse ipotesi d'accordo? Babar sottolinea poi l'importanza dello «sciopero attivo», spesso praticato da Solidarnosc: e cita
l'esempio di Stettino, dove gli autoferrotramvieri fecero funzionare i mezzi di trasporto gratis,
invece di praticare la solita astensione dal lavoro, raccogliendo così vastissime simpatie tra la gente. E' anche da sfatare la leggenda, non a caso accreditata dai mass-media occidentali, che Walesa
rappresenti tutta Solidarnosc: all'unico congresso del sindacato, infatti, fu eletto segretario con
meno del 60% dei voti. Ed è importante sottolineare che tutta l'opposizione interna a Walesa si
trovava (e si trova) «più a sinistra», su posizioni di scontro più radicale, di maggiore combattività,
spesso di maggiore democrazia. La stessa parola d'ordine della «rivoluzione autolimitata» è oggi
sempre più frequentemente messa in discussione: «autolimitata» esprimeva il concetto che era
Solidarnosc stessa ad impegnarsi ad autolimitarsi, cioè a non mettere in discussione questioni
estranee (apparentemente) alla stretta pratica sindacale, quali l'adesione polacca al Patto di
Varsavia, l'egemonia del POUP, ecc. Soprattutto dopo il golpe del 13 dicembre, che ha dimostrato
quanto poco «autolimitata» fosse la repressione statale, questo concetto è stato rimesso in
discussione e rigettato da ampi settori di Solidarnosc. Il forzato passaggio alla clandestinità ha
indubbiamente radicalizzato il sindacato. Babar cita numerosi casi di militanti e leader locali di Solidarnosc da lui incontrati in carcere che
denotavano preoccupazioni di tipico stampo libertario, su questioni organizzative, sui metodi di
lotta da utilizzare, ecc. Senza saperlo, alcuni di loro erano senza dubbio su posizioni libertarie. Se però parlavi loro di
anarchia, ti rispondevano che per loro era un ideale troppo astratto, troppo lontano dalla realtà
polacca di tutti i giorni, anche se bello, interessante. Erano le stesse risposte che avevo
generalmente raccolto nel corso del mio secondo viaggio in Polonia, allorchè avevo introdotto
clandestinamente e distribuito a molte persone l'opuscolo in polacco edito dai compagni del
gruppo parigino Iztok (che a mio avviso stanno portando avanti un lavoro di estremo interesse), un
opuscolo che contiene scritti anarchici sullo stato ecc. ecc. «Interessante, ma purtroppo astratto»
mi avevano detto tutti. Un'affinità Babar l'ha riscontrata tra alcune forme di lotta e la pratica dell'anarcosindacalismo: e
non è senza significato - sottolinea con forza - che più di un militante di Solidarnosc Rurale mi
abbia chiesto informazioni sul '36 spagnolo, sulle conquiste delle collettività libertarie realizzate
durante la rivoluzione spagnola. Tra i gruppi più interessanti dentro Solidarnosc, Babar cita
Solidarnosc Combattente di Wroclaw, uno dei pochissimi gruppi a non essersi fatto sorprendere del
tutto dal golpe del 13 dicembre: un golpe che a Wroclaw veniva considerato tutt'altro che
impossibile e per il quale i militanti locali si erano preparati, nascondendo la cassa, la carta, i
macchinari per la stampa, ecc. evitando così di farsi sorprendere e ridurre subito all'impotenza
tecnico-operativa, come avvenne quasi dappertutto. Dal punto di vista più generale, Solidarnosc
Combattente esprime posizioni autogestionarie, per la democrazia diretta e la revoca dei mandati,
facendo ben chiaro il discorso che la lotta non deve esser finalizzata alla realizzazione di una
democrazia di tipo occidentale, basata sul rito delle votazioni ogni quattro anni, ma alla
costruzione di una società in cui il termine «democrazia» abbia ben altro senso. Babar precisa che quattro sono le principali tendenze presenti attualmente in Solidarnosc: a) la tendenza della «società clandestina», che nell'ottica di una guerra di lunga durata contro il
regime punta a sviluppare una specie di controsocietà parallela a quella ufficiale, con il massimo di
strutture possibili che permettano la sopravvivenza del dissenso; b) la tendenza della «rete clandestina» (cui aderisce anche Solidarnosc Combattente di Wroclaw)
che, sempre nell'ottica di uno scontro di lunga durata, punta all'organizzazione di un movimento
(inevitabilmente d'avanguardia) che si prepari allo scontro frontale; c) la tendenza della «pressione continua», che punta alla realizzazione il più continua possibile di
azioni di protesta di ogni tipo, che testimonino della vitalità dell'opposizione popolare al regime; d) vi è infine la tendenza dello «sciopero generale», che parte dal presupposto che la gente non ne
possa davvero più del regime e sia disposta subito a buttarsi in una lotta dura e generalizzata qual è
appunto lo sciopero generale. Tra queste tendenze - precisa Babar - è in corso un vivacissimo dibattito, pesantemente
condizianato dalla forzata clandestinità e dalla pesante repressione. E se da una parte dopo il 13
dicembre c'è stata la radicalizzazione cui accennavo prima, è altrettanto vero che la gente in
genere dà segni di stanchezza. Nè vanno dimenticate le decine di migliaia di licenziamenti, le
innumerevoli detenzioni, la continua minaccia di arresto che incombe su chiunque si opponga al
regime. La situazione è molto pesante, gli sviluppi incerti. Domando a Babar che relazione vi sia tra Solidarnosc in Polonia e Solidarnosc all'estero, in esilio
soprattutto a Parigi, dov'è concetrato il grosso dell'emigrazione politico-sindacale polacca. Mi
risponde che, nonostante limiti e difficoltà, è sempre l'interno a prevalere sull'esilio e mi cita
l'esempio degli sviluppi immediatamente successivi al golpe del 13 dicembre: delle varie decine di
componenti il comitato nazionale di Solidarnosc, solo cinque si ritrovano liberi. E sono loro a
prendere contatti con gli esponenti residenti all'estero, a nominare gli incaricati dei vari settori,
sostanzialmente a determinare le scelte del sindacato. Babar precisa però che questo è avvenuto ed
avviene tra mille problemi, non ultima una scissione che a Parigi ha separato due spezzoni,
entrambi rivendicanti la rappresentatività all'estero di Solidarnosc. E infine parliamo un pò di Chiesa, religione, preti e pretazzi vari. Babar precisa innanzi tutto che
significativi settori del sindacato si presentano come assolutamente laici, che anche in questo
campo Walesa non rappresenta, con le sue madonne, crocifissi, ecc., l'intero sindacato, che dunque
si tratta di conoscere correttamente la realtà e di cercare di comprenderla. Tieni presente, per
esempio, che durante i mesi trascorsi in galera non ho mai visto neppure un crocifisso, nemmeno
inciso sulle pareti delle celle: eppure di militanti di Solidarnosc ne ho conosciuti numerosi e di
celle ne ho cambiate non poche! Secondo Babar, fondamentalmente il rapporto tra vertici ecclesiastici e vertici di Solidarnosc è
caratterizzato dal reciproco tentativo di strumentalizzazione: dopo il 13 dicembre, con il forzato
passaggio in clandestinità del sindacato e la conseguente radicalizzazione dei militanti di
Solidarnosc, l'ambiguo equilibrio del passato è però entrato in crisi e molti di coloro che
guardavano con acritica simpatia al ruolo svolto dalla Chiesa hanno iniziato a porsi degli
interrogativi, a trarre le prime conclusioni. Babar sottolinea che quello della Chiesa è comunque un
problema complesso, legato com'è innanzitutto alla posizione di fatto che la Chiesa occupa nella
società polacca. Anche solo per far arrivare un aiuto umanitario ad un carcerato, non c'è altra via possibile che
quella di passare attraverso le strutture ecclesiastiche. Lo stesso, quando ho avuto da consegnare
le emittenti radio clandestine, non ho potuto prescindere dal far riferimento a quegli ambienti.
Anche il KOR, che pure si caratterizzava per la laicità (ed il laicismo) dei suoi membri, utilizzava
spazi ecclesiastici per le sue riunioni. Mentre torniamo verso la sala del congresso della FAI, insisto con Babar sulla questione degli
anarchici in Polonia. Non ne ha mai sentiti citare? E quel gruppo Sigma, di cui la stampa libertaria
internazionale («A» compresa) ha ripreso l'appello? Babar conferma che no, in Polonia non ne ha
mai sentito parlare. Forse bisognerebbe tornare sul posto...
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