Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 13 nr. 110
maggio 1983


Rivista Anarchica Online

Il mago della floppy
di Aurora e Paolo

Era un tipo decisamente originale. Non solo nell'aspetto fisico: facciona immensa e barbuta, portapenna intorno al collo, camicia sbottonata fin sopra lo stomaco maestoso, pantaloncini corti.
Un orso? Un bambinone? Trasferitosi da vari anni da Ginevra a Carrara per lavorare alla tipografia, era come refrattario all'apprendimento dell'italiano, ma non - lui francofono - a quello del dialetto carrarino. Era contento quando gli capitava di comporre testi in lingue strane: le memorie del vecchio Tommasini in triestino, le poesie in calabrese ed in albanese per A terra nostra, tutta roba immediata, espressione di quella cultura popolare in cui si riconosceva.
Non sopportava gli intellettualismi e tutto quanto gli pareva tale, le astruserie, il sinistrese, il carcerese. Da questo punto di vista, il suo compito di addetto alla composizione di Umanità Nova, delle nostra rivista e di tanta parte della pubblicistica e dell'editoria anarchica gli procurava non poche incazzature e lui certo non le nascondeva: questo articolo non si capisce un cazzo, questo qui ha sprecato dieci pagine per dire al massimo due cose, ma questo pezzo perché lo pubblicate. Chiuso nel suo gabbiotto, con la sua floppy (la compositrice ultra elettronica) e le due tastiere, componeva ad una velocità incredibile - e, quel che è davvero notevole, mentre batteva riusciva e leggere, fissare nella sua memoria, analizzare, confrontare. Era preciso, meticoloso, estremamente professionale: ma al contempo partecipava. Ecco allora che, mentre correggevi le prime bozze di un articolo, trovavi la sua annotazione, la sua domanda di chiarimenti,
i suoi punti esclamativi polemici. A volte capitava anche che un articolo gli piacesse. Raramente.
Malatesta ha scritto da qualche parte più o meno (non è una citazione letterale): «I giochi di parole li lascio a quelli che vogliono ingannare il lettore». Aggiungerò io: «e a quelli che non hanno niente da dire». Così scriveva Gilbé in una lettera pubblicata sul n. 106 della nostra rivista. Era proprio lui: lo stesso che divorava riviste «difficili», dove però la difficoltà era diretta conseguenza del livello d'approfondimento e della specializzazione dei temi affrontati. In qualche pausa di lavoro, il sigaro in bocca, la cagna fra
i piedi, era lì a leggersi il Scientific American.
Dopo aver dormito per anni in tipografia, vicino alla sua floppy, da un po' si era trovato casa: stava sistemando l'orto, fierissimo. Anche così viveva il suo anarchismo, lui che quando si incazzava, per farci incazzare di più, diceva: «voi anarchici...». Refrattario alle convenzioni, aveva il suo caratterino e quando c'era da discutere non lo si faceva certo sottovoce. Poi, amici come prima. Da veri amici.
Proviamo a ritrovare il contatto con l'uomo di strada - scriveva sempre in quella lettera Gilbé -Proviamo a dare dell'anarchia un'impressione di qualcosa vissuto ogni giorno ( ... ), un anarchismo che sia espressione della vita stessa. Quella stessa vita che il 27 aprile, mentre stava terminando di comporre i testi per questo numero della rivista, gli ha voltato bruscamente le spalle: un infarto. Per noi, un terribile groppo alla gola.
Mentre scriviamo queste righe, in tipografia si sta lavorando sodo. Umanità Nova l'hanno appena finita di stampare, lavorando tutta la notte. Si stanno battendo gli ultimi testi per questa rivista: a fatica, perchè manca il mago della floppy. Si cerca di ridurre al minimo l'inevitabile ritardo: «lo facciamo anche per non dover pensare» dice un compagno/tipografo. Ma non pensare è impossibile.
Gilbé era un «pezzo» della tipografia che non si può sostituire. E' un pezzo del nostro cuore che se ne va.