Rivista Anarchica Online
Parole e analisi non bastano
di Stefano Fabbri
«Le Terre di Nessuno - Controllo Sociale tra Intervento ed Abbandono»: nel corso del quarto
Reseau Europeo di Alternativa alla Psichiatria svoltosi a Roma dal 2 al 6 maggio, sono state
nominate nove Commissioni di lavoro. Un vasto spettro di punti all'ordine del giorno è stato posto a garantire i margini di un dibattito (che
solo in parte ha rispettato le attese) serpeggiante fra i temi della legislazione e del diritto, del
superamento degli Ospedali Psichiatrici, della formazione e del ruolo professionale, dell'assistenza,
delle esperienze di base, dell'handicap, delle tecniche psichiatriche, psicologiche e psicofarmacologiche in relazione al controllo sociale della follia e della sua immagine culturale, delle
tossicodipendenze. Tutta la scuola di Basaglia si è mobilitata per questo evento e grossi nomi stranieri, vedi Felix
Guattari, ne hanno sostanziato lo sforzo. Una grossa delusione ai convenuti è stata data dalla
defezione di David Cooper, grande atteso. Molti i limiti. In una sorta di «Estate Romana» dell'antipsichiatria, di nicoliniana memoria, circo
all'aperto realizzato all'interno di un'area che fino a qualche anno fa ospitava il mattatoio della
capitale, fra le pieghe di una organizzazione tecnica inesistente, grazie allo scarsissimo impegno del
Comune, sorretta solo dal volontarismo encomiabile di alcuni operatori di Trieste, si è avvertita
essenzialmente la preoccupazione di «far fronte» davanti all'attacco che da più parti viene oggi
portato alla legge 180 (per mezzo della quale venne ottenuta la chiusura dei manicomi). Fra un sussulto e l'altro, molta gente accalcata, curiosa di riconoscere, sotto capanni un tempo
occupati da bovini ritrosi, le grandi firme della «nuova scienza», impegno di studio, lotta e
denuncia contro le più pericolose tecniche del controllo sociale, è emerso fra gli usati riti del
conformismo progressista (o «di sinistra»), tipici dell'ambiente universitario e tardo-scolastico, ove
le spinte corporative e «l'adeguarsi» assumono purtroppo più valore della ricerca in sé e della
tensione al cambiamento. Per dirla con Musil: Certo si ama e si ricerca la verità; ma intorno a quel
lucido amore c'è tutta una preferenza per la delusione, per la coercizione, l'inesorabilità, la fredda
minaccia o l'asciutta censura, una preferenza diabolica, o almeno un'involontaria irradiazione di
sentimenti del genere. «Tardo '68» a parte, tutti si sono ormai resi conto della crisi irreversibile del «Welfare», dello stato
di benessere: vigorose spinte restauratrici, fine della politica dei servizi, strozzatura della «spesa
pubblica», marginalità e «terzo mondo interno», repressione ed impoverimento sempre maggiore
del diritto, ne sono i risultati. Prospettive non certo rosee per chi coltiva fiducia nelle istituzioni della politica e nella dinamica
delle «riforme», nell'avanzamento degli «equilibri democratici». Logorato dalla delega di potere
irreversibile e da un rapporto sfalsato, a volte unicamente strumentale e demagogico, con le
«strutture di base», imbrigliate perché non sfuggano al controllo del «tecnico» e del «politico», il
giocattolo rischia di rompersi. Senza scampo si presenta la necessità di operare una scelta
implacabile: rassegnarsi ad «abbassare il tiro» o rompere gli indugi? Qui si pone, per «l'operatore», il problema della posizione più coerentemente antiistituzionale ma
meno scontata: anche questo non è facile. Troppe volte, noi compagni, siamo scaduti in un
semplicismo quanto meno dozzinale. Affrontare le questioni concrete in modo adeguato richiede, al
di là del «moralismo rivoluzionario», una preparazione ed un'apertura (sono due condizioni
fondamentali, ma la mancanza di una ne esclude l'altra), notevoli. Impegnarsi all'interno delle
situazioni di marginalità sociale, significa anche sapere/potere dare alternative concrete che,
sebbene inserite in una strategia d'ampio respiro (nessuno si illuda di cambiare il particolare senza
tener conto del sistema nel suo insieme), possano servire «qui ed ora». Le istituzioni non sono
invincibili ed il «lavoro di massa», nel quale è necessario cimentarsi, deve far leva sulle
contraddizioni che esistono nella fisiologia del dominio, con la coscienza che ciò significa basarsi
principalmente sul conflitto e sulla dinamica del rapporto di forze che si determina di volta in volta,
ma senza ritenersi sconfitti in partenza «perché tutto può essere fagocitato». Cadere preda del
massimalismo vuol dire, questo si, divenire compatibili col potere in un'illusione di scontro in
realtà manovrato, reso spettacolo. Il gradualismo è assai più compatibile con l'azione diretta di
quanto non lo siano forme astratte di purismo. Sul piano concreto tutto ciò significa «praticare» i bisogni ed organizzarsi per soddisfarli, per
crescere la coscienza nelle proprie forze, per far sì che la lotta «paghi». Conoscere le carenze e le
storture dei servizi d'assistenza ed operare su ciò. Intervenire in questi momenti di discussione ove
tecnici di stato tendono ad avocarsi ogni diritto decisionale. Non generalizzare: la realtà degli
operatori non è piatta e uniforme ed alcuni di essi sono disponibili ad una logica di rottura rispetto
all'alienazione, allo sfruttamento, a patto che si scenda nello specifico, che si sappiano fornire
indicazioni valide. Lottare per la massima possibilità di sperimentazione e contro le strozzature
normative. Formare cooperative e gruppi di lavoro che ottengano finanziamenti. Sperimentare
l'autogestione e livelli di scambio culturale ed assistenziale tesi in avanti, creare socialità
antagonista. Realizzare forme stabili e funzionali di coordinamento fra quanti, libertari, operano
nello stesso settore ed allargare la presenza ed il dibattito il più possibile all'esterno del Movimento
coinvolgendo altre realtà. Per uscire dall'impotenza e dall'immobilismo che soffocano i nostri giorni, non è più possibile usare
categorie d'analisi e strutture astratte.
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