Rivista Anarchica Online
Riaprire il discorso sul metodo
Ho trovato di notevole importanza il fatto che si sia aperto un dibattito circa la validità o meno di
alcune importanti tecniche psicoterapeutiche. Tuttavia devo notare che nell'affrontare questo
argomento si rischia, in sede espositiva e di dibattito, di creare un vuoto epistemologico tra teoria e
prassi; separazione, questa, facile a verificarsi in psicologia se l'aspetto pratico, più propriamente
terapeutico, viene reso autonomo, indipendente, dalla riflessione teorica. In sostanza proprio questo
è avvenuto negli scorsi interventi sulla rivista, nell'ambito della presentazione di alcune scuole
psicoterapeutiche. Benché non si sia dimenticata un'esposizione divulgativa degli ambiti teorici analizzati (anche se le
informazioni date sono state piuttosto scarse), ho riscontrato la stessa separazione tra teoria e
pratica che ha per molto tempo influenzato negativamente lo sviluppo della psicologia come
scienza. Questo è stato da me percepito nelle esposizioni date dai vari specialisti nel campo
psicoterapeutico e, in particolare, dal fatto che la critica di ognuno era sostenuta da un vizio di
fondo: la non-considerazione della validità scientifica sperimentale delle scuole psicologicheterapeutiche in esame. Il problema quindi non è vedere la «validità terapeutica» di ogni singola
scuola, ma verificarne il valore su un piano conoscitivo più vasto. Non ricorrere ad un criterio di analisi di questo genere, può portare ad assumere una posizione di
assurda pretesa che la verità assoluta sia nella nostra impostazione e nella nostra tecnica
terapeutica. Si rischia di cadere nella presunzione che fino ad oggi ha caratterizzato il lavoro di
medici-psichiatri i quali, in nome del positivismo, hanno dato una sostanza, un corpo, alla «malattia
mentale» per un più facile e sbrigativo intervento mediante l'uso di paradigmi clinici sul piano
concettuale e mediante la somministrazione di psicofarmaci sul piano pratico. Sono d'altronde
profondamente convinto che la creazione dell'ospedale psichiatrico sia la conseguenza di una
drammatica incapacità metodologica-scientifica del modello medico che, per la sua natura
positivista, è più legato a schematismi ideologici che al metodo galileiano. Nell'ambito psichiatrico,
dove si è venuta a creare una spaccatura tra impostazione classica e tendenza democratica, il
problema psicopatologico è stato affrontato da due diversi punti di vista, ma con l'unico risultato di
riproporre le stesse categorie cliniche (schizofrenico, depresso, ecc.) definitorie, alla maniera
aristotelica, dell'essenza stessa delle patologie. Recente è stata la mia esperienza ad un gruppo di studio al convegno No man's land - Le terre di
nessuno dove, oltre alle polemiche con le altre categorie di operatori, ho potuto appurare l'uso di
categorie concettuali mediche, appartenenti cioè a quello stesso modello che, a dire di alcuni
«democratici», viene rifiutato. E' quindi importante per noi ridiscutere sul piano del metodo
scientifico la validità teorico-pratica di ogni indirizzo e conseguentemente rivedere sotto una luce
diversa il problema della psicoterapia e anche dell'assistenza. Fondamentale diviene quindi la definizione di conoscenza scientifica alla luce del metodo
induttivo-deduttivo (Kropotkin), proporre cioè un metodo alternativo (quello galileiano) alle
categorie aristoteliche ed al sistema aristotelico tutto tendente alla scoperta dell'essenza delle cose
con l'indebita introduzione di concetti normativi e di giudizi di valore. (...) Infatti, se da una parte la psichiatria classica ha localizzato l'«essenza» nella «normalità», dall'altra
l'antipsichiatria ed altre frange affini hanno santificato la follia riconoscendole un carattere
«essenziale» di verità. Mi sembra fondamentale contestare il carattere non-scientifico
dell'antipsichiatria che, concettualmente vicina alla fenomenologia e all'esistenzialismo, ha
esercitato un notevole fascino sulla sinistra italiana più impegnata nelle analisi attraverso categorie
concettuali e ideologiche che non attraverso un metodo scientificamente valido (...) E' proprio il carattere di relatività della scienza che cambia volto al dibattito sulle psicoterapie.
Ogni psicoterapia, se epistemologicamente corretta e se fondata sul principio galileiano, ha diritto
di venire ritenuta valida. Ciò che importa è quindi criticare la singola psicoterapia sul piano
metodologico-sperimentale e non affermare o rivendicare in maniera più o meno semplicistica la
validità di un'impostazione a dispetto delle altre. Secondo quanto affermato finora, il problema della validità delle psicoterapie può essere ritenuto,
almeno in parte, come inesistente dal momento che ogni tecnica ha una sua efficacia secondo il tipo
specifico di patologia esaminata. (...) Ciò che mi sembra opportuno affermare in questa sede, nella speranza di avviare un costruttivo
dibattito, è il carattere per cosi dire neutrale del metodo e quindi, potenzialmente, della conoscenza
scientifica stessa. In tal senso trovo inefficace sforzarsi di ricercare matrici autoritarie o libertarie in questa o quella
scuola psicoterapeutica. Il problema mi pare lo stesso che si pone di fronte alla neutralità o meno
del mezzo di produzione. Io sono del parere che il metodo scientifico e la scienza in generale come
il mezzo di produzione, anche se «voluti» storicamente, non si possano snaturare della loro
originaria neutralità. D'altronde non è difficile trovare delle prove di questa neutralità: basti vedere
gli esempi di comuni libertarie del passato e dei kibbutzim, dove la macchina, come la conoscenza
scientifica, coopera con l'uomo. La psicologia come scienza va incontro agli stessi rischi di
manipolazione e strumentalizzazione che hanno caratterizzato lo sviluppo storico dello strumento
di lavoro. Ciò che è necessario è riavviare il discorso sul metodo, perché qui risiede il carattere relativo,
libertario, adatto al superamento di ostacoli fino ad oggi considerati insuperabili. Come nell'anarchismo esiste l'unità nella molteplicità, nella scienza la verità, anche se oggettiva,
non è mai assoluta, ma realtiva. Come dire che, rispetto al metodo unico, ogni parte della
molteplicità è detentrice della verità!
Renzo Di Cori (Roma)
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