Rivista Anarchica Online
HUEHUECOYOTL una
comunità che viene da lontano
di Fausta Bizzozzero / Massimo Panizza
Era l'autunno del
'69 quando incontrai per la prima volta Alberto Ruz Buenfil. Era
venuto in Europa dal Messico per prendere contatti con il movimento
anarchico: l'indirizzo che aveva, per Milano, era quello del circolo
anarchico "Ponte della Ghisolfa". Ventenni o poco
più, eravamo pieni di progetti e di speranze: lui già sicuro che la
scelta comunitaria fosse l'unico modo per superare la scissione tra
vita quotidiana e attività politica; noi - o meglio alcuni di noi -
con un nostro progetto di comune di produzione, centrato più
sull'aspetto politico-sociale che su quello personale. Per molti
giorni restammo insieme a parlarne, discutendo di tutto, in
particolare della proposta comunitaria in tutti i suoi aspetti. Poi ci siamo persi
di vista. Lui ha imboccato senza esitazioni la strada che aveva
scelto, accumulando esperienze straordinarie e trasformando a poco a
poco il suo progetto in realtà; noi abbiamo fatto un altro percorso,
rinunciando al nostro "sogno" comunitario per continuare le
nostre attività (tra l'altro, con i soldi faticosamente accantonati
per quello scopo abbiamo potuto dar vita a questa rivista,
assicurando il pagamento dei primi tre numeri). Forse il nostro
desiderio non era abbastanza forte, forse non ci credevamo
abbastanza. Ma in ogni caso, di lì a qualche mese, due vicende
indissolubilmente connesse sarebbero state determinanti per in nostro
futuro e avrebbero reso impensabile andarcene da Milano: con le bombe
di piazza Fontana e l'assassinio del nostro compagno/amico Pinelli
tutte le nostre energie ed il nostro impegno furono assorbiti dalla
campagna contro la strage di Stato, che si sarebbe protratta per
anni. È
stato bello ritrovarci dopo quindici anni, così diversi - perché
diverse sono state le esperienze che abbiamo vissuto e che in un
certo senso ci hanno costruiti - ma così vicini e in sintonia nella
visione del mondo e dell'essere umano. E questo incontro ha riacceso
il nostro interesse, mai del tutto spento, per il fenomeno
comunitario. Una realtà diffusissima negli Stati Uniti (dove Alberto
ha trascorso lunghi tratti della sua esperienza comunitaria), ma
presente anche in Italia in misura superiore a quanto si possa
immaginare (ne riparleremo più diffusamente nel prossimo numero):
una realtà che esprime una grande potenzialità di cambiamento e
che, pur in forme estremamente variegate, costituisce una
micro-società con valori propri, propri modi di
produzione, una propria filosofia di vita, proprie tecnologie. Questa volta
Alberto è venuto con Sandra, la compagna che condivide la sua
esperienza da tre anni, e con Ixell, la loro splendida, piccola
figlia. Con loro abbiamo chiacchierato a lungo, ci hanno anche
mostrato centinaia di diapositive che "illustrano"
l'esperienza comunitaria itinerante di Alberto negli anni '70
(attraverso Europa, Asia, Oceania e le Americhe) e ha loro attuale
esperienza comunitaria "stanziale", in Messico. L'intervista che
proponiamo, sufficientemente ampia da inquadrare il problema da molte
angolazioni, ci sembra una buona base per cominciare ad affrontare il
discorso. Grazie Sandra, grazie Alberto.
Fausta Bizzozzero
Quali sono le
motivazioni che vi hanno spinto ad interessarvi del problema
comunitario e successivamente a costituire voi stessi una comunità?
Alberto -
La nostra storia ha le sue radici nel 1968. Quegli anni furono
ovunque anni di grande tensione, di desiderio di rinnovamento. Il
"movimento" politico era molto forte ma noi, che pure ne
eravamo parte, sentivamo l'esigenza di creare un'organizzazione che
non fosse solo politica ma che unisse vita quotidiana e politica. In
quell'epoca avemmo i primi contatti con il movimento anarchico e con
il situazionismo. Sempre ad allora risale il nostro incontro
determinante con Murray Bookchin e i movimenti comunitari di Berkeley
e di New York. Arrivammo così
alla conclusione che la vita comunitaria era la forma più avanzata
di organizzazione politica e proprio sulle basi della concezione di
gruppo d'affinità - ripresa da Bookchin - costituimmo, in sei
messicani, una comune integrale. Dopo aver conosciuto il primo
movimento comunitario americano venimmo in Europa dove prendemmo
contatto soprattutto con il movimento anarchico: Francia, Olanda,
Germania, Italia, Svizzera, Danimarca, Svezia. Lungo il nostro
percorso attingevamo da ogni tipo di situazione per crescere come
gruppo finché, dopo aver vissuto per tutto il 1970 in una comunità
situazionista, arrivammo a una nuova forma integrale di comunità. Da
allora fino ad oggi, per quattordici anni, abbiamo vissuto una
continua ricerca e una continua evoluzione all'interno del movimento
comunitario e delle sue tematiche.
Quali erano le
direttrici su cui si muoveva il movimento comunitario americano che
avete conosciuto?
Alberto - Il
movimento del '68 stimola un rapido sviluppo del movimento
comunitario. Nascono moltissime comunità: molte si sciolgono nel
'72/'73, altre si stabiliscono in campagna e sperimentano nuove fasi
evolutive; ciascuna comunità segue un percorso peculiare e non
esistono forme di collegamento fra loro. Questa fase termina nel '77,
quando le comunità cominciano a stabilire delle connessioni dando
vita a un nuovo tipo di movimento comunitario basato su una
cooperazione non solo a livello di vita ma anche economico, sociale,
politico, culturale, artistico. Ne è scaturita, soprattutto negli
ultimi 4-5 anni, una vera e propria società parallela che si
sviluppa senza un conflitto palese con il sistema. All'interno di
questa società parallela si può trovare una soluzione a qualsiasi
tipo di problema, meccanico, medico, artistico, agricolo,
tecnologico, ecc., e questo ci sembra molto significativo.
Questa società
parallela presenta caratteristiche che si possono definire
libertarie?
Alberto - Io
sono fermamente convinto che siano essenzialmente libertarie e sono
d'accordo con quanto sostiene Bookchin: il movimento comunitario è
in genere libertario, ma non è importante che sappia di esserlo.
Inoltre molte comunità si ispirano - direttamente o indirettamente -
a modelli classici libertari. Radici libertarie si possono trovare, a
mio avviso, anche nel movimento beat e nei suoi rappresentanti come
Kerouack, Ginsberg e soprattutto in Gary Snyder. Lo stesso discorso
vale anche per il movimento antinucleare che è organizzato in gruppi
d'affinità, un modello organizzativo tipicamente libertario. Sono
quindi convinto che l'influenza libertaria, a livello conscio o
inconscio, sia notevole in tutto il variegato movimento americano.
Tornando alla
vostra esperienza, specifica, su quali basi avete fondato la vostra
comunità?
Alberto -
Abbiamo cominciato nel '69-'70 come comunità "nomade"
poiché ci sembrava che questa forma rispondesse meglio alle nostre
esigenze. Viaggiando continuamente la comunità costituiva una difesa
e una sicurezza da un lato - di fronte a contatti con popoli sempre
diversi - ma ci dava anche la possibilità di facilitare questi
contatti proprio stabilendo rapporti da comunità a comunità,
rapporti quindi qualitativamente diversi da quelli che si possono
instaurare tra singoli viaggiatori e popoli diversi. Ci siamo accorti
che questa forma permetteva di esprimere a ciascuno le sue
potenzialità nelle situazioni più diverse: a volte era determinante
nei contatti il ruolo delle donne, a volte quello degli uomini,
spesso i bambini costituivano un tramite importante nello stabilire i
rapporti e tutti insieme si era quindi molto funzionali al tipo di
esperienza itinerante che stavamo vivendo. In ogni luogo
toccato da questo nostro viaggio durato dieci anni cercavamo sempre
di entrare in relazione con altre forme comunitarie, sia di tipo
tradizionale, sia "nuove": i Tuareg del deserto, i Berberi
del Marocco, gli Zingari dei diversi paesi, i Tibetani, i Beduini,
ecc., ma anche le comunità "provos" dell'Olanda, ad
esempio. E da ogni situazione vissuta abbiamo tratto un enorme
arricchimento individuale e collettivo, culturale e politico. Certo nel corso di
questi dieci anni la nostra comunità è sempre stata in evoluzione
(e continua ad esserlo tuttora) ed è passata attraverso varie fasi:
la coppia, la coppia aperta; la nascita dei figli, la rottura della
coppia e la ricerca di un nuovo equilibrio, la nascita di nuove
coppie, la ricomposizione del gruppo sulla base delle nuove
situazioni.
Da alcuni anni
avete deciso di fermarvi in Messico dove avete fondato una comunità
che si chiama "huehuecoyotl" (Vecchio coyote). Avete preso
questa decisione spinti dal desiderio di migliorare la qualità della
vostra vita oppure pensavate che una comunità stabile fosse
importante come punto di riferimento, come "esempio" per il
resto della società?
Alberto -
Certamente è stata determinante l'esigenza individuale, ma
soprattutto del gruppo, della tribù, poiché per dieci anni abbiamo
lavorato alla costruzione della nostra identità tribale, abbiamo
voluto diventare una tribù della nuova era, dell'era dell'Acquario.
Ma nello stesso tempo è sempre stata presente la necessità di
creare un modello-pilota di società per il futuro, poiché
continuiamo a pensare che l'unica risposta possibile e (sana) allo
sviluppo della società sia una risposta di gruppo. In questo senso,
quindi, si inserisce la nostra decisione di creare una base fissa
alla comunità, per rendere il modello operativo concretamente e
creare una zona di influenza che favorisca la nascita di nuove
comunità in un paese quasi totalmente privo di simili esperienze.
Sandra -
Penso che l'esperienza dei primi dieci anni itineranti sia stata
fondamentale ai fini della crescita individuale di ciascun membro.
Dalla sperimentazione di diversi modi di vita, dagli incontri e
scambi con tanti popoli di tante culture è nata una nuova
consapevolezza individuale e collettiva che ci ha portato a formulare
il progetto "huehuecoyotl"
come alternativa politica, come riferimento simbolico: una comunità
costituita da persone di otto diverse nazionalità con tanti bambini
tutti biondi in una situazione come quella del Messico non può che
rompere lo schema del nazionalismo. Una comunità che pratica il
decentramento, che utilizza tecniche e tecnologie ecologiche e a
basso costo, che si costruisce forme di sussistenza realmente
alternative ha di fatto un valore dirompente, diventa la possibilità
concreta di un modo di essere e di vivere che si contrappone
politicamente al sistema.
Suona strano
questo vostro identificarvi come tribù. Se è vero infatti che in
quindici anni potete aver sviluppato molte affinità, resta il fatto
che siete tutte persone di culture diverse, con storie precedenti
diverse, mentre il cemento di qualunque società tribale è una
comune cultura antica, le cui origini si perdono nella notte dei
tempi.
Alberto -
Per questo ci definiamo come una tribù della nuova era. Io penso che
lo sviluppo della società umana sia indirizzato in misura sempre
maggiore verso una planetarizzazione, penso che le differenze
culturali tra l'America, l'Italia, l'Oriente, l'Africa siano
destinate a scomparire progressivamente. Lo sviluppo dei mass-media,
e soprattutto della televisione, tende a costruire sempre più una
cultura universale, ma nello stesso tempo attraverso le reti private
(ma non solo) si creano canali per la trasmissione di culture
particolari. Così negli Stati Uniti esistono canali per i messicani,
per i neri, ecc.., ed esistono persino canali di quartiere. Quello
che voglio dire è che noi come gruppo siamo un riflesso di questo
processo, cioè che il livello macrocosmico riflette ii microcosmo.
Certo il nostro gruppo non era legato da tradizioni comuni ma da
un'alternativa che abbiamo costruito attraverso legami di sangue,
attraverso una nuova generazione di bambini che già sono una
mescolanza genetica interculturale e che contribuisce a creare una
nuova cultura comune.
Abbiamo avuto a
volte la sensazione che all'interno di situazioni comunitarie si
sviluppi una sorta di "mistica della comunità", che in un
certo senso per i membri la comunità diventi il "mondo". È
un pericolo che si può presentare?
Alberto -
Non è una possibilità ma un pericolo reale, anche se può essere
superato. Penso che molte comunità, in un periodo della loro vita,
abbiano bisogno di questa "mistica" chiusa per il loro
sviluppo. D'altra parte accade anche ad un individuo, ad una coppia
di doversi fermare, chiudere, per riflettere; a maggior ragione a una
comunità. L'influenza esterna è così forte e così contraria
(basta pensare a quanto è radicata, in paesi come il Messico o
l'Italia, la cultura della famiglia) che la comunità necessita di
una fase di chiusura per costruirsi la propria identità; ma deve
essere solo una fase per passare poi a stabilire una rete di contatti
e di scambi con altre diverse comunità. Senza questo passaggio
nessuna comunità potrebbe sopravvivere, o meglio diventerebbe solo
una setta religiosa o ideologica, un ghetto. Allacciare rapporti
con altre comunità è quindi vitale per la crescita di ogni singola
comunità, una crescita che può avvenire solo nella costruzione di
un movimento comunitario che sia punto di incontro e crogiolo di
tante diverse esperienze. E il movimento americano si sta muovendo in
questa direzione. Certo esso è più avanzato rispetto ad altri paesi
perché è facilitato da oggettive condizioni socioeconomiche, ma io
sono fermamente convinto che nel giro dei prossimi tre anni le
comunità esistenti in Italia e in Europa passeranno alla fase di
collegamento, alla costruzione di un movimento.
È vero quello
che dite, ma dopo la fase di collegamento a livello
comunitario non sarebbe necessaria un'altra fase di
apertura e di confronto/scontro col mondo esterno, con la realtà che
comunitaria non è?
Sandra -
Forse non è sufficiente ma è molto importante costruire una solida
rete di comunità; poi, quando esisterà realmente, ci si porrà il
problema dell'ambito più esterno, si potrà cominciare a pensare a
come agire su più ampia scala sui temi del nucleare, del pacifismo,
della lotta agli armamenti. D'altronde non bisogna neppure
dimenticare che la comunità è fatta di individui che, come tali,
hanno rapporti col mondo esterno. Prendiamo ad esempio la nostra
comunità: ciascuno di noi ha una serie di rapporti con l'esterno
determinati dai propri interessi e dal proprio modo di essere, ma
anche la comunità non ha mai cessato di rapportarsi col mondo; prima
viaggiando, poi attraverso lo strumento del teatro, ora con
interventi esterni di tipo politico e culturale: conferenze
all'università sull'ecologia, seminari sull'utopia, organizzazione
di feste e di incontri.
Alberto -
Vorrei aggiungere, per sottolineare l'importanza della costruzione di
una rete comunitaria, che laddove questa rete esiste ed è
numericamente consistente - come nel Vermont o sulla Costa
Occidentale - la situazione è notevolmente diversa rispetto a stati
dove non esiste: si respira un'aria di maggiore libertà, c'è
integrazione razziale, culturale, c'è maggiore libertà sessuale e
c'è maggiore libertà politica proprio perché l'influenza delle
idee comunitarie si estende ad aree sempre più vaste della
popolazione e arriva a determinarne indirettamente anche le scelte
politiche (nuove leggi o abrogazione di leggi ingiuste, ecc.). Mentre
nelle zone in cui questa rete non esiste si respira solo aria di
reazione, di conservatorismo. È chiaro che tutto
questo acquista poi una dimensione simbolica capace di trasformare,
modificare l'immaginario della gente, come è accaduto per il nord
della California con il modello fantapolitico di "Ecotopia"
(Callenbach, Ecotopia, Mazzotta Editore) che è diventato
progressivamente, nella testa della gente, una realtà possibile e
proprio per questo ne ha modificato il modo d'essere e di agire
politicamente.
Sandra -
Anche noi, pur essendo fissi da poco tempo, cominciamo a vedere dei
risultati rispetto alla gente del posto che ha capito e accetta il
nostro modo collettivo di lavorare. Con le donne del luogo abbiamo
buonissimi rapporti, pur avendo culture così diverse, o altrettanto
i nostri bambini con gli altri bambini ai quali raccontano le loro
esperienze, con cui giocano ed hanno uno scambio continuo. La gente
viene a vedere le nostre eco-tecniche (tecniche appropriate per
l'utilizzo dell'acqua piovana per canalizzazioni, per depurare e
riutilizzare le acque di scolo, ecc.), noi le insegniamo a loro ed
essi a loro volta le fanno conoscere ad altri. Verificano quindi da
noi la possibilità di risolvere a basso costo i problemi della vita
quotidiana, vedono che è possibile anche per loro vivere meglio e
noi li aiutiamo lavorando con loro. Ecco, a me sembra che questo sia
far politica.
Continuiamo a
fare l'avvocato del diavolo. Abbiamo avuto spesso la sensazione (o
forse si tratta di paura inconscia) che la comunità sia più
importante dell'individuo, che abbia un segno qualitativamente
diverso. O no?
Alberto -
Certo si tratta di un pericolo oggettivo. Un pericolo che diventa
norma nelle comunità basate unicamente sulla religione e
sull'ideologia, che quindi sviluppano una "mistica"
totalmente alienante, dove l'individuo non conta. Certo nel movimento
comunitario esistono anche queste comunità, così come esistono
comunità gerarchiche ed autoritarie. Ma si tratta di un pericolo che
incombe anche sulle comunità più avanzate e libertarie. Noi stessi
ne siamo un esempio poiché in alcuni momenti della nostra storia ha
prevalso il senso comunitario sull'individuo ma... sempre c'è stato
un anarchico che si è ribellato. E se una comunità, come nel nostro
caso, accetta queste ribellioni deve anche mettersi in discussione:
può allora accadere che l'anarchico di turno se ne vada, che la
comunità si sciolga oppure che, proprio in seguito a questo
rimescolamento, la comunità trovi un nuovo ordine, un nuovo
equilibrio. Questa terza ipotesi è in genere quella che si verifica
quando una comunità è sufficientemente solida, o almeno è quello
che è accaduto a noi. Ma si tratta di un equilibrio temporaneo, che
di solito dura circa un anno, poi il processo si ripete. È del resto
quello che avviene anche in qualsiasi gruppo politico, ma se esiste
un accordo di fondo sulla linea politica, sugli obiettivi da
raggiungere, si arriva a una ricomposizione.
C'è un altro
aspetto di questo problema comunità-individuo che vorremmo chiarire
ed è il rischio che l'individuo perda la sua privacy, i suoi spazi
personali, le sue zone oscure; il rischio di fare la società della
trasparenza.
Sandra -
Dipende molto da come si struttura la comunità, dall'impostazione
che le si vuole dare anche rispetto a questi problemi; e dipende
anche da come si vive, se tutti insieme o in case separate. Noi, da
quando ci siamo fermati, abbiamo cambiato un po' l'impostazione e
infatti abbiamo case separate. A mio avviso è una soluzione migliore
poiché l'individuo ha sì bisogno di ambiti collettivi, ma ha anche
l'esigenza di avere spazi individuali e questi spazi solo miei io li
rivendico fino in fondo, con la comunità ma anche con il mio
compagno o con mia figlia. Io credo quindi che l'evoluzione futura
delle comunità sarà di questo tipo, con un livello collettivo e un
livello privato che convivono e si sviluppano parallelamente.
Alberto -
Bisogna dire però che in passato ci sono stati momenti in cui si è
cercata la trasparenza, in cui i problemi di ciascuno sono stati
discussi da tutti. Ritengo che sia stato importante averlo fatto,
perché anche questo ci ha permesso di crescere individualmente, ci
ha permesso di conoscere noi stessi attraverso le critiche degli
altri; da soli è più facile sfuggire a se stessi, rimuovere i
problemi, ma quando ci sono gli altri ad obbligarti si è costretti
ad affrontarli. Ora, e ormai da due anni, non siamo più in questa
fase, abbiamo detto basta e ci siamo accorti che le cose hanno
continuato a funzionare tra noi lo stesso. Ma, forse, senza quella
fase non saremmo arrivati a questo punto.
Parliamo un po'
dell'educazione dei bambini. Vivono tra loro o con le famiglie? Vanno
a scuola fuori oppure la comunità si fa carico della loro
istruzione?
Sandra -
Nella prima fase itinerante i bambini ovviamente viaggiavano insieme
agli altri e c'erano alcune persone che si impegnavano ad insegnare
loro a leggere, a scrivere, ecc... Ma si trattava soprattutto di una
scuola globale, di vita, poiché i bambini imparavano dalle diverse
situazioni in cui si trovavano, imparavano le lingue (tutti i bambini
parlano correttamente lo spagnolo e l'inglese), imparavano
prestissimo a fare tutto quello che facevano gli adulti, imparavano
usi e costumi delle popolazioni con cui venivano a contatto. Poi,
quando abbiamo deciso di fermarci, abbiamo discusso a lungo sulla
possibilità di creare una scuola aperta ai bambini dei paesi vicini,
ma abbiamo deciso di non farla sia perché il nostro terreno non è
molto grande e sarebbe stato un problema accogliere ogni giorno tanti
bambini, sia perché pensavamo fosse più giusto mandare fuori i
nostri bambini, in un certo senso rimetterli al mondo. Per un anno
hanno frequentato una scuola statale, poi nello stesso paese è nata
una scuola elementare gestita da una cooperativa di genitori
(messicani e stranieri) che sono anche gli insegnanti delle varie
materie e a questo punto abbiamo preferito mandare i nostri bambini
in questa scuola. Diamo il nostro contributo a questa iniziativa
insegnando diverse materie, soprattutto di laboratorio (fotografia,
falegnameria, costruzione di strumenti preispanici, ecc.) e pagando
una quota di iscrizione. Per quanto riguarda
lo spazio abitativo, fino ad ora i bambini hanno vissuto nelle
singole case dei genitori anche se in un modo molto diverso dalla
norma: i bambini passano tutta la giornata insieme, giocano insieme,
insieme si spostano da una casa all'altra, come in un piccolo paese e
solo la notte ciascuno sta nella propria casa. Ma abbiamo
l'intenzione di costruire una casa per loro, con la loro cucina e i
loro spazi, una casa che si possano gestire completamente, perché
questa è una loro precisa esigenza. Così come intendiamo costruire
una struttura collettiva in cui trasferire i laboratori che oggi sono
nelle singole case, con una grande sala per feste, conferenze,
proiezioni e con spazi per i visitatori della comunità. Infatti
vogliamo iniziare una serie di attività che richiami gente
dall'esterno: corsi di tecniche ecologiche, corsi di teatro, di
artigianato che dovrebbero permettere a chi partecipa di vivere per
alcuni giorni una situazione diversa (e quindi assorbire altri
valori) e alla comunità di contare su un aiuto economico. Inoltre
intendiamo fare scambi con altri gruppi americani, tedeschi,
italiani, che in questa nuova struttura, dotata anche di una cucina,
avranno la possibilità di stare insieme e di essere autosufficienti.
Passiamo
all'aspetto economico: la vostra comunità tende all'autosufficienza
economica o lo è già? Oppure ci sono persone che lavorano fuori
della comunità?
Sandra - La
tendenza è all'autosufficienza a tutti i livelli, non solo economico
(ad esempio, per l'acqua abbiamo costruito un sistema integrato di
raccolta di acqua piovana e di presa da una cascata che si trova sul
nostro terreno, proprio per evitare che chiunque possa togliercela). L'obiettivo è
quindi che i vari laboratori di cui la comunità è formata, e che
funzionano come gruppi autonomi interdipendenti tra loro, arrivino a
mantenere economicamente le persone che vi lavorano (ciascuno sceglie
in quale laboratorio operare e con chi sulla base di affinità
personali). Alcuni di questi laboratori funzionano già abbastanza
bene: c'è una cooperativa di cucito che raggruppa 50 donne di tre
paesi vicini e che, oltre ad essere economicamente produttiva, è
stata una esperienza politicamente significativa; c'è un laboratorio
artigianale in cui si costruiscono strumenti preispanici che comincia
ora ad essere autosufficiente; così come funziona bene anche il
laboratorio di falegnameria, mentre i due laboratori in cui io e
Alberto siamo impegnati, non sono ancora arrivati a questo livello
anche per i settori in cui operano - la produzione di audiovisivi e
la grafica editoriale - che presentano oggettivamente maggiori
problemi. Per questo Alberto ed altri due compagni lavorano ancora
all'esterno per alcuni periodi.
Alberto - La
decisione di fermarci in un posto ha coinciso con un cambiamento
anche dell'impostazione economica della comunità. Prima avevamo
un'unica cassa in cui confluivano tutte le entrate e che serviva per
il mantenimento di tutti e per tutte le spese. Poi, quando abbiamo
deciso di comprare il terreno, dopo lunghe discussioni siamo arrivati
alla conclusione che ciascuno doveva procurarsi nel giro di un anno i
soldi necessari alla sua quota - uguale per tutti - perché in questo
modo il livello di partecipazione e di responsabilità sarebbe stato
a nostro avviso maggiore. Tutti ci sono riusciti, anche quelli più
sfavoriti. Poi abbiamo modificato anche il criterio di gestione
interna per cui ogni laboratorio si amministra autonomamente e versa
una quota fissa mensile alla cassa della comunità che serve per la
costruzione di nuove strutture o per altri lavori sul terreno.
Visto che sono
già emersi i dati riguardanti la vostra organizzazione, vediamo di
affrontare un problema spinoso: spesso,
quando della gente si mette insieme, c'è
chi si impegna di più, in termini di
fantasia, tempo, disponibilità, e chi meno.
Questo fatto può provocare dei problemi?
Alberto -
Certamente, anche problemi di ulcera, come è successo a me. Ma
malgrado tutto sono ottimista sul lungo periodo. Basti pensare che
ora, per la prima volta in quasi vent'anni, ho potuto prendermi
questa "vacanza" in Italia con animo tranquillo, sapendo che
là in Messico tutto continua a funzionare. È un problema, come
sempre, di livelli di coscienza, per cui c'è chi vuole arrivare un
po' più in là e chi invece si accontenta di quello che si è
raggiunto. Sempre, in ogni
situazione, c'è chi spinge e chi segue, ma esiste anche un problema
di tolleranza verso chi è diverso da te: tutti gli esseri umani sono
diversi, c'è il poeta e lo stacanovista, si tratta di accettare
questa diversità e il meglio che ognuno può dare, si tratta di
accettare che un altro abbia un ritmo diverso dal tuo e su questa
tolleranza abbiamo costruito i nostri rapporti.
Come funziona la
comunità dal punto di vista decisionale?
Alberto -
Esiste una Assemblea che si riunisce una volta al mese o, quando non
ci sono problemi importanti, anche ogni due/tre mesi. Questo per
quanto riguarda la situazione attuale, poiché con la nuova
organizzazione per gruppi di lavoro le decisioni di tipo generale si
sono notevolmente ridotte e quelle particolari vengono affrontate dai
singoli laboratori. Prima ovviamente la situazione era molto diversa
e praticamente si viveva in assemblea permanente. Abbiamo deciso
quindi di abolire qualsiasi votazione e di prendere le nostre
decisioni all'unanimità, con tutta la fatica che una simile pratica
comporta, perché pensiamo che solo in questo modo possa continuare
la nostra crescita individuale e collettiva e perché riteniamo che
le uniche decisioni che poi diventano operative sono quelle realmente
condivise da tutti. E, come già abbiamo accennato, abbiamo cercato
di tener fuori da queste discussioni i problemi interpersonali, che
vanno risolti tra le persone interessate, a meno che coinvolgano, in
un modo o nell'altro, tutta la comunità.
Spesso
all'origine di problemi comunitari ci sono tensioni e conflitti
creati dal formarsi, sciogliersi, ricostituirsi di coppie. Qual'è la
vostra esperienza?
Sandra -
Vediamo di riassumere il nostro percorso. Inizialmente il gruppo era
formato da tre coppie, poi queste coppie si sono aperte (quasi sempre
per iniziativa degli uomini) e altre si sono ricostituite. Alcuni
elementi si sono allontanati dal gruppo, altri sono rimasti come
singoli. Un dato interessante riguarda i bambini che spesso hanno
vissuto la fine dell'amore tra i loro genitori, la rottura, e la
nuova coppia con la nascita di altri fratelli. L'impressione che
abbiamo è che l'aver conosciuto e vissuto direttamente tutte le
contraddizioni di queste esperienze legate alla sessualità non abbia
influito negativamente ma anzi abbia dato loro freschezza e
consapevolezza. Non c'è in loro malizia di alcun tipo e inoltre
tutti hanno un profondo senso di giustizia.
Alberto - Un
altro aspetto interessante è che da queste esperienze i bambini
hanno capito che l'amore non è assoluto ma relativo, che l'amore si
fonda sull'affinità e che l'affinità cambia con il tempo e quindi
che l'amore è temporaneo e, cosa importantissima, che tutto questo
fa parte della vita e non è una tragedia. Inoltre non hanno solo il
padre e la madre come punti di riferimento ma hanno tutti gli adulti
della comunità che sono altre madri e altri padri e che, tutti, li
amano e si occupano di loro. Questo fatto rompe con gli schemi
parentali e di sangue e permette loro di tessere una rete di rapporti
arricchiti dalla diversità delle personalità con cui si rapportano,
permette loro di scegliere le persone con cui stanno meglio e di
imparare a rispettare gusti, modi di essere, caratteristiche di
ciascun individuo.
Torniamo un
attimo ai conflitti e ai riflessi che la rottura di una coppia può
produrre nella comunità. Certo l'incidenza varierà a seconda di
molti fattori, non ultimo quello del ruolo svolto da quella coppia.
Nel tuo caso, ad esempio, ci sembra che il tuo ruolo sia stato (non
sappiamo se è ancora) simile a quello del "capo senza potere"
di certe tribù "primitive". Come sono state vissute dalla
comunità le rotture delle tue coppie?
Alberto - In
genere le reazioni a queste rotture dipendono dalla personalità
degli interessati. Esistono persone che riescono a risolvere tra loro
i loro problemi personali, ma ne esistono altre che non ne sono
capaci e quindi portano i loro problemi alla comunità. In questo
caso la comunità deve necessariamente farli propri e cercare di
aiutare queste persone a ritrovare un nuovo equilibrio. Esistono,
come sempre separazioni tranquille e separazioni tumultuose. Io, ad
esempio, ho sempre avuto separazioni molto conflittuali e drammatiche
proprio per il ruolo che ho sempre svolto nella comunità che è
esattamente quello che voi avete definito. Sia con la mia prima
compagna che con la seconda al momento della separazione si è
verificata la stessa situazione: la comunità, che ruotava intorno
alla nostra coppia, che faceva riferimento a noi come modello, si è
trovata completamente coinvolta e spiazzata, per cui si sono
scatenate reazioni a catena. Sono stati momenti molto difficili.
Inoltre io sono stato il primo a fare questa esperienza e anche
questo ha avuto il suo peso. Poi la comunità ha riflettuto, ne ha
tratto insegnamenti e quindi quelli che hanno rifatto la stessa cosa
dopo sono stati in un certo senso facilitati, ormai la strada era
aperta. Per tornare al
parallelo che avete fatto con certe tribù "primitive",
vorrei sottolineare un problema che è sempre stato fondamentale per
noi, il problema che riguarda i ruoli e le funzioni. Mentre in queste
tribù ruoli e funzioni derivano dalla cultura e dalla tradizione e
quindi sono universalmente accettati, noi ci siamo sempre dibattuti
in un dilemma: i ruoli e le funzioni si creano, esistono e sono
necessari al funzionamento di qualunque gruppo sociale ma noi siamo
anarchici, quindi contro ogni ruolo. È un problema irrisolto e forse
irresolubile, ma io sono fondamentalmente ottimista e spero che col
tempo, continuando a crescere diventi possibile per noi accettare
ruoli e funzioni senza conflitti.
Quali rapporti
avete con le altre comunità degli Stati Uniti e del Messico?
Sandra -
Abbiamo rapporti con moltissime situazioni comunitarie e facciamo
parte di una sorta di federazione - il Rainbow Gathering (Incontro
dell'Arcobaleno) - che raccoglie tutte le comunità di ogni tipo e
che si riunisce una volta all'anno negli USA. Provate ad immaginare
un immenso parco nazionale dove per un mese vivono
venticinque/trentamila persone, dove ciascuna comunità ha il suo
accampamento, dove questa massa di gente si autogestisce
completamente, dove funzionano attività creative, centri di medicina
alternativa, una casa dei bambini, dove ogni notte ci sono feste di
ogni genere e dove, soprattutto ci si scambiano informazioni,
conoscenza, tecnologie, si tesse una rete che continuerà poi nel
tempo. Inoltre esistono riunioni di delegati in cui vengono prese
decisioni di politica bio-regionale che saranno riportate e discusse
all'interno delle comunità d'origine e impronteranno l'attività
specifica di ogni gruppo nell'anno successivo sino al prossimo
incontro. Si tratta di un processo evolutivo continuo di cui si
possono vedere gli sviluppi anno dopo anno, è un nuovo corpo sociale
in continua crescita. Per quanto
riguarda il Messico, che è il luogo dove per ovvie ragioni
maggiormente operiamo, esiste una rete che sta diventando sempre più
solida e importante e che collega situazioni diversissime tra loro;
ci incontriamo una volta al mese in comunità sempre diverse, per
darvi un'idea della ricchezza di queste esperienze, in un anno non
siamo mai tornati nello stesso posto. Incontrarsi significa
verificare quello che si sta facendo, trovare obiettivi comuni,
scambiarci informazioni ma anche scambiarci prodotti: se una comunità
produce miele o frutta essiccata, noi possiamo produrre per loro un
video che serva a farla conoscere avendone in cambio loro prodotti. E
significa anche aiutarsi a vicenda in determinati lavori, stare
insieme costruendo qualcosa che è comune. Proprio per dare uno
strumento, una voce a questa rete abbiamo creato la rivista
"Arcorredes" che dovrebbe diventare un tramite tra le varie
comunità non solo messicane ma internazionali e una cassa di
risonanza di una cultura che passo dopo passo stiamo tutti
faticosamente creando.
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