Rivista Anarchica Online
Morte di un poliziotto
a cura della Redazione
Il poliziotto dottor Luigi Calabresi, già commissario dell'ufficio
politico della questura di Milano,
promosso commissario capo dopo la strage di stato, è stato ammazzato con una revolverata alla
nuca.
Questa è l'unica cosa certa, sinora. Nessuno ha parlato di suicidio o di incidente: le versioni
più bizzarre
e contraddittorie nascono solo attorno alla morte degli anarchici.È stato ammazzato il poliziotto
della Zublema, di Pinelli, di Valpreda, di Feltrinelli ed è l'unico dato di
fatto certo. Tutto il resto è fumo, chiacchiere, isteria, congetture, menzogne, illazioni,
ipotesi.Noi non vogliamo qui esporre altre ipotesi, ma esprimere la nostra opinione sulla vicenda con
sincerità,
seppure con minore lapidarietà e completezza di quanto vorremmo, ad evitare - se pure
è possibile con
i tempi che corrono - di farci incriminare per apologia di reato. Perché è certo che se
esprimessimo
apertamente quale è stata la nostra reazione emotiva alla morte di Calabresi (e non la nostra
soltanto,
ma di tanti compagni e non), troveremmo qualche maresciallo, deputato, suora di clausura, impiegato
di concetto, pensionato, casalinga, vicepresidente RAI-TV, poliziotto, disposto ad indignarsi e a
denunciarci e qualche Occorsio disposto ad indignarsi e ad inquisirci e qualche giudice disposto ad
indignarsi e a condannarci. Così anche se esponessimo la nostra opinione netta sull'attentato
politico in
generale (che pure non è di entusiastica approvazione né di incitamento, ma neppure
di ipocrita
universale condanna), troveremmo certamente qualche zelante servitore stipendiato dallo stato disposto
a ravvisare nelle nostre argomentazioni sanguinarie istigazioni al delitto.Partiamo dal dato di fatto che
Calabresi è stato ammazzato e che gli anarchici, i rivoluzionari, i proletari
non hanno pianto. Hanno pianto i parenti di Calabresi e del loro dolore ci spiace, ma non più
di quanto
ci spiaccia il dolore dei parenti di tutte le vittime di incidenti stradali. Certo meno di quanto ci addolori
il dolore dei parenti delle vittime della polizia, degli incidenti sul lavoro, dei morti ammazzati nelle
guerre
volute dai padroni e dagli stati... Hanno finto di piangere, ed in realtà erano spaventati, i
commissari, i
questori, i prefetti, i ministri, i padroni, i quali hanno scoperto (o riscoperto) che, se i loro sistema
è
(ancora) possente e può (ancora) uccidere i sovversivi, schiacciare la verità, tenere
aggiogate le masse
sfruttate, loro, gli individui, non sono invulnerabili. Hanno constatato che, se siamo ancora
lontani dal
momento in cui l'intera classe dominante sarà chiamata a rispondere dei suoi delitti e la
rivoluzione farà
giustizia distruggendo il sistema dello sfruttamento e dell'oppressione, già ora la singola rotella
dell'ingranaggio repressivo può essere chiamata a rispondere dei suoi atti.Questa paura che
abbiamo visto negli occhi e sentito nei discorsi dei potenti e dei loro servi è segno, a
nostro avviso, che comunque sia andata la faccenda dell'uccisione di Calabresi, provocazione o vendetta,
essa ha avuto il valore di un monito.Al momento in cui scriviamo queste righe, quindici giorni dopo il
fatto, nessuno tranne forse la polizia
(e probabilmente neppure essa) ha elementi concreti per convalidare un'ipotesi interpretativa
dell'uccisione del commissario-finestra. Esistono solo, quindi, ipotesi "politiche". Così la destra
dà per
certo che siano state le "belve rosse" e la sinistra parlamentare dà per certo che si tratti di una
ennesima
provocazione.La sinistra extraparlamentare, da parte sua, è divisa tra chi vede in questa vicenda
la mano degli assassini
fascisti di piazza Fontana e dei loro mandanti e complici (che avrebbero voluto in un sol colpo eliminare
uno che sapeva troppo e si era bruciato ed insieme creare una vittima da attribuire ai sovversivi) e chi
senza dubbi vede ed esalta in questo gesto una mano rivoluzionaria vendicatrice.Noi non ci sentiamo
di escludere nessuna delle due ipotesi. Da un lato, dopo tre anni di strage continua
di stato, non ci stupirebbe più nulla e certo il momento scelto per ammazzare Calabresi era
quello
politicamente meno opportuno ed è servito egregiamente alla recrudescenza della repressione
(ma la
repressione ne aveva proprio bisogno?) e ci sono, al solito, tante stranezze in tutta la vicenda. D'altro
canto non vediamo perché si debba escludere in modo tanto reciso e solo in base a congetture
politiche
(che ricalcano la traccia un po' troppo consunta - e poco rivoluzionaria - della provocazione nascosta
dietro ogni atto illegale) la possibilità che Calabresi sia stato ammazzato per vendicare
Pinelli.Quello che è certo è che nessuna organizzazione rivoluzionaria, anarchica od
extraparlamentare, ha
progettato questa esecuzione del commissario.Ma non basta certo questo per qualificare di
provocazione il fatto. Altro è, inoltre, dissentire
sull'opportunità politica di un gesto - che, ripetiamo, neppure noi avremmo consigliato all'ignoto
autore;
altro è mettere subito avanti le mani impaurite gridando alla provocazione. Il che, oltretutto,
non è
neppure dignitoso, quando per due anni si è gridato nelle piazze "Calabresi assassino" e "Pinelli
sarai
vendicato".Generalizzando il discorso (perché taluni "rivoluzionari", nella foca di allontanare
da sé il sospetto di
essere se non complici almeno istigatori e corresponsabili, si sono messi a straparlare) vogliamo poi
ribadire che altro è dire che ammazzando re, ministri, generali, eccetera non si abbatte il sistema
(ma,
ci credano gli ex-parlamentari del Manifesto, neppure quegli incolti di cose socio-economiche che sono
notoriamente gli anarchici lo pensano), altro è dire, tout-court, che sempre e
dovunque l'attentato
politico sia inutile o peggio ancora provocatorio. Andiamoci piano. Non confondiamo la tattica con la
paura ideologizzata.
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