Rivista Anarchica Online
Storia d'arte e
anarchia
di Marina Padovese / Fabio Santin
Una delle forme
in cui si esprime il potere. Ma al contempo
un elemento incontrollabile, soggettivo, libero. La storia dell'arte
ne evidenzia queste possibili funzioni. E altre ancora.
Si potrebbe
sostenere che nell'anarchismo la dimensione estetica sia diretta e
necessaria conseguenza della sua fondamentale dimensione etica. Per
l'anarchismo, l'essere umano non può che essere visto nella sua
totalità. E infatti già dai primi pensatori anarchici il problema
dell'arte fu affrontato con grande interesse e notevoli intuizioni,
guardando all'arte come uno dei momenti più alti del pensiero e
dell'espressione dell'uomo e come simbolo dell'energia creativa della
società. "La ragione
prima e fondamentale che, alla fine dell'800, spinse molti artisti,
poeti e critici a rivolgersi con simpatia al movimento anarchico,
scaturiva dal rifiuto di una società industriale che andava
provocando squilibri sociali devastanti e che mercificava ogni
prodotto del lavoro, anche artistico. (...) Il movimento anarchico,
più degli altri movimenti politici dedicava nei suoi giornali e nei
suoi dibattiti uno spazio rilevante ai problemi artistici, e meno
degli altri aveva assunto un'organizzazione centralizzata e
vincolante". (B. Recchilongo). William Godwin, uno
dei primi grandi pensatori libertari, rifiutava ogni sistema sociale
che presupponesse un governo e sosteneva la necessità di creare una
struttura basata su comunità di dimensioni limitate. La sua teoria
comunitaria ebbe in seguito un profondo influsso sull'urbanistica e
il suo atteggiamento antistatale ed egualitario attirò l'attenzione
di molti scrittori e artisti professionisti. Le idee di Godwin si
diffusero soprattutto fra gli esponenti dell'avanguardia romantica
inglese e, insieme a quelle dei rivoluzionari francesi, ispirarono i
giovani poeti Coleridge, Southey, Shelley. Allo stesso modo,
Charles Fourier, considerato uno dei precursori dell'anarchismo, si
era spinto verso la ricerca di un nuovo ordine sociale
decentralizzato ed era pure lui arrivato a pensare una società
divisa in comunità. Nel 1836 fondò la rivista "Phalange"
in cui si pubblicò, e fu tra i primi, un suo studio sul problema
degli alloggi per gli operai. Laverdant, suo discepolo, scrisse,
sempre sulle pagine della rivista, che l'arte è "l'espressione
della società" che "rende manifeste le idee sociali più
avanzate" e quando "l'arte adempie degnamente la sua
missione... l'artista è davvero d'avanguardia". Contemporaneamente
si andava delineando una nuova tendenza che, rifacendosi ad uno
spirito più individualista, incominciava a rifiutare il concetto di
funzione e di utilità sociale dell'arte. Questa tendenza trovò modo
di esprimersi in alcuni rappresentanti della bohème e nel movimento
de l'art pour l'art; questi erano su posizioni
estremamente radicali rispetto all'arte del tempo e per quanto
riguarda il terreno sociale sicuramente vicini all'anarchismo.
Secondo Baudelaire, uno degli interpreti più noti di questa
tendenza, è la fantasia pura a produrre "l'arte per l'arte,
un'arte orgogliosa che non è serva di nessuno, dal momento che si
pone tutti i suoi problemi dall'interno". (E. Wind)
La Comune di
Parigi
Se in questo
periodo storico, caratterizzato dal crescente sviluppo del
capitalismo, l'arte si è ormai separata dalla società, da precisa
funzione sociale è ridotta a pura espressione, da partecipazione e
fruizione pubblica a patrimonio di élite, non a caso appartenenti
alle nuove classi dominanti, nella società utopica dovrà ritrovare
la sua funzione centrale, dovrà ritrovare dignità, ridiventare
un'esigenza. In Francia, dopo la
caduta di Luigi Filippo, una fra le più conosciute associazioni di
artisti e scrittori d'avanguardia fu il "Club de la revolution"
di cui faceva parte, fra gli altri, P. J. Proudhon. Nel suo saggio
"Du principe de l'art et de sa destination sociale"(1)
rifacendosi alle teorie di Hegel sulla morte dell'arte (2) scrisse:
"La società si separa dall'arte e la estromette dalla vita
reale; la trasforma in strumento di piacere e di divertimento: un
passatempo a cui però non tiene; l'arte è qualcosa di superfluo, è
lusso, vanità, dissolutezza, illusione; è tutto quel che si vuole.
Non è più una facoltà né una funzione, non è una forma di vita
né una parte integrante e costitutiva dell'esistenza". Proudhon, nel suo
intento di ridefinire il ruolo dell'arte, ne sottolineò la funzione
di stimolo rivoluzionario allo sviluppo morale ed intellettuale
dell'uomo, senza per questo cadere nel concetto di arte intesa come
forma di propaganda, tesi fatta propria dal realismo socialista. Lo
scopo dell'arte, scrisse ancora, è "quello di condurci alla
conoscenza di noi stessi... e perciò di contribuire allo sviluppo
della nostra dignità, al perfezionamento del nostro essere". Attaccando il mito
romantico del grande artista egli intendeva negargli, nella
società futura, ogni privilegio: "l'artista sarà infine un
cittadino, un uomo come un altro: seguirà le stesse regole, obbedirà
agli stessi principi, rispetterà le stesse convenzioni, parlerà la
stessa lingua, eserciterà gli stessi diritti e compirà gli stessi
doveri. Finito il tempo dell'idolatria, degli uomini straordinari". Le vicende della
Comune di Parigi, determinanti in quegli anni di rivolte,
rappresentarono "una delle ultime volte in cui un largo settore di
scrittori, di poeti e di artisti parteciparono ad un'azione politica
di eccezionale portata". La loro adesione "fu così pronta,
spontanea e vivace che, con le loro sole forze, essi costituirono un
intera compagnia di combattenti". (M. de Micheli) Un significativo
esempio di questa generosa partecipazione fu Gustave Courbet che,
eletto nel Consiglio della Comune, non si era mai scostato dalle
posizioni cooperative e federaliste del gruppo proudhoniano (3). Fra
i vari incarichi culturali, era membro del consiglio della Comune e
faceva parte della Commissione per l'Istruzione, contribuì alla
messa a punto del programma della Federation des artistes de Paris
nel cui comitato, assieme a Daumier, considerato il più grande
"pittore satirico francese d'ogni tempo", erano pure Manet,
Corot e Millet. La Federazione fu intesa in termini di
corporazione di produttori, nella certezza che "il pensiero
umano espresso dalla produzione degli artisti concorre potentemente
alla rivoluzione sociale". (G. Coubert). Il programma
volgeva la sua attenzione anche alle arti applicate e, in largo
anticipo su William Morris, ne auspicava una stretta integrazione con
l'arte arrivando a prevedere un'arte collettiva alla portata
di tutti. Nello stesso
periodo in Inghilterra William Morris, che criticava la
specializzazione creata dalla divisione capitalistica del
lavoro, causa prima della disgregazione sociale ma anche artistica,
prospettava delle soluzioni ispirate ad un socialismo di tipo
evoluzionistico, rifacendosi agli utopisti francesi, ma anche a
Proudhon e soprattutto a Kropotkin, di cui era amico. Sia Morris che
Kropotkin nutrivano una forte ammirazione per il Medio Evo, un'età
nella quale, nonostante l'autoritarismo feudale, era nata "un'arte
sociale organica, progressista e ricolma di speranze", specchio
di un'organizzazione sociale basata sul decentramento e sul sistema
di cooperazione espresso nelle guilde e che, secondo loro,
rappresentava una compenetrazione dell'arte nella società mai più
verificatasi in seguito. L'arte del Medio Evo doveva la sua grandezza
all'idea di città, città intesa come luogo e come massima
espressione dell'arte sociale; infatti gli artisti operavano per la
comunità di cui facevano parte. Secondo Kropotkin la "massima
aspirazione è [divenuta] vedere la propria tela incorniciata di
legno dorato e appesa in un museo... l'arte del medio Evo, come
l'arte greca, non conosceva quei magazzini di curiosità che
chiamiamo musei o gallerie nazionali".
Tra '800 e '900
Alla fine dell'800
le correnti artistiche che facevano capo a Parigi, il
neoimpressionismo e il simbolismo, e a Londra, il preraffaellismo e
il neogoticismo, agivano avendo come riferimento politico, più o
meno diretto, l'anarchismo. Nel dibattito sul significato del
connubio tra istanze sociali ed espressione artistica si innesta la
discussione sul ruolo dell'artista e sulla funzione dell'opera
d'arte. Il periodico "Le
Révolté", fondato a Ginevra da Kropotkin, trasferito a Parigi
da Jean Grave, nel 1887 riprese le pubblicazioni come "La
Révolte", dedicando molto spazio all'arte. Grave, interpretando
i principi di un'estetica libertaria, ne vide una pratica
realizzazione nell'idea del teatro libero. "Se ogni
spettatore potesse rendersi utile, a modo suo, all'esecuzione
dell'opera a cui è chiamato ad assistere il suo appagamento
intellettuale sarebbe maggiore". (J. Grave) Signac intervenne
nel dibattito con un articolo apparso sul "La Révolte",
quale contributo di un compagno anarchico: "Sarebbe un
errore nel quale sono caduti troppo spesso i rivoluzionari meglio
intenzionati, come Proudhon, esigere sistematicamente una tendenza
socialista precisa nell'opera d'arte, poiché questa tendenza si
ritroverà molto più forte ed eloquente presso gli esteti puri,
rivoluzionari per temperamento, che, allontanandosi dai sentieri
battuti, dipingono quel che vedono, come lo sentono, e danno
inconsciamente, molto spesso, un solido colpo di piccone al vecchio
edificio sociale. (...) Giustizia in sociologia e armonia in arte è
la stessa cosa. (...) Pittore anarchico non è colui che darà
immagini anarchiche, ma colui che, senza ansia di lucro, senza
desiderio di ricompensa, lotterà con tutte le sue forze di individuo
libero contro le convenzioni borghesi e ufficiali col suo apporto
personale. Il tema è nulla, o tutt'al più è una parte dell'opera
d'arte non più importante degli altri elementi: tracciato, colore,
composizione...". Nel 1894, a causa
delle forti repressioni, la rivista fu costretta nuovamente a cessare
le pubblicazioni ma, poco dopo, sempre Grave fondò "Les Temps
Nouveaux" che si pubblicò sino allo scoppio della prima guerra
mondiale e a cui collaborarono, con loro disegni, numerosi artisti e,
fra questi, i neoimpressionisti ebbero un ruolo di primo piano. (4) Un'altra importante
rivista politico-culturale di quegli anni fu la nuova edizione de
"L'art social" che, grazie al contributo di alcuni
intellettuali anarchici e promuovendo conferenze e dibattiti nei
quartieri popolari, riuscì ad essere un punto di riferimento per la
divulgazione e la conoscenza dell'arte, della letteratura e della
scienza fra i lavoratori. Fernand Pelloutier, anarcosindacalista e
fondatore delle "Bourses du Travail", attivo animatore
della rivista fu tra coloro che auspicarono per l'arte la funzione di
ausilio nella lotta sociale. "Che cos'è l'arte?
si chiede in un'importante conferenza (L'art et la Révolte).
Un'arma. Qual è il suo compito primario? Fare rivolte".
(A. Reszler) L'inizio del secolo
è contraddistinto in arte dalla nascita dell'espressionismo; il
primo gruppo tedesco, "Die Brucke", si formò nel 1905 a
Dresda e si collocò all'interno delle varie tendenze
dell'espressionismo europeo a fianco del movimento francese dei
"Fauves", con il quale condivideva il rifiuto di precisi
canoni stilistici e la dura polemica nei confronti della società.
"Uno degli scopi della Brucke" scrivono i suoi componenti
"è di attirare a sé tutti gli elementi e fermenti rivoluzionari, e
questo lo dice il nome stesso: ponte". La Brucke fu una
comunità anarchica composta da personalità artistiche che
pur conservando la propria individualità si riconoscevano in un
programma volto a distruggere le vecchie regole e a ricercare la
massima spontaneità nell'ispirazione, esprimendo liberamente le
pressioni emotive del proprio essere.
Basta con le
accademie
Il movimento Dada
nacque a Zurigo dopo lo scoppio della prima guerra mondiale e, con
rapidità sorprendente, si propagò in tutta l'Europa e anche negli
Stati Uniti: rappresentò sicuramente il massimo tentativo nichilista
di negazione della cultura e dei miti razionalisti della società
dell'inizio del secolo. La critica dadaista colpì innanzitutto una
società accusata d'aver provocato la tragedia della guerra, ma non
risparmiò via via tutti i movimenti artistici che le erano preceduti
e le stesse avanguardie a lei contemporanee. L'incessante volontà di
distruzione dei dadaisti si estrinsecò in una continua provocazione:
fu il tentativo di trasformare in azione la poesia; fu, insomma, il
tentativo più esasperato di saldare la frattura tra arte e vita. Dal manifesto Dada
del 1918, scritto da Tristan Tzara: "così nacque DADA, da un
bisogno d'indipendenza, di diffidenza verso la comunità. Coloro che
sono con noi conservano la loro libertà. Noi non riconosciamo alcuna
teoria. Basta con le accademie cubiste e futuriste, laboratori di
idee formali. L'arte serve per ammucchiar denari e accarezzare i
gentili borghesi? Tutti i gruppi d'artisti sono finiti a questa banca
pur cavalcando su diverse comete. (...) Io Sono contro i sistemi:
l'unico sistema ancora accettabile è quello di non avere sistemi
(... ) La morale atrofizza, come tutti i flagelli dell'intelligenza.
Il controllo della morale e della logica ci hanno imposto
l'impassibilità davanti agli agenti di polizia, causa della nostra
schiavitù, putridi ratti di cui la borghesia ha ingombra la pancia e
che hanno infettato gli unici corridoi di nitido e trasparente
cristallo che restavano ancora aperti agli artisti. (... ) Ogni forma
di disgusto suscettibile di diventare una negazione della famiglia è
Dada: la protesta a pugni di tutto l'essere intento a un'azione
distruttiva è Dada: l'abolizione della logica, la danza degli
impotenti della creazione è Dada; l'abolizione di ogni gerarchia e
di ogni equazione sociale di valori stabilita fra i servi che sono
tra noi servi è Dada; ogni oggetto, tutti gli oggetti, i sentimenti
e le oscurità, le apparizioni e l'urto preciso delle linee parallele
sono mezzi di lotta Dada; (...) Libertà: DADA DADA DADA, urlio di
colori increspati, incontro di tutti i contrari e di tutte le
contraddizioni, di ogni motivo grottesco, di ogni incoerenza: LA
VITA". Ultima delle
avanguardie artistiche del Novecento, il surrealismo raccolse la
carica di dissacrazione dei dadaisti dando però, a differenza di
questi, un senso propositivo alle esigenze di libertà, individuale e
sociale. Il problema della
libertà fu uno dei nodi centrali di tutta l'esperienza surrealista
vissuto comunque nella convinzione di poterla ottenere in "una
società senza classi, senza Stato, in cui possano realizzarsi tutti
i valori e tutte le aspirazioni dell'uomo". (A. Breton) "In omaggio a
Guillaume Apollinaire... Soupault e io chiamammo surrealismo
la nuova maniera d'espressione pura...", disse André Breton,
fondatore del movimento, il cui pensiero fu segnato dalle teorie di
Marx in campo sociale e da quelle di Freud in campo psicologico. "Noi
abbiamo proclamato da lungo tempo la nostra adesione al materialismo
dialettico, di cui facciamo nostre tutte le tesi: primato della
materia sul pensiero, adozione della dialettica hegeliana...
concezione materialistica della storia... necessità della
Rivoluzione sociale... Della psicologia contemporanea, il surrealismo
ritiene essenzialmente ciò che tende a dare una base scientifica
alle ricerche sull'origine e i mutamenti delle immagini ideologiche.
È in questo senso che il
surrealismo ha annesso una particolare importanza alla psicologia del
processo del sogno così come Freud l'ha spiegata". (A. Breton) Indotto dagli studi
di Freud e basandosi sulle sue scoperte, nel Primo Manifesto scrive:
"Per merito tuo l'immaginazione è forse sul punto di
riconquistare i suoi diritti". Per quanto
riguarda la lotta politica, Breton precisò il suo pensiero nel
Secondo Manifesto del Surrealismo del 1929 (il primo era stato
scritto nel '24): "Il problema dell'azione sociale, tengo a
tornare su questo punto e v'insisto, è soltanto una delle forme di
un problema più generale che il surrealismo si è sentito in dovere
di sollevare e che è quello dell'espressione umana in tutte le
sue forme". "I poeti degni di
questo nome, come i proletari, rifiutano d'essere sfruttati. La
poesia vera è inclusa in tutto ciò che non si conforma a questa
morale, a una morale che, per mantenere il suo ordine, il suo
prestigio, non sa far altro che costruire banche, caserme, prigioni,
chiese e postriboli" scrive Paul Eluard, che con Breton e altri,
già dai primi anni trenta, aveva ormai lasciato il partito comunista
francese a cui per un breve periodo aveva aderito. I partiti comunisti
facevano propria in quel tempo l'estetica del realismo socialista,
imposta formalmente da Mosca nel 1934, sottoponendo sempre più gli
artisti che si erano avvicinati al loro controllo e alla loro
direzione. "Nello specchio nero dell'anarchismo il surrealismo
si è riconosciuto per la prima volta, prima ancora di definirsi a se
stesso e quando ancora non era che una libera associazione fra
individui che rifiutavano spontaneamente e in blocco le costruzioni
sociali e morali del loro tempo... Perché in tale momento non poté
aver luogo una fusione organica fra elementi anarchici propriamente
detti ed elementi surrealisti? Venticinque anni dopo sono ancora qui
a chiedermelo". (A. Breton, 1952) Se da un lato,
quindi, coerentemente con i propri presupposti si valutava
positivamente l'arte in quanto tale, vista come una delle essenziali
espressioni dell'individualità umana, dall'altro, in sintonia con
molto del pensiero di sinistra, si tendeva a valutare l'arte solo in
quanto possibile e potente media da mettere al servizio del
proprio progetto politico. Questa visione, comunque, fu certamente
più vicina ad un'interpretazione estetica di tipo marxista, da cui
ben presto dovevano derivare le tipiche degenerazioni del realismo
socialista e dell'arte di propaganda. D'altronde ci pare
importante sottolineare come il realismo socialista o l'arte
dei regimi nazista o fascista siano uno dei possibili punti di arrivo
di una parabola che nasce col nascere stesso dell'arte. Essa infatti
ha svolto fin dal suo primo sorgere una precisa funzione sociale, una
funzione che nel corso del tempo è cambiata nei suoi significati
simbolici mantenendo tuttavia inalterato il suo valore di fondo:
l'essere una forma di comunicazione che, con lo strutturarsi
delle società gerarchiche, non poteva che diventare anche una delle
forme attraverso cui si manifestava il potere. Ma la sua natura
profonda di comunicazione creativa, che nasce direttamente
dall'individualità e direttamente ad essa si rivolge, saltando ogni
altra mediazione sociale, è la stessa dell'umanità:
incontrollabile.
(1) Il saggio doveva
essere in origine una presentazione al quadro di Courbet Les Curés
o Le retour de la conference, appena rifiutato dal Salone
ufficiale per il suo acceso contenuto anticlericale (il dipinto fu
successivamente acquistato da un ricco cattolico e distrutto). Dalle
quattro pagine richieste da Courbet "...ne sono venute fuori
centosessanta, vale a dire che, invece di una réclame avrò fatto un
trattato." (P. J. Proudhon). Du principe de l'art et de sa
destination sociale, pubblicato postumo nel 1865, fu in realtà
una sintesi delle dottrine estetiche di Proudhon e uno dei primi
saggi dedicati esclusivamente al problema dell'arte.
(2) Secondo Hegel
"era arrivato un momento nella storia del mondo, a partire dal
quale l'arte avrebbe perso quello stretto legame, che in passato
aveva avuto, con le energie centrali dell'uomo; si sarebbe trasferita
al margine, e lì avrebbe formato un ampio e splendidamente variegato
orizzonte. Il centro sarebbe rimasto alla scienza; cioè, a un
inarrestabile spirito di ricerca razionale".
(3) Ricorda infatti
Courbet: "Io mi sono costantemente occupato della questione
sociale e delle filosofie che ad esse si richiamano, camminando per
la mia via parallelamente al mio compagno Proudhon".
(4) Il periodico fu
un vero centro di attività culturale e di diffusione del pensiero
anarchico e rappresentò per oltre un trentennio uno dei punti di
riferimento per il movimento, ma anche per intellettuali ed artisti e
per tutta la cosiddetta cultura d'opposizione. "I pittori si
dimostrarono particolarmente sensibili al richiamo delle
pubblicazioni di Grave e la loro collaborazione rappresenta
certamente il contributo più importante, per l'ampiezza e l'impegno
diretto, dato dagli intellettuali della fine del sec. XIX ad un
movimento politico" (B. Recchiongo).
Bibliografia
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Le avanguardie artistiche del
novecento, Feltrinelli, Milano 1966.
D.D. EGBERT,
Arte e sinistra in Europa, Feltrinelli, Milano
1975.
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I grandi pittori e l'anarchismo,
da Volontà n° 3/1963.
P. KROPOTKIN,
Parole di un ribelle, Paterson-Ginevra 1904.
P.J. PROUDHON, Du principe de l'art et de sa destination socìale, Paris
1865.
B. RECCHITONGO, Grafica anarchica, Istituto della Enciclopedia
Italiana, Roma 1981.
A. RESZTER,
L'esteticaanarchica, Sugarco, Milano 1975.
A. SCHWARZ,
Almanacco Dada, Feltrinelli, Milano 1976.
A. SCHWARZ,
Breton, Trotskj e l'anarchia, Multhipla, Milano 1980.
E. WIND,
Arte e anarchia, Adelphi, Milano 1968.
G. WOODCOCK,
L'anarchia, Feltrinelli, Milano 1966.
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