Rivista Anarchica Online
Gorbaciov, secondo me
di Cornelius Castoriadis
La lotta che si svolge all'interno
del partito comunista dell'URSS è, forse, l'indicatore di un
fermento sconosciuto. Cornelius Castoriadis, sociologo ed
economista, propone un canovaccio sicuramente originale.
Si può descrivere sulla carta
l'emergere di un capitalismo burocratico di mercato. La
proprietà dello stato (o "del popolo") viene
conservata sulle imprese superiori a una certa taglia, mentre le
società più piccole potranno essere create da chiunque
ne abbia la volontà e la possibilità. I kolchoz vengono
sciolti e la terra restituita ai contadini o a cooperative
volontarie. Le imprese (statali o private) sono libere di fissare i
prezzi, di assumere e di licenziare, di acquistare presso il
fornitore meno caro e di vendere al più conveniente. I
dirigenti delle società pubbliche vengono nominati (come in
Francia o in Italia) dallo stato, vale a dire dal partito. Il
personale, direttivo e non, gode di una percentuale come
partecipazione a eventuali profitti. Prezzi e salari sono lasciati
liberi di raggiungere il loro "livello di equilibrio". Le
società redditizie possono reinvestire i loro profitti, quelle
in perdita (se non ottengono crediti) devono chiudere. Gli
investimenti a lungo termine sono finanziati, con il criterio unico
(o essenziale) della redditività, da apposite banche di
investimento. La banca centrale e il ministero delle finanze
garantiscono l'equilibrio generale manovrando i tassi di interesse e
di tassazione. Le spese dello stato vengono finanziate attraverso le
imposte (sul reddito, sui profitti e i consumi). Il monopolio del
commercio estero viene soppresso, mentre la concorrenza straniera è
conservata entro i limiti tollerabili attraverso sufficienti barriere
doganali o con una forte svalutazione del rublo.
Senza il sostegno della popolazione
Se si deve trovare una logica dietro ai
provvedimenti e alle dichiarazioni di Gorbaciov, essa non può
che condurre a questo scenario. Ma questa logica esiste solo sulla
carta. Innanzitutto, come passare dal "qui" al lì,
dalla unione Sovietica reale di oggi a quella fittizia? Certo, sulla carta le soluzioni per
questo passaggio sono reali, ma presentano notevoli difficoltà.
La realizzazione, sia pure graduale, del modello prima descritto,
porterebbe a conseguenze drammatiche: massiccia disoccupazione,
aumento considerevole dei prezzi al consumo (oggi grandemente
sovvenzionati), spostamenti geografici, professionali e sociali. Le
misure entrate in vigore nel 1988 (liberalizzazione delle transazioni
tra imprese per il 60% delle società), unite al mantenimento
dell'attuale struttura dei prezzi (della quale tutti riconoscono la
totale irrazionalità) appaiono quindi come incoerenti.
Esse acquisterebbero una logica solo in
presenza di una liberalizzazione dei prezzi per tutte le imprese.
Questo porterebbe a ulteriori assurdità
senza la possibilità per le stesse aziende di assumere o
licenziare il personale.
Nessuna riforma reale può
d'altra parte essere attuata, nell'URSS di questo fine secolo, senza
il sostegno e la partecipazione attiva di larghi strati della
popolazione. Una tale riforma necessiterebbe, per riuscire, di un
vasto movimento storico-sociale.
Non solo un tale movimento non esiste
oggi in URSS (e, se nascesse, farebbe saltare tutto), ma le misure
adottate, quando cominceranno a produrre i loro effetti, non potranno
che coalizzare contro di esse proprio coloro che dovrebbero
realizzarle, la grande maggioranza dei burocrati e la quasi-totalità
dei lavoratori salariati.
La cosa importante è
l'impossibilità di verificare a quale modello di società
e di regime politico condurrebbe questa economia di capitalismo
burocratico di mercato. Le tensioni della sua instaurazione,
repentina o graduale, provocherebbero un rafforzamento, non una
diminuzione, dei poteri del partito.
Inversamente, il successo delle riforme
accrescerebbe la potenza economica, il ruolo, il peso e la visibilità
sociale di alcuni strati sociali (contadini agiati, quadri tecnici,
scientifici e manageriali, intellighenzia), che prima o poi
richiederanno di esercitare la loro quota di potere politico.
A tutte queste contraddizioni si
aggiungono quelle risultanti dalla liberalizzazione controllata della
vita culturale. Nessuno è ancora riuscito a definire il
margine che separa ciò che è lecito fare, nella ricerca
della verità, da ciò che rimane vietato. E i segni si
moltiplicano, di fronte alle reazioni ostili dei "conservatori"
e alla proliferazione di micro-organizzazioni che cercano di
approfittare di ogni spazio di agibilità disponibile e
sembrano voler mettere in discussione ogni aspetto della vita
politica e sociale. Il fuoco del conflitto tra i "modernizzatori"
e la grande massa conservatrice della burocrazia (con i suoi
rappresentanti nell'apparato), cova per il momento sotto la cenere.
Le contraddizioni della politica d'impresa e gli effetti (in primo
luogo negativi) che essa produrrà se effettivamente applicata,
l'anticipazione dei pericoli che la sua applicazione comporta per
l'Impero all'interno e all'esterno delle frontiere (nazionalità
asservite, paesi satelliti), non potranno che accenderlo.
Non si può escludere del tutto
una ritirata di Gorbaciov verso una sorta di neo-NEP (cioè una
Nuova Politica Economica, come la liberalizzazione adottata da Lenin
per contenere i disastri della pianificazione), che ridurrebbe un po'
le maggiori irrazionalità del sistema, ma ne perpetuerebbe
anche i fattori di instabilità. Molto probabilmente, invece,
il conflitto sarà risolto con l'eliminazione di Gorbaciov o
con la messa a riposo della sua politica. Oppure si assisterà
allo scoppio di una rivolta, nel qual caso entreranno in scena
l'esercito e la popolazione, oppure uno dei due a turno.
Appare impossibile non vedere negli
avvenimenti degli ultimi anni (come, in un altro senso, in tutto ciò
che è successo dopo la morte di Stalin) la dimostrazione
clamorosa che il totalitarismo sovietico non è un regime fuori
dalla storia, ma è pervaso da potenti fattori di cambiamento
e, potenzialmente, di spostamento o piuttosto di esplosione.
È
impossibile non vedere come l'attuale periodo di allentamento dei
bavagli (indipendentemente dalle intenzioni dei suoi autori), se pure
dovesse concludersi domani, avrà pur sempre seminato una
miriade di semi che avranno molta importanza per la storia della
Russia.
(traduzione
di Giuseppe Gessa dalla rivista Pouvoirs
)
|