Rivista Anarchica Online
Oltre il dualismo
di Chia Heller
L'ecofemminismo deve comprendere a
fondo le origini della gerarchia e della dominazione, superando una
visione del mondo che separa natura e cultura, spirito e materia,
maschile e femminile.
Il tentativo dell'uomo di sottomettere
al proprio controllo questo "regno della necessità"
che chiamiamo natura è espresso dalla religione, dalla scienza
e dalla filosofia occidentali. Secondo tutte queste discipline, la
natura è un mondo separato dall'uomo, un regno della necessità
che l'uomo deve controllare, ordinare, comprendere e infine
trascendere.
Come Murray Bookchin ha dimostrato
nella sua opera "Freedom and Necessity in Nature", il
concetto di una natura rigidamente deterministica sottintende un
profondo dualismo tra natura e cultura, da cui derivano molte altre
separazioni: spirito e materia, maschile e femminile, soggetto e
oggetto, che si fondano sulla convinzione che esista una natura
deterministica separata dalla cultura (sacra prerogativa dell'uomo).
Il modo percettivo e cognitivo dualistico ha implicazioni letali:
semplifica la conoscenza umana a tal punto, che l'intricata
complessità del mondo naturale si riduce soltanto a una serie
di fenomeni opposti, polarizzati e antagonistici.
Il dualismo presuppone un atteggiamento
da "divide et impera", per effetto del quale il soggetto,
dopo aver diviso la molteplicità dei fenomeni naturali
interconnessi in semplici coppie di opposti polarizzati, assegna un
valore ai componenti di ciascuna coppia. Così facendo, si
potrà giustificare la prevalenza dell'elemento "meno
desiderabile" da parte di quello "più desiderabile",
preparando il terreno alla gerarchia ed al dominio.
Per l'ecofemminismo comprendere le
origini della dominazione e della gerarchia è essenziale.
Proprio perché una concezione dualistica e rigidamente
deterministica della natura è stata utilizzata dall'uomo
occidentale per giustificare il dominio sulla donna e sulla natura,
vorrei analizzare più a fondo i concetti di libertà,
necessità e natura. Per dimostrare che questa dominazione è
illegittima, dobbiamo smascherare e distruggere il mito della legge
naturale (...).
Le teorie femministe passate e presenti
non hanno ancora rivoluzionato il concetto di natura. Benché
molte femministe dichiarino di rifiutare l'idea di una natura
deterministica e gerarchica, di fatto il femminismo è ancora
viziato dal dualismo. Allargando alla critica femminista il concetto
estremamente innovativo di Bookchin della natura come regno di
potenziale libertà, creeremo la possibilità di un
"ecofemminismo radicale". Una critica siffatta farebbe
piazza pulita dell'angusta idea deterministica della natura che
ancora sopravvive nella teoria femminista, sostituendovi una teoria e
una politica ispirate a una concezione radical e liberatoria del
mondo naturale, un mondo non completamente legato dalle catene della
legge naturale.
Le prime femministe sostenevano che
l'oppressione della donna fosse causata dalla convinzione che il
genere sia determinato dalla legge naturale.
Oggi le "femministe culturali"
sostengono che il genere sia determinato dalla legge naturale, ma che
l'oppressione delle donne sia un effetto della negazione
patricentrica dei valori femminili derivati dalla legge naturale.
Benché sia il femminismo
"liberal" che il femminismo culturale offrano diverse
interpretazioni del rapporto tra le donne e la cultura patricentrica,
entrambe le tendenze condividono la concezione dualistica, secondo la
quale la cultura si contrappone a una natura rigidamente
deterministica. Per le femministe "liberal", la cultura è
il mezzo mediante il quale il genere umano può trascendere la
sua natura interna ed esterna. La cultura è il regno della
libertà, una realizzazione che ci affranca dal dominio di una
natura deterministica, soggiogata alla legge naturale.
Simone de Beauvoir, una femminista
socialista, si può considerare la caposcuola di quello che io
chiamo femminismo liberal. Nel suo libro "Il secondo sesso"
ha proposto il modello di un mondo nel quale le donne potranno
conquistare la libertà e l'uguaglianza con gli uomini, purché
imparino a trascendere il mondo della legge naturale.
Per Simone de Beauvoir lo sviluppo
delle donne deve superare l'identificazione con una natura
deterministica che è la causa dell'anatomia, della posizione
sociale e della psicologia femminile. L'identificazione femminile
della natura come regno della necessità riflette uno stato
sottosviluppato di "immanenza", che le donne supereranno
quando trascenderanno le leggi del mondo naturale partecipando alla
costruzione della cultura (...).
Infine, conservando la concezione
dualistica secondo la quale natura e cultura sono due entità
opposte e contrastanti, le femministe "liberal" conservano
anche l'idea secondo la quale uomini e donne sono entità
opposte e polarizzate. Di nuovo, de Beauvoir vede l'uomo come il
creatore originario della cultura e la donna come un essere
storicamente vincolato dalla propria immanenza. Come se non bastasse,
le femministe "liberal" sostengono che i conflitti e le
differenze tra uomini e donne si dissolveranno semplicemente quando
le donne saranno capaci di trascendere il regno della necessità
(...).
Una cultura nuova e migliore?
Anche il femminismo culturale, l'altra
linea teorica femminista, non riesce a superare il proprio dualismo
di fondo. Al pari delle liberal, anche le femministe culturali
sostengono che la cultura si contrappone a una natura deterministica.
Mary Daly, Andrea Dworkin e Sally Gearhart sono forse le più
intelligenti ed efficaci portavoce della teoria femminista culturale,
secondo la quale la cultura odierna si contrappone a una natura
deterministica femminile. Invece di considerare la cultura come regno
di libertà, le femministe culturali sostengono che la cultura
odierna nega una natura che rispetta leggi naturali femminili.
Di fatto, le femministe culturali
credono che le donne possano creare una cultura nuova e migliore,
fondata su leggi naturali femminili. Uno dei fondamenti del
femminismo è l'esistenza di certi inestricabili principi
femminili, che le donne possono conoscere e incorporare. La capacità
" innata" di cooperare, una spiccata sensibilità
ecologica e una natura pacifica sono soltanto alcuni di questi
principi, ai quali la natura femminile si conforma. È
interessante notare che le donne che non si comportano secondo questi
principi sono considerate vittime di un condizionamento patriarcale,
mentre nessuna distinzione viene fatta tra la mascolinità
patriarcalmente condizionata e il carattere maschile determinato
biologicamente. Si pensa che principi maschili quali la
competitività, l'aggressività, la bellicosità e
una spiccata razionalità siano "innati" negli uomini.
Fondamentalmente si ritiene che questa natura maschile esista a
priori e indipendentemente dal condizionamento patriarcale. Il femminismo culturale prende le
distanze dalla cultura maschile, governata da principi maschili, e
tende alla creazione di una cultura che esprima la propria vera,
innata natura. Libertà non significa più trascendere le
leggi della natura, bensì riconoscere la necessità,
accettare e persino venerare la legge naturale. Per conquistare la
libertà, le donne devono riconoscere la necessità della
legge naturale femminile.
Nella sua opera affascinante,
Gyn/ecology, Mary Daly, dichiara: "II salto in quello spazio
libero che è la consapevolezza femminilmente identificata,
richiede una vera e propria mutazione mentale/comportamentale. Quando
le donne onorano le donne, le categorie fallocratiche
del bene e del male non hanno più alcun valore".
Secondo Daly, se le donne compiono
questo salto nello "spazio libero" consapevoli della
propria natura femminile, i valori della cultura patricentrica si
dissolveranno.
Più oltre nel libro, Daly avanza
l'ipotesi che l'"origine" delle donne sia diversa da quella
degli uomini e che, riallineando la propria consapevolezza per
adattarla alla natura femminile, le donne "libereranno la
dinamica verso l'amicizia, insita nel rapporto madre-figlia, che il
sistema maschilista ha soffocato". (. .)
La necessità di una concezione
ecolibertaria della natura fondata sull'ecologia sociale appare
sempre più chiara quando pensiamo al modo in cui le femministe
"liberal" e culturali concepiscono il rapporto tra "donna
e natura". Sia le une che le altre accettano l'idea
tradizionale, secondo la quale le donne sono legate alla natura "più"
degli uomini: hanno soltanto opinioni diverse sulla necessità
di troncare o al contrario esaltare questo "speciale"
legame (...).
La convinzione che alcuni soggetti
siano legati alla natura più di altri è
fondamentalmente dualistica e riflette evidentemente una mancanza di
sensibilità ecologica. Lo studio dell'ecologia sociale
dimostra che esiste un'interconnessione tra tutti gli esseri che
vivono in una ecocomunità (*). La vita si fonda sul fatto che
tra tutti gli esseri viventi, ma anche non viventi, vi sia un
rapporto di interdipendenza, dal quale emergono sempre nuove forme di
vita differenziate e complesse.
La concezione occidentale, per cui il
grado di connessione è quantificabile, rivela un'incapacità
di comprendere appieno il concetto di interconnessione. Se
riconosciamo di vivere in un mondo in cui tutti i soggetti sono
sempre fondamentalmente interconnessi, l'idea secondo la quale alcuni
soggetti sono "più" o "meno" connessi di
altri diventa evidentemente assurda. In definitiva, ciò che
resta da vedere è il modo in cui tutte le forme di vita sono
interconnesse. (...)
Una critica radicale ecofemminista
della questione "donna e natura" dovrebbe permetterci di
definire un modo per uscire da questa impasse dualistica. Superato il
dualismo, vedremmo che il problema da risolvere sarebbe quello di
spiegare il diverso rapporto tra le donne e la natura senza affermare
che le prime siano connesse alla seconda "più" degli
uomini.
Amnesia ecologica
La risposta al quesito appare evidente
nel momento in cui ci si rende conto che le donne non sono connesse
alla natura più degli uomini, ma semplicemente che le donne si
ricordano di più del loro rapporto di interconnessione con il
mondo naturale. È
possibile che le donne abbiano conservato una consapevolezza primaria
dell'intersoggettività, una consapevolezza che secondo me
risiede nel nucleo più profondo della coscienza. Per molte e
diverse ragioni biologiche, sociali e culturali, gli uomini non hanno
mantenuto la coscienza dell'intersoggettività. Anzi, l'umanità
è diventata dualistica ed ha accettato una consapevolezza
secondaria, che inibisce la capacità di "ricordare"
l'interconnessione del mondo naturale. La tendenza a dimenticare la
connessione tra tutti gli esseri viventi è ciò che io
chiamo "amnesia ecologica".
Per contro, definisco "memoria
ecologica" la capacità di ricordarla. Se consideriamo il
rapporto donna/natura sotto questa luce, ci rendiamo conto che le
donne non sono connesse alla natura più degli uomini, ma che
esse hanno dimostrato, nel corso della storia, la tendenza a
mantenere una memoria ecologica.
È
essenziale sottolineare l'importanza del termine "tendenza"
usato per descrivere l'associazione donne-memoria ecologica, perché
questa connessione non deve essere intesa in alcun modo come
indicatrice di una legge naturale. L'ho descritta come
un'inclinazione, una scelta evolutiva che molte donne hanno compiuto
a livello inconscio. Nel suo libro In a different voice, Carol
Gilligan definisce "empatia" ciò che io chiamo
memoria ecologica. Secondo Gilligan, molte donne hanno mantenuto la
capacità di manifestare una grande empatia verso gli altri
esseri viventi; una capacità correlata sia alla potenzialità
materna delle donne, sia alla loro identificazione con le proprie
madri. In ambo i casi, le donne provano empatia per i propri piccoli
o si identificano con altre donne, nelle quali osservano quella
stessa empatia.
La maternità non è
caratterizzata necessariamente da manifestazioni di empatia. Ciascun
individuo rappresenta un dialogo unico ed irripetibile tra le proprie
esperienze biologiche e culturali e compie scelte consapevoli e
inconsapevoli su come interagire con la propria comunità
ecologica. Esistono certamente donne prive di empatia, così
come esistono uomini empatici, e madri che non esprimono la loro
potenzialità ad instaurare legami empatici. Inoltre, molte
donne hanno accettato il mito della trascendenza; in particolare
molte donne della tradizione femminista liberal. La memoria ecologica riveste
un'importanza decisiva per l'ecofemminismo. A mano a mano che
riconosciamo e sviluppiamo la nostra consapevolezza
dell'interconnessione di tutte le cose, cominciamo a vedere la natura
come un regno di libertà potenziale e in costante sviluppo.
Vediamo che nella natura tutti gli esseri viventi partecipano insieme
al compimento di scelte inconsce e anche consce (seppure in senso
rudimentale) circa la propria evoluzione.
Quando si scopre che la natura è
una rete varia e fittamente interconnessa, essa ci appare attiva,
creativa e partecipe. (...)
Valorizzare le ecocomunità
Per superare il dualismo dobbiamo
valorizzare la complessità delle nostre stesse strutture
mentali. Dobbiamo renderci conto che storicamente la nostra specie ha
represso la memoria dell'interconnettività della vita. Abbiamo
trasformato la nostra consapevolezza della complessività
ecologica in strutture di pensiero rigide, dualistiche e
riduzioniste. Abbiamo semplificato la portata e lo spettro dei nostri
sentimenti, impoverendo rapidamente la nostra immaginazione. Infine,
ciò che forse è più grave, abbiamo utilizzato
queste strutture cognitive impoverite nell'interazione con il mondo e
con il prossimo.
Le nostre percezioni e cognizioni
definiscono la forma della nostra interazione con il mondo. In quanto
ecofemministe, non possiamo pensare in termini riduttivi e
dualistici. Se conservassimo queste strutture di pensiero
semplicistiche, riprodurremmo e rafforzeremmo i dualismi che in
passato hanno viziato le teorie femministe fallo-accademiche.
L'ecofemminismo radicale implica una rivoluzione nel modo di
considerare la natura. Ci ribelliamo a un modo di pensare che ha
semplificato il suolo, le foreste, l'aria e le strutture comunitarie.
La gerarchia, il patriarcato e la centralizzazione del potere sono
conseguenze dell'aver vissuto il mito del dualismo e dell'aver
represso la memoria ecologica. In quanto ecofemministe, sappiamo che
non possiamo più concederci il lusso di pensare
semplicisticamente.
L'ecofemminismo mira a valorizzare e ad
approfondire la comune memoria ecologica, elaborando criticamente un
modo per uscire dal dualismo. A mano a mano che acquistiamo
consapevolezza delle connessioni tra le strutture storiche di
pensiero e i fatti storici, accresciamo la complessità delle
nostre strutture di pensiero e possiamo agire in modo da riflettere
la consapevolezza dell'interconnessione della vita. Pensare
ecologicamente consente di interagire nel mondo valorizzando le
ecocomunità. La rivoluzione ecofemminista inizia con il
passaggio dalla dua-logica all'eco-logica. L'ecofemminismo radical va
oltre i due femminismi precedenti, perché ritiene che la
cultura si sviluppi dalla natura. La cultura è il "regno
della libertà" non perché trionfa sulla natura, ma
perché attua le potenzialità latenti nella natura. Gli
esseri umani nascono e vivono nel mondo naturale. Noi siamo, come
dice Griffin, "Natura in cerca della natura... natura con
un'idea della natura". La nostra evoluzione è
inestricabilmente interconnessa a quella di tutti gli altri soggetti
nel mondo.
Il pensiero che penetra e supera il
dualismo porta a rendersi conto che nulla è separato dal
"mondo naturale". La matita con la quale scrivo, una stella
che dista un milione di anni luce, un sacchetto di plastica sono
interconnessi nel mondo naturale, indipendentemente dai valori
estetici, culturali o economici che decidiamo di assegnare loro.
È importante capire, però,
che essere "naturale" non significa necessariamente
favorire la vita. Infatti, ciò che è "naturale"
non deve essere necessariamente buono o cattivo. La natura è
un regno al di là dei concetti tradizionali di male e bene,
nel quale gli eventi si dividono in eventi che accrescono la
diversità e la complessità dell'ecocomunità ed
eventi che la semplificano. Ad esempio, i fertilizzanti chimici non
arricchiscono l'ecocomunità allo stesso modo dei concimi
organici: i primi tendono a trasformare il suolo in sabbia, in un
mero deposito minerale di sostanze nutrienti semplici e prive di
vita, mentre i concimi organici tendono ad arricchire la
complessività del suolo e a svilupparvi la varietà di
forme di vita e di reti alimentari.
Similmente, le stesse costruzioni
culturali, intese come parte d'un continuum naturale, dovrebbero
essere analizzate per scoprire quale sia la loro potenzialità
di accrescere o diminuire la complessività dell'ecocomunità.
È chiaro che le culture patricentriche gerarchiche non
favoriscono la complessità della vita sociale come farebbe una
cultura libertaria basata sull'ecologia sociale. Le culture
patricentriche centralizzano il potere e riducono il numero dei
partecipanti attivi alla struttura politica a poche figure elitarie e
ad alcuni organismi burocratici. Per contro, le forme culturali
ecolibertarie possono arricchire la complessità delle
strutture politiche promuovendo la partecipazione attiva di tutti gli
individui e la formazione di comunità a tutto tondo. In un
gruppo politico ecolibertario si verifica un effettivo riciclaggio
del potere; lo stesso meccanismo del consenso richiede che ciascun
individuo assuma piena responsabilità per le decisioni del
gruppo, garantendo una maggiore distribuzione del potere decisionale
e della democrazia.
Superare la psicologia dualistica
Noi donne autocoscienti, che abbiamo
vissuto indagando le implicazioni delle strutture di pensiero
dualistiche, siamo giunte al punto in cui possiamo scegliere se
creare una cultura affermatrice di vita.
Di nuovo, l'ecofemminismo radical
propone una concezione non dualistica, non riduzionista e dialettica
della natura. Se pensiamo dialetticamente, ci rendiamo conto che i
fenomeni che nell'ottica dualistica possono apparire "opposti"
sono in realtà soggetti realmente complementari, dai quali
possono svilupparsi altri soggetti anche più complessi. È
il rapporto dinamico tra soggetti diversi a favorire l'evoluzione e
la complessità. Se pensiamo dialetticamente, con una
sensibilità ecologica, ci rendiamo conto che differenza non
vuol dire necessariamente conflittualità. La differenza
rappresenta un'opportunità di integrazione creativa. I
rapporti dialettici costituiscono un processo di divenire continuo,
con sbocchi sempre aperti. Questa apertura è la libertà.
Cominciando a radicalizzare la nostra
concezione della natura, potremo anche sviluppare una psicologia, una
politica e una spiritualità femministe nuove, che incorporino
la complessità e la diversità del mondo naturale.
Abbiamo un disperato bisogno di
elaborare una nuova teoria psicologica, utilizzando le nostre storie
personali e collettive, per sviluppare il tema della natura umana
come "regno della libertà". Dobbiamo vedere
l'evoluzione storica e attuale delle donne come un processo
autodiretto e a sbocco aperto, non come un percorso inevitabile
determinato dalla legge naturale.
Innanzitutto, questa psicologia
ecofemminista deve collocare sia il genere che l'identità
sessuale nell'ambito della scelta. Il genere deve essere considerato
un'evidenza della diversità nella natura; una cosa desiderata,
sotto il profilo sia biologico che culturale, dalla quale possono
emergere infinite variazioni. Storicamente, abbiamo confuso il
problema del genere con la legge naturale. La cultura occidentale ha
strutturato la specie umana intorno a coppie polarizzate basate sul
genere, assegnando valori opposti a ciascun elemento. Superando la
psicologia dualistica, possiamo cominciare a desiderare il genere
come un "regno della libertà": un mondo di unità
nella diversità, nel quale vi è stata sempre una
varietà di ruoli sessuali, che storicamente è stata
sempre vissuta parzialmente o repressa. Una concezione ecofemminista
del genere favorirebbe un diverso spettro di identificazione
sessuale, che costituirebbe un'alternativa alla blanda androginia
alla quale soccombiamo quando accettiamo lo slogan femminista
"radical" della "unità a ogni costo". Il
genere, come la diversità, proietta l'immaginazione utopica
oltre l'idea dei principi femminili, elaborata dal femminismo
culturale. Là femminilità e la mascolinità
vengono private dei loro confini e l'orientamento sessuale diviene
aperto, fino ad includere l'intero spettro dei momenti o delle fasi
sessuali di un processo incessante.
Il superamento delle strutture di
genere rigide e polarizzate e delle categorie di preferenza sessuale
presuppone una nuova concezione del genere come regno della diversità
e della libertà. Radicalizzare in questo modo la nostra
concezione del genere significa imporsi di rispettare la nostra
evoluzione personale e collettiva. L'identità sessuale
autodeterminata riflette un dialogo tra il proprio gruppo personale e
biologico e la propria ecocomunità. Se possiamo accettare e
valorizzare il fatto che vi sia una diversità di scelta di
genere, allora i ruoli che storicamente sono stati repressi possono
essere incoraggiati a farsi avanti, ad aprire nuove vie
rivoluzionarie. Superare dualismi quali omosessuale/eterosessuale e
uomo/donna può consentirci di creare nuovi modi di essere
donne e uomini individuali in un mondo riccamente variegato. Questa
concezione radicale della natura sessuale umana amplia l'orizzonte
della libertà. Promuovendo consapevolmente le potenzialità
latenti delle nostre nature sessuali, giochiamo un ruolo critico e
catalitico nella nostra stessa evoluzione. Non abbiamo più
bisogno di appellarci a una legge naturale costrittiva per
legittimare le nostre identità sessuali e possiamo cercare le
basi etiche di una società libera nella dimensione della
libertà nella natura.
L'omofobia si fonda sulla convinzione
che vi sia una sessualità umana "naturale" di
orientamento eterosessuale. Nella comunità lesbica delle
femministe culturali esiste un'analoga "eterofobia", basata
sulla convinzione che la sessualità femminile naturale abbia
un orientamento omosessuale. È proprio questo modo di pensare
duro e rigido che l'ecofemminismo vuole combattere. Ridurre lo
spettro diversificato delle scelte di orientamento a categorie
semplici come eterosessuale, bisessuale e lesbica significa favorire
ruoli sessuali repressivi e gerarchici.
(...)
Ma che cos'è la "natura
femminile"?
A questo punto la questione che si pone
è: "come possiamo costruire una cultura e una politica
identificate femminilmente, dopo aver superato il dualismo e
rivoluzionato il nostro concetto di natura, senza cercarne la
validità nella legge naturale?" Se non esiste una "natura
femminile" scolpita nella pietra, su che cosa possiamo fondare
una cultura identificata femminilmente? Potremmo chiederci: cos'è
la natura femminile? Io propongo che una cultura identificata
femminilmente esalti una natura femminile non determinata dalla legge
naturale, ma basata sulle particolari esperienze di ogni singola
donna della collettività. Il principio femminile rappresenta
una tendenza verso un'esperienza femminile distinta, fondata su
un'autoindirizzo oggettivo e non su un determinismo "legale".
Dobbiamo esprimere le infinite e diverse scelte evolutive che ogni
donna compie nel contesto del proprio ambiente biologico e culturale.
Possiamo anche esaltare le più vaste tendenze nell'ambito
della storia collettiva femminile, rafforzando il nostro senso di
identità e di unità collettiva. Tuttavia dobbiamo
essere sempre pronte a guardare oltre queste più vaste
"tendenze" femminili, e a ricordare che la rete complessa e
variegata della comune esperienza femminile comprende le singole
donne in quanto individui. Ogni donna sceglie, reagisce e si evolve a
modo suo.
Ma abbiamo bisogno anche di creare una
più vasta comunità femminile: una comunità delle
donne transculturale, persino globale. Mentre esaltiamo la ricca
diversità delle nostre vite in tutto il mondo, non possiamo
permettere alle nostre caratteristiche particolari di alienarci le
une dalle altre. Come propone Ynestra King, dovremmo creare la
possibilità di un dialogo faccia a faccia tra le donne di
nazioni diverse. Abbiamo bisogno di imparare di più sulla
diversità della nostra esperienza, oltre che sulla nostra
esperienza comune. Il pianeta diventa sempre più piccolo:
poiché gli effetti universali della tecnologia nucleare ci
riguardano tutti, ora ricordiamo ancora di più la nostra
interconnessione e dovremmo utilizzare questa nuova consapevolezza
per sviluppare un'acuta sensibilità circa gli effetti che
tutte le nostre azioni e decisioni politiche hanno sulle donne nei
diversi paesi. Le donne devono unirsi per acquistare maggior forza e
solidarietà nella lotta per la vita del pianeta che
condividiamo come specie.
Per essere libere di creare una cultura
identificata femminilmente, le donne devono lottare contro quella
paura di instaurare un legame, indotta culturalmente, che
storicamente ha sempre costretto le donne a rimanere separate le une
dalle altre. (...)
Infine dobbiamo lodare le femministe
radical che rivendicano per le donne la proprietà del loro
corpo. In quanto espressione della natura, anche i nostri corpi
devono costituire un regno di libertà e di scelta. Le donne
devono rivendicare il diritto di essere levatrici, guaritrici e madri
se e quando scelgono di esserlo. Le donne devono lottare per il
diritto di scegliere l'aborto in tutta sicurezza e libertà, e
per il diritto di avere accesso a mezzi di controllo delle nascite
alla loro portata. Così facendo amplieremo lo spettro delle
possibilità di scelta nelle nostre vite.
Ritessere la rete
Aprendo la natura umana come "regno
di libertà" e di scelta, dobbiamo sviluppare un'etica
ecologica sulla quale fondare una cultura politica. In breve,
dobbiamo dedicarci a "ritessere" la rete delle nostre
strutture politiche. Come ha brillantemente osservato Murray
Bookchin, un'etica ecologica deve fondarsi su una vasta rete di
partecipazione.
Una politica di partecipazione (è)
una politica che promuove l'autopotenziamento piuttosto che il
potenziamento dello stato. Una politica siffatta deve diventare
veramente una politica della gente, organica nel senso che la
partecipazione politica sia letteralmente protoplasmica e popolata di
assemblee e discussioni faccia a faccia rafforzate dalla veridicità
del linguaggio corporeo oltre che dal processo
razionale del discorso. L'etica politica che ne consegue
deve mirare alla creazione di una comunità morale e non
soltanto "efficiente"; di una comunità
ecologica, non soltanto contrattuale; di una prassi
sociale che incrementi la diversità e non soltanto di una
cultura politica che inviti alla più ampia partecipazione
pubblica.
Una politica morale nasce da un'etica
ecologica.
Dobbiamo creare una base oggettiva per
la determinazione del valore etico delle nostre azioni politiche, in
modo che il fatto di "affermare la vita" diventi il metro
con cui misurare il contenuto etico dei nostri valori politici.
Quando pensiamo ecologicamente ci rendiamo conto che dobbiamo lottare
costantemente contro l'omofobia, perché riduce lo spettro
della scelta e della diversità umana. Quando ci confortiamo
con un'etica ecologica, ci rendiamo conto che l'omofobia nega la
vita, perciò è negativa sotto il profilo etico. Allo
stesso modo, ci rendiamo conto che dobbiamo combattere il razzismo,
perché esso rappresenta il desiderio di degradare la diversità
razziale della specie umana. Anche il razzismo, in quanto forma di
riduzionismo, nega la vita. E dobbiamo lottare anche contro la
tecnologia nucleare per gli effetti distruttivi che le radiazioni
hanno sull'ecocomunità. Il cancro, le possibili mutazioni
genetiche e la produzione di plutonio utilizzata da pochi uomini nei
governi centralizzati allo scopo di mantenere una posizione dominante
nella gerarchia globale rappresentano una minaccia mortale,
riduttiva.
Dobbiamo valutare attentamente ogni
impegno politico per essere certe che l'obiettivo sia quello di
accrescere la diversità ecologico-politica e la
partecipazione. "Radicalizzando" la nostra concezione della
natura, "radicalizzeremo" anche la nostra idea di cultura.
Presto il concetto di legge naturale, nella sua forma riduzionista,
diventerà anacronistico e le strutture politiche legittimate
da una concezione gerarchica verranno meno.
Per facilitare l'abbandono della
vecchia concezione della natura dobbiamo costruire una società
"riproduttiva" e non semplicemente "produttiva".
Dobbiamo creare alternative alla sindrome produzione-consumo che ci
sta portando all'ecocidio. Nella cultura attuale, i processi di
produzione e di consumo hanno entrambi l'effetto di semplificare
l'ecocomunità.
Dobbiamo costruire una cultura
riproduttiva, nella quale il consumo abbia una funzione nutritiva
tanto quanto la produzione. Il processo del consumo deve entrare
nell'ambito ecologico per accrescere la fecondità
dell'ecocomunità.
Per un consumo creativo
"Radicalizzando" il nostro
concetto di consumo svilupperemo un senso di responsabilità
ecologica, in base al quale tutte le nostre azioni saranno misurate
in funzione della loro capacità di rendere più fertile
il suolo culturale. Come la riproduzione sessuale può
accrescere la diversità e la stabilità di un pool
genetico, una filosofia di consumo creativo può accrescere la
diversità e la stabilità dei nostri rapporti sociali ed
ecologici.
Per trasformare la nostra società
in una società ecologica dobbiamo intraprendere l'azione
diretta. In quanto ecofemminista radical, la nostra politica dovrebbe
essere l'espressione microcosmica del tipo di società
ecolibertaria nella quale vogliamo vivere. La nostra azione diretta
deve esprimere i principi di unità nella diversità e
dell'interconnessione della vita, propri dell'ecologia sociale. Le
nostre azioni non dovrebbero essere soltanto razionali, ma anche
creative, immaginative, rabbiose. Quando penso all'azione diretta, mi
vengono in mente le azioni condotte dalle donne nei campi pacifisti
di Seneca e di Greenham Common. Provo gioia nel ricordare la storia
di donne che sventolano pezzi colorati delle loro vite attraverso le
barriere di filo spinato, che si aiutano a vicenda ad arrampicarsi su
quei muri, che srotolano gomitoli di filo attraverso gli alberi -
davanti alle auto della polizia e ai fucili - tessendo reti colorate
che simboleggiano i rapporti di interconnessione che ci legano le une
alle altre. Vorrei che le nostre azioni esprimessero i capricci di
una natura libera, dimostrando che non vogliamo più
sottometterci a norme legittimate da una concezione gerarchica della
legge naturale. Vorrei che le nostre azioni mostrassero che siamo
pronte a superare una politica anacronistica creando una più
audace politica ecologica.
Il superamento delle forme cognitive e
culturali anacronistiche consente di esplorare una nuova
spiritualità. Riconoscendo la dimensione della libertà
nella natura, potremo cominciare a immaginare come possa essere una
sensibilità spirituale che non cerchi la propria validità
nell'autorità dualistica, gerarchica. Potremo anche cominciare
a chiederci se sia possibile pensare a un fondamento oggettivo e
razionale per la spiritualità, senza mantenere la dualistica
separazione tra creatore e creato. Che cosa significa pensare a una
natura autocreante, a una natura capace di autodirigersi? La stessa
evoluzione dimostra che la natura va verso livelli crescenti di
complessità e diversità nell'ambito delle ecocomunità,
e che negli orizzonti aperti verso cui la natura tende vi è
una dimensione di obiettiva razionalità.
E tuttavia non dobbiamo confondere
questa autodirettività con un determinismo trascendentale. Non
possiamo guardare una foglia e dire: "Dev'essere stata sempre
così". Piuttosto, dobbiamo guardare la foglia e
riflettere sugli esseri interconnessi nella natura, che hanno
contribuito ad esprimere la potenzialità che la foglia
rappresenta. Nella natura c'è una misura per quanto rozza, di
"ragionevolezza". La natura è "razionale",
eppure i suoi orizzonti sono aperti. E proprio questi orizzonti
aperti possono costituire il fondamento per una nuova spiritualità.
Una spiritualità ecologica
rappresenta la celebrazione dell'interconnettività di tutta la
vita e al tempo stesso anche della diversità di tutte le forme
di vita.
Il rispetto per le caratteristiche
delle specie presuppone che non ci poniamo al disopra, né al
disotto della natura. Non ci glorifichiamo come esseri trascendenti,
al di sopra della natura, ma neppure glorifichiamo la natura con
falsa umiltà, come qualcosa di "superiore" o di "più
sapiente" rispetto a noi.
Un'autentica spiritualità
ecologica ci consente di rispettare ciò che rende unica la
specie umana e ciò che rende le donne diverse dagli uomini.
Una spiritualità non dualistica esprime la capacità di
onorare la diversità di tutte le forme di vita.
Non esistono rigide "leggi
naturali"
La spiritualità è una
forma di consapevolezza e di sensibilità che ci accompagna in
tutti gli aspetti della vita. Se riuscissimo a sviluppare una
spiritualità ecologica, potremmo integrare i principi di
interdipendenza e di complementarietà nei nostri rapporti
personali, nelle nostre strutture politiche, nella nostra comunità.
Potremmo creare rituali e cerimonie per consentirci di approfondire
la consapevolezza dell'interconnettività della vita. I rituali
ci aiuterebbero a risvegliare la nostra memoria ecologica, a
modificare le nostre percezioni per poter acquisire coscienza della
potenzialità della natura che normalmente non fanno parte
della nostra vita quotidiana. Con la forza della rievocazione, la
pratica dei rituali e la meditazione potremmo riuscire a cogliere la
ricchezza di significati che è propria del mondo naturale.
Se riuscissimo a renderci conto che in
realtà non esistono rigide "leggi naturali" capaci
di governarci completamente, la natura si rivelerebbe ai nostri occhi
come un mondo di schemi, simmetrie e forme complementari, intrecciate
insieme ed evolventi in una direzione che non potremo mai conoscere a
fondo, e tanto meno "governare". La stessa evoluzione, che
impersoniamo, è qualcosa che potremmo celebrare spiritualmente
nel nostro intimo. Dovremmo celebrare la potenzialità della
natura umana e ciò che essa esprime di inaspettato e
spontaneo, allo stesso modo in cui rispettiamo la capacità
umana di ragionare e di autodirigersi.
Lo spirito non è limitato ad un
genere o ad una razza, né segue principi femminili o maschili.
Esso esiste naturalmente nel tessuto stesso della vita. Quando
attribuiamo un genere, un colore o uno status alle nostre divinità,
pecchiamo di idolatria. I simboli rappresentano un mondo
trascendentale separato dalla natura. Come ha osservato Murray
Bookchin, "la venerazione per la natura, la mitizzazione del
mondo naturale al di sopra dell'umano degrada la natura, perché
nega al mondo naturale la sua universalità, il suo esistere
ovunque, libero da dualità quali lo "Spirito" e
"Dio"... Una natura "venerata" è una
natura separata nel senso cattivo del termine".
Lo spiritualismo e lo scientismo e una
ipostatizzazione della tecnologia sono stati usati dall'uomo per
giungere a controllare la società, oltre che la natura. La
gerarchia, la dominazione e l'oppressione sociale hanno sempre
cercato la loro validità in queste antiche "catene".
Come esseri umani in grado di discernere oggi, le implicazioni degli
errori storici della dua-logica, possiamo inaugurare un'epoca in cui
le nostre vite personali, politiche e spirituali cerchino validità
nella eco-logica; una logica insita nelle stesse cellule dalle quali
siamo formati. La legge naturale, che un tempo doveva servire ad
alleviare il senso di sconforto che ci coglieva dinanzi alla
complessità del mondo naturale, rischia di ritorcersi contro
coloro che la vogliono usare per spiegare tutti i fenomeni. Minaccia
di limitare la libertà in genere, al limite anche la nostra
libertà personale di agire.
L'ecofemminismo radicale deve
rivoluzionare la nostra concezione della natura e deve spingerci ad
agire.
Le donne devono elaborare una nuova
eco-prassi fondata sull'ecologia sociale, perché solo così
il mondo naturale e il mondo sociale potranno sopravvivere.
(traduzione
di Michele Buzzi)
(*)
Uso di proposito " ecocomunità" al posto di
"ecosistema". Come ha osservato Bookchin, "ecosistema"
fa pensare a una natura interpretata secondo la teoria dei sistemi.
Il termine " comunità" rende meglio la natura
organica e dialettica dei rapporti animali-piante e mantiene il
carattere simbiotico dell' evoluzione naturale.
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