Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 20 nr. 174
giugno 1990


Rivista Anarchica Online

La Lega e il Regime
di Felice Accame / Carlo Oliva

Strano paese, l'Italia. Si fanno le elezioni quasi solo per deprecarne i risultati. Il sistema dei partiti è notoriamente irrigidito; ruoli, sigle e schieramenti - salvo rare modifiche marginali - non cambiano dal 1962, nonostante l'ovvia evoluzione del corpo sociale; è diffusa a livello di luogo comune la consapevolezza che questa rigidità comporta parecchi inconvenienti piuttosto gravi, e ogni modifica che l'elettorato propone è vista come una grave iattura.
Non solo. Si insiste da anni su quanto sia allarmante il crescere del "non voto" (bianche, nulle e astensioni) per le sorti della democrazia, almeno finché non nasce la necessità di far fallire un referendum, che allora ministri in carica e vigili urbani addetti alla consegna dei certificati consigliano caldamente di non andare a votare, ma quando un voto viene espresso, opinionisti e leader politici fanno a gara nel raccomandare di non tenerne conto. Per cui, se alle elezioni amministrative vincono clamorosamente le leghe regionali, si risponde auspicando che queste organizzazioni siano tenute ben alla larga da ogni responsabilità amministrativa, a costo di costringere tutti gli altri a consociarvicisi contro. E apparentemente nessuno è sfiorato dal sospetto che, dal punto di vista della teoria democratica classica, qualcosa in tutto ciò non funzioni.

Esame di coscienza

Ora, non è il caso di cedere a un'antica libidine di anticonformismo a ogni costo (un atteggiamento che, peraltro, non riteniamo inopportuno, né censurabile) e sostenere che la Lega Lombarda e le organizzazioni consorelle così vistosamente premiate lo scorso maggio rappresentino il fior fiore della democrazia. E' una tentazione spiegabile, di fronte al coro dei commentatori che, da allora in poi, ci hanno ricordato quotidianamente su giornali e periodici di quali e quanti misfatti siano colpevoli i seguaci del senatore Bossi (che si sono permessi di vincere, e sono diventati ipso facto colpevoli di quanto non funziona nel paese), ma ci sforzeremo di resistervi.
Fa un po' ridere - e lascia perplessa persino qualche rara testa pensante del giornalismo ufficiale come il buon Giorgio Bocca della Repubblica e dell'Espresso - leggere accuse roventi di conservatorismo e razzismo su fogli usi a difendere la politica fiscale del governo o a riferirsi normalmente agli immigrati africani con il termine gentile di vu cumprà, ma tanto sappiamo che così va il mondo. Il razzismo è largamente diffuso nella società italiana, a Nord come a Sud, e la maggior parte di quanti lo rinfacciano a questi nuovi arrivati sulla scena politica dovrebbe fare un po' d'esame di coscienza in proprio, ma un po' razziste certamente le leghe lo sono. E nel loro programma ai motivi democratico localisti si mescolano topoi classici di protestarismo piccolo borghese (la richiesta d'abbattimento del prezzo della benzina è un classico in merito) e istanze molto ben allineate al trend padronale corrente (lo smantellamento del sistema assistenziale residuo, il ripristino delle gabbie salariali e simili). Insomma, quelle organizzazioni hanno un'ideologia piuttosto incerta, ma è probabile che in esse non alligni lo spirito della rivoluzione.
Tutto ciò ammesso e concesso, speriamo lo stesso che nessuno voglia cedere al ricatto di regime e negare le valenze, diciamo pure, democratiche che il voto del cinque maggio apre in prospettiva. È un voto, in fondo, che rappresenta la prima novità importante in parecchi decenni di storia istituzionale della repubblica.
Che 1o strumento elettorale, in sé, non sia esente da qualche contraddizione, non è il caso di spiegarlo proprio ai lettori di questa rivista. Che ciò che spinge il cittadino a esprimere l'opzione per questo o per quello non si possa, ahimè, identificare con il programma che questo o quello esibiscono , né con la linea politica che seguiranno, dovrebbero saperlo tutti quelli che dal '45 a oggi hanno votato per il partito comunista perché avrebbe fatto la rivoluzione o per il partito repubblicano perché era laico. Che quelli del localismo, dell'autonomia dal potere centrale, dell'organizzazione federativa, della capacità di auto-amministrazione delle comunità siano valori interessanti, e alquanto trascurati da tutte le forze politiche nazionali, che della struttura nazionale accentrata hanno bisogno per organizzare, a seconda delle necessità, quei trasferimenti di ricchezza su cui basano l'organizzazione del proprio consenso, è una verità abbastanza elementare.
In fondo, l'ipotesi per cui il successo della Lega Lombarda e affini si basa soprattutto su queste istanze non dovrebbe essere così peregrina. Sostenere che si fonda esclusivamente sull'odio per i terroni potrebbe essere una semplificazione pericolosa, anche perché, in fondo, l'odio per i terroni in Lombardia, Piemonte, Veneto e dintorni alligna benissimo anche fra gli elettori dei partiti democratici di massa, ed ha comunque una vasta diffusione non politica o para politica (come sa chiunque abbia avuto occasione di trovarsi nel centro di Milano la sera della vittoria del Milan in Coppa dei Campioni).
Il fenomeno, in questa prospettiva, è più importante di quanto sembri. Per la prima volta una forza
politica organizzata è riuscita a mandare in crisi, a livello nazionale, il sistema istituzionalizzato dei partiti, quello che gestisce da decenni, in una specie di concordia discorde, governo e opposizione. E per la prima volta i valori del federalismo democratico e dell'auto-organizzazione locale sono stati assunti come propri dall'elettorato, con l'intenzione esplicita di scardinare un sistema politico sentito ormai come intollerabile.
La reazione dei partiti è stata quella di stringere le fila, e si può capire. Come si può capire la tendenza a presentare quanti hanno conseguito un risultato così deplorevole come portatori di una negatività senza appello. Ma è una tendenza pericolosa (com'è sempre pericolosa la pretesa di presentare questa o quella porzione di elettorato come inesorabilmente "fuori" dal gioco democratico).
Il vero problema, naturalmente, è che una serie di valori politici positivi, fondamentali, anzi, in una prospettiva democratica, è riuscita a trovar espressione solo in quanto assunti da una organizzazione tanto ambigua. Ma quell'ambiguità non si combatte certo concedendo una patente di positività (che stringi stringi vuol dire riconoscere una pretesa di monopolio) ai partiti tradizionali che essa ha sconfitto, partiti che sono - comunque - ancora forti abbastanza da controllare il gioco politico del paese. E che sono riusciti, a forza di tracotanza e di ostinazione, a lasciare in mano a questi probabili razzisti una delle idee guida della tradizione democratica europea.