Nel 1999 il mondo
forse finirà, perché un satellite nucleare impazzito sta per precipitare sulla Terra. Non
esiste un luogo sicuro dove nascondersi e masse di gente terrorizzata si spostano da un luogo all'altro cercando
di stabilirsi in una zona a bassa probabilità di impatto. E' una voce fuori campo che ci introduce nel vivo
della storia, qualcuno che sta raccontando dopo che tutto è già accaduto. Claire, Solveig
Dommartin, dopo aver vagabondato per qualche tempo decide di tornare a Parigi dove c'è qualcuno che
la sta aspettando. Ma nel viaggio di ritorno tra Venezia e Parigi si imbatte in uno sconosciuto che chiede
di essere aiutato perché inseguito da qualcuno che vuole ucciderlo. Claire sarà ossessionata
dall'uomo, William Hurt, e utilizzando i soldi di cui è entrata in possesso aiutando dei rapinatori, si
getterà, spinta dal desiderio, sulle tracce di un uomo che non è chi sembra e che non sta
fuggendo per i motivi che le ha raccontato. Il mistero è fitto, ma comunque irresistibile per una
vagabonda come lei. Il narratore, colui che è stato il suo uomo, decide dopo qualche giorno di aiutarla,
ma la Terra sembra diventata troppo piccola per nascondersi e per fuggire. Il viaggio all'inseguimento di
Sam/Trevor, si snoda da Parigi a Berlino, per continuare tra Lisbona, Mosca, Tokyo, Pechino, San Francisco
e infine l'Australia, tra gli aborigeni, che secondo una loro antica leggenda sono l'unico popolo a conoscere il
giorno esatto in cui la grande onda sommergerà il continente e distruggerà il mondo
intero. Sam fa di tutto per evitare che Claire continui a seguirlo, ma vista la sua costanza e le
difficoltà che è costretto ad affrontare, si vede costretto ad accettare il suo aiuto. Sam non
è, come forse Claire aveva intuito, l'uomo che sembra. Avrebbe potuto essere una spia, o un ladro
invece è un uomo che grazie ad una quasi magica invenzione di suo padre, una videocamera capace di
trasformare le immagini in impulsi cerebrali, quindi di riversare direttamente le immagini nel cervello, sta
ripercorrendo l'itinerario di fuga dei suoi genitori, ebrei tedeschi in fuga durante la seconda guerra
mondiale. Sam sta facendo tutto questo per sua madre, una severa e malinconica Jeanne Moreau,
antropologa che vive nel deserto australiano con il marito. Ed è lì che Sam e Claire si
troveranno alla fine del loro viaggio proprio quando il satellite è prossimo alla caduta, il giorno della
fine del mondo. Sam ha rischiato la vista per poter riprendere quante più immagini possibili e
questo aveva costretto Claire ad effettuare lei stessa delle riprese. Così anche in Australia sarà
grazie a lei che la madre di Sam potrà visualizzare le immagini di un mondo che le è estraneo
sin dall'infanzia. Terminato il viaggio esterno, inizia da quel momento il viaggio interiore dei protagonisti. La
videocamera è infatti capace di registrare gli impulsi cerebrali dei dormienti, cioè i loro
sogni. Se la madre di Sam si lascia morire perché non ha più nulla da vedere, Henri,
l'inventore dello strumento, l'attore Max Von Sydow, Sam e Claire affondano giorno dopo giorno in una sorta
di videodipendenza onirica. Trascorrono le giornate a riguardare senza sosta le registrazioni dei loro sogni, dove
si rivedono bambini e grazie alle quali si illudono di poter ritrovare il loro essere profondo, quello che la vita
e il tempo hanno accuratamente celato. Dal delirio si salva solo lo scrittore Eugene, la voce narrante
appunto che è invece immerso nella narrazione delle vicende che lo hanno portato a visitare tutto il
mondo. Sarà grazie a lui, vittoria della parola scritta sull'immagine dunque, che Claire si
ritroverà. E una notte tra gli aborigeni, i cui anziani sono i custodi del Sonno, quindi dei sogni di
tutti, sarà la cura definitiva. Un film sulle immagini dunque, e sui danni che l'eccesso di immagini
sta causando nella nostra cultura, ma in ogni caso un film ottimista dove la parola vince, non sono certo casuali
le riprese di due libri, in tempi diversi del film, uno di Goethe, forse le affinità elettive ma non sono
sicura, l'altro Walt Whitman, autore di "Foglie d'erba", un percorso dall'Europa all'America dunque,
per lo scrittore che a un certo punto perde il libro di Goethe. Le immagini si riversano senza sosta e lasciano
senza fiato, tutto è eccessivo almeno nella prima parte del film; la seconda parte forse risente dei tagli
causati dai soliti problemi di distribuzione ma è quella che preferisco, forse anche perché
l'Australia e la vita tra gli aborigeni hanno rievocato in me il libro di Bruce Chatwin "Le vie dei
canti", ad essi dedicato, così Chatwin racconta la creazione del mondo secondo gli aborigeni:
"Gli uomini del tempo antico percorsero tutto il mondo cantando; cantarono i fiumi e le catene di
montagne, le saline e le dune di sabbia. Andarono a caccia, mangiarono, fecero l'amore, danzarono, uccisero,
in ogni punto delle loro piste lasciarono una scia di musica. Avvolsero il mondo intero in una rete di canto, e
infine, quando ebbero cantato, si sentirono stanchi". E nel film, pur riconoscendo la diversa portata
delle due storie, la musica e il canto, moderni, occidentali, sono tra gli elementi costitutivi della magia della
storia narrata. Il mondo alla fine non cesserà di esistere, ma non sarà più lo stesso per
nessuno dei personaggi di questa vicenda.