Rivista Anarchica Online
L'ultima estate di Bihac..
di Gianni Sartori
Una "banale" pace quotidiana a Bihac, in Bosnia, solo tre anni fa. Allora si potevano ancora osservare, magari
annoiati, bambini in bicicletta, famigliole con il gelato, tavolini nei bar...
Rivedo queste foto di Bihac con perplessità, quasi incredulo al pensiero
che risalgono a soli tre anni fa' all'ultima
estate di pace prima delle sparatorie pasquali di Plitvice con cui ebbe ufficiosamente inizio l'attuale guerra
civile
nella ex-Jugoslavia. Scattate in un momento di "tregua" (una breve vacanza in Jugoslavia dopo uno stressante
reportage a Belfast) lasciano forse trasparire una certa indifferenza, un "distacco", un atteggiamento da parte
mia
del tutto opposto a quello assunto in occasione dei servizi fotografici in Irlanda del Nord o in qualsiasi altro
piccolo focolaio inquieto d'Europa... e penso che qui ora sono solo macerie e barbarie, cadaveri insepolti, arti
troncati, corpi devastati... disperazione di madri e figli per i congiunti massacrati, dispersi, torturati... occhi
sbarrati di bambini impotenti e attoniti di fronte all'orrore che incalza... Bihac, estrema enclave a
maggioranza musulmana nella Bosnia nordoccidentale, da giugno è sotto il tiro
quotidiano dei cannoni, delle mitragliatrici e dei lanciarazzi serbi: si sono contati centinaia di morti, migliaia
di
feriti. Ogni speranza di normalità quotidiana è venuta meno; fame e isolamento si sono
sostituiti alla precedente
vita sociale. Le fabbriche sono chiuse, praticamente tutti sono senza stipendio, il commercio quasi inesistente
(imperversa solo il mercato nero), cibo e medicinali stanno diventando irreperibili... I bambini, quelli
stessi bambini che solo un paio di anni fa giocavano per le strade, nei parchi, all'ombra delle
chiese e delle moschee ora devono starsene chiusi in casa, terrorizzati, sperando che un proiettile vagante di
mortaio o di RPG7 non si apra un varco fino al loro rifugio. Ai 70.000 (senza contare le migliaia di profughi
delle
campagne circostanti, sfuggiti alle operazioni di "pulizia etnica") musulmani della città non resterebbe
altro
scampo che la fuga ma ormai sono ostaggi dei vari "signori della guerra". In giugno, prima che iniziassero
i bombardamenti, i Serbi avevano proposto uno scambio: i musulmani della
regione di Bihac si sarebbero potuti trasferire nella Bosnia centrale, mentre i Serbi di quella regione si
sarebbero
trasferiti a Bihac. Ma allora i capi della comunità musulmana si erano opposti. Ormai gran parte della
popolazione
vedrebbe lo "scambio" come il male minore, un modo per sfuggire all'orrore dell'assedio. Strategicamente
la regione di Bihac è fondamentale per tutti i vari contendenti della guerra in corso: qui si
trovano piste per aerei, bunker sotterranei, basi militari... Ricordo bene come anche in passato, attraversando
la
regione che da Plitvice porta a Bihac, si scorgessero vaste distese incolte, delimitate da filo spinato interdette
al
passaggio; immense brughiere con pochi alberi, ricoperte di felci, dove di tanto in tanto si intravedeva la
sagoma
di un blindato o di un carro armato. Si passava per paesi a netta prevalenza musulmana dove le donne
indossavano gli ampi pantaloni alla turca e
portavano il copricapo tradizionale. Frequenti le moschee ma interdette alla visita: segnali con divieto assoluto
di sosta rendevano problematico anche solo scattare qualche foto... Ben diversa l'atmosfera di Bihac che ricordo
come un esempio vivente di possibile convivenza: chiese e moschee ornavano la città, spesso con
accanto il
relativo cimitero (rivivo il senso di pace di un antico cimitero musulmano, visitato nell'imbrunire... ricoperto
d'erba folta e steli caratteristiche, slanciate... un luogo dove fermarsi a meditare). Immagini sfocate si
sovrappongono: il mercato, con una sua dignitosa opulenza contadina che indirettamente
suggeriva una alternativa al nostrano, indecente consumismo...; la gente che affollava in un pomeriggio
domenicale i tavolini dei bar all'ombra di alberi vetusti... famigliole con passeggini, militari di leva e ragazze...
tutti a godersi l'aria fresca proveniente dal fiume e a conversare attorno ad una bibita, una birra, un gelato...
E poi tutti quei bambini in riva al fiume, alcuni in mezzo all'acqua (limpida come ormai non ci si aspetta
più da
un fiume metropolitano) con le biciclette, i palloncini... in un clima da sagra paesana. Ora sono i bambini
le prime vittime innocenti dell'assedio e dei bombardamenti: l'ospedale si va riempiendo sia
di bambini feriti che di loro coetanei denutriti "ammalati di fame"... Naturalmente i medicinali sono
pressoché
introvabili... altre situazioni tornano alla mente (inconciliabili con le notizie delle agenzie): ancora bambini
lungo
la riva, arrampicati sugli alberi; lungo le sponde i rami dei salici si incrociavano con quelli dei frutteti che si
spingevano fino alle prime case... e ancora bambini per le strade, nei cortili, sulle scalinate... e sempre facevo
il
confronto con i quartieri di Belfast dove, a poche decine di metri, bambini cattolici e protestanti si ignoravano
o si prendevano a sassate... un assolato campo da pallacanestro, sovrastato da un minareto, dove ragazzi
cristiani
e musulmani si allenavano... Sembrava che nulla potesse venire a turbare quella pace e quella
semplicità. Ora tutto è passato ultra-remoto.
Ero poi rimasto colpito dal fatto che perfino le epigrafi venivano attaccate sui muri o ai tronchi dei platani
lungo
le strade cittadine, insieme, una a fianco dell'altra: quelle verdi con la mezzaluna., quelle con la croce reclinata
e quelle con la croce ortodossa. E perfino quelle con la stella rossa. Anche nel momento estremo, pur nelle
diverse appartenenze e identità, sembrava prevalere la percezione di un
medesimo destino. A conferma dell'importanza strategica che Bihac va assumendo ricordo che secondo alcuni
osservatori gli stessi bombardamenti di Sarajevo, così drammatici e spettacolari, sarebbero almeno in
parte "fumo
negli occhi", una specie di diversivo per distogliere l'attenzione dell'opinione pubblica da quanto sta per
avvenire
a Bihac: infatti di qui passa il "corridoio naturale" tra la Serbia e la "repubblica indipendente serba" della
Krajna. A suo tempo queste foto mi erano sembrate sprecate, la quintessenza della banalità e
invece ora mi appaiono
come la testimonianza inconfutabile di una convivenza possibile; anche se sprofondata a ritroso nella
più cupa
barbarie, al punto da sembrare irreali... Una convivenza che, vista con il senno di poi, appare quasi
miracolosa... eppure allora appariva normale, ovvia,
scontata. Un segno forse della precarietà e fragilità della condizione umana,
dell'instabilità che impregna ogni
organizzazione sociale; di come a volte l'odio sedimenti sotto l'apparente pacificazione, tramandandosi quasi
geneticamente di generazione in generazione e, come un fiume carsico, riemerga inaspettato... A me resta
il ricordo di una "banale" ma quanto mai preziosa pace quotidiana, intravista, appena percepita...
evanescente come le immagini riflesse di quei bambini che si spingevano nell'acqua bassa del fiume con le loro
bici, i loro palloncini colorati... svaniti per sempre.
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