Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 1 nr. 2
marzo 1971


Rivista Anarchica Online

Sei anarchico dunque terrorista
di Croce nera anarchica

Il 22 marzo inizierà il processo contro i compagni Braschi, Della Savia, Faccioli, Pulsinelli

All'inizio del dicembre 1969 i quotidiani inglesi "Observer" e "Guardian" pubblicavano un documento segreto inviato al Ministero degli Esteri di Atene, nel quale si informava il primo ministro Giorgio Papadopulos sui risultati della campagna di provocazione che il governo greco stava attuando da tempo in Italia, con la collaborazione di gruppi fascisti e di alcuni "rappresentanti dell'Esercito e dei Carabinieri". Nel rapporto si ipotizza la possibilità di un colpo di stato di destra mediante l'incentivazione di gruppi di azione già da tempo operanti.
Nel dossier si apprezza l'opera in questo senso svolta da Luigi Turchi (deputato del MSI e collaboratore elettorale di Nixon) e di un certo signor P. (Pacciardi, Presidente di Nuova Repubblica, secondo alcuni, Pino Rauti, giornalista, presidente di Ordine Nuovo, secondo altri). Il documento (3 pagine) sottoposto ad attenti esami da parte di elementi competenti del movimento greco in esilio, veniva riconosciuto autentico. Tra le altre cose vi si legge: "Le azioni che era stato previsto fossero realizzate prima non è stato possibile realizzarle che il 25 aprile. La modifica dei nostri piani ci fu imposta dal fatto che era difficile penetrare nel Padiglione Fiat. Entrambi i fatti hanno prodotto effetti considerevoli". (L'altro fatto era la bomba esplosa all'ufficio cambi della Stazione Centrale a Milano).
Per gli attentati al padiglione Fiat ed alla Stazione Centrale si trovavano in quel momento in carcere tre anarchici: Paolo Braschi, Paolo Faccioli e Tito Pulsinelli, i primi due arrestati immediatamente dopo le bombe, con una furiosa campagna diffamatoria, il terzo arrestato nell'agosto successivo.
Inoltre un quarto compagno, Angelo Piero Della Savia, detenuto nelle carceri svizzere, attendeva l'estradizione chiesta dalla magistratura italiana ed altri due, i coniugi Corradini, erano da poco stati scarcerati, per assoluta mancanza di indizi, dopo sette mesi di galera. La situazione dei compagni detenuti era giuridicamente incredibile. Dopo 7 mesi di carcere, nessun indizio in possesso dell'autorità giudiziaria era tale da giustificare l'arresto e la detenzione dei compagni. Le ripetute istanze di scarcerazione presentate dagli avvocati della difesa al tristemente noto giudice Amati, incaricato di istruire il caso, venivano respinte con ordinanze di rigetto, contrarie alla legge perché sprovviste della lista degli indizi a carico. Si aspettò un mese per controllare i loro alibi, cinque mesi prima di interrogare gli imputati.
Ai compagni che con una serie di manifestazioni di piazza e di scioperi della fame tentavano di richiamare l'attenzione dell'opinione pubblica, la polizia rispose con la violenza e le denunce. Quando la sezione istruttoria, messa alle strette, decide la scarcerazione dei Corradini e di Pulsinelli per mancanza di indizi, Amati spicca immediatamente un nuovo mandato di cattura sulla base di "nuovi e decisivi indizi" emersi dalle confidenze di una testimone segreta (1).
Ma appare evidente che la credibilità della "testimone segreta" (che peraltro tutti conoscono) non avrebbe retto un solo minuto in un'aula di Tribunale e Amati si guarda bene dal fornire notizie più precise riguardo ai "nuovi elementi", violando una volta ancora la legge che impone di allegare alle ordinanze la lista degli indizi. La richiesta degli avvocati di allegare agli atti il "dossier" greco, dopo una perizia ufficiale che ne documentasse l'autenticità, viene precipitosamente negata.
Oggi, dopo due anni, Braschi, Pulsinelli, Faccioli e Della Savia, sono ancora in carcere.
Il processo avrà inizio il 22 marzo prossimo.

PERCHÉ DUE ANNI DI CARCERE PREVENTIVO?

Rispondere è facile: perché in Italia, quando succede qualcosa, si arrestano uno o più anarchici senza né prove né indizi che non vengono in questo caso sollecitati da nessun gruppo di potere. Poi sono necessari alcuni anni per tentare di costruire la vicenda, trovare le prove e se proprio non se ne trovano, inventarle, oppure estorcere "confessioni" con la violenza.
Dopo due anni di vani sforzi, gli indizi raccattati da Amati sono gli stessi di due anni fa, cioè del tutto insufficienti. Questo significa, lo ripetiamo, che nell'Italia democratica, prima si arresta e poi si cercano le prove, con il beneplacito, trattandosi di anarchici, di partiti, magistratura e Stato.
Vogliamo ripetere, e continueremo a farlo, che quanto succede agli anarchici è esattamente quello che possono aspettarsi tutti coloro che vorranno conquistare la propria libertà al di fuori delle organizzazioni di potere e di partito.
I fatti del 25 aprile, analizzati e riconsiderati oggi, alla luce di quanto è successo dopo, acquistano un significato molto chiaro.
Le bombe del 25 aprile sono il primo anello di una catena di terrorismo e violenza i cui scopi sono ormai troppo evidenti.
Nella notte tra l'8 e il 9 agosto scoppiano le bombe sui treni, subito inizia la caccia all'anarchico, ma poi stranamente tutto si ferma (è evidente che lo zelo di qualche poliziotto "ingenuo" rischiava di condurre le indagini sulla pista giusta). Dopo quattro mesi il questore di Milano, Guida, l'ex tenutario di penitenziari fascisti, cerca di coinvolgere Pinelli, ma saltano fuori i nomi di due fascisti e il tribunale che oggi conduce il processo contro "Lotta Continua" lo esime dal dare spiegazioni sulle sue dichiarazioni.
Dopo l'arresto degli anarchici, gli attentati si susseguono in tutta Italia al ritmo di uno ogni tre giorni! Nel frattempo si scopre che i fascisti di Palermo, come di altre città italiane, fanno attentati contro chiese, stazioni di polizia e di carabinieri, caserme e carceri, tutti obbiettivi "anarchici".
Fascisti impazziti? No, fascisti le cui azioni fanno parte di un piano che mira a suscitare la psicosi dell'attentato sovversivo per giustificare la repressione e l'involuzione autoritaria e per gettare il discredito sugli anarchici (e, per estensione, sulle forze di sinistra). A Legnano, nel settembre 1969, un gruppo di fascisti arrestati dopo una serie di attentati, dichiarano nella loro confessione di aver firmato gli attentati con la lettera A e la scritta "viva Mao" al fine di dirottare i sospetti e provocare l'incriminazione di anarchici e maoisti.
La provocazione fascista continua. Tocca il culmine con la strage di Piazza Fontana, si arresta un poco per dar tempo e spazio ai giornali e agli sbirri di diffamare nuovamente gli anarchici e portare avanti nel contempo le denunce di 13.903 (tredicimilanovecentotre) lavoratori, poi riprende.
Oggi e in questo ultimo anno, mentre gli anarchici "dinamitardi" sono "custoditi" in prigione, la polizia uccide, le bombe dei fascisti scoppiano ovunque e sono mortali, le squadre dei cani di Almirante e Servello imperversano sempre più e meglio armate, mentre sindaci e curati guidano tronfie manifestazioni per la ritrovata "unità antifascista". Non possiamo fare a meno di chiederci perché costoro anziché sproloquiare discorsi antifascisti non smettono di frenare e reprimere le sane intenzioni dei proletari che in mezzo pomeriggio farebbero piazza pulita di ogni traccia di fascisti! Ma questo non si vuole, se no dove vanno a finire gli "opposti estremismi"?
Con le bombe del 25 aprile esplodeva la repressione e iniziava la manovra terroristica di Stato per fermare il processo critico di cosciente rivolta con cui si preannunciavano le lotte durissime che scoppiavano improvvise a tutti i livelli (Avola, Battipaglia non erano lontane, il disarmo della polizia doveva essere discusso pochi giorni dopo alla Camera, i C.U.B., ecc.). Allora gli anarchici, colpiti per primi e forse per questo più coscienti, questi rappresentanti secondo l'ineffabile Lenin dell'"infantilismo estremista", con un autentico fiuto politico e capaci di un giudizio libero da problemi di accaparramento del potere, videro giusto e lanciarono grida di allarme. Dimostrazioni in piazza, discorsi, manifesti ed azioni di ogni tipo, rimasero senza risposta e non toccarono minimamente i pensatori più o meno marxisti-leninisti troppo impegnati ad affondare il cervello negli abissi del libretto rosso per accorgersi delle cose più evidenti.
Non sta bene recriminare, ma è inutile tacere che, come al solito, le forze che allora si autodefinivano "avanguardie coscienti del proletariato rivoluzionario", con il fine intuito politico dei loro capi, arrivarono a comprendere cosa stava succedendo solo quando i manganelli e le denunce si abbatterono direttamente sulle loro teste. Ci piace ricordare che, allora, vennero a chiederci solidarietà.
Chi invece aveva capito perfettamente e prima di noi erano i braccianti che ad Avola e a Battipaglia affrontavano le pallottole della polizia e i proletari che nelle fabbriche avevano costituito i primi comitati di base per una lotta autonoma e autogestita.

SU CHE COSA SI BASA L'ACCUSA?

Si basa su ammissioni parziali di alcuni arrestati, riguardanti un paio di attentati dimostrativi molto precedenti al 25 aprile ed estorte con la violenza ed il ricatto. Sulle modalità degli interrogatori i compagni Faccioli e Braschi hanno dichiarato al Giudice Istruttore quanto segue.
- Paolo Faccioli: interrogato per tre giorni senza dormire né mangiare, percosso al buio con schiaffi, pugni e torcimenti del collo, mentre era minacciato da Calabresi di vent'anni di galera. (La descrizione delle violenze subite è stata messa a verbale e firmata dal Faccioli. Vi figurano i nomi degli sbirri che hanno condotto l'interrogatorio: Zagari, Panessa, Mucilli).
- Paolo Braschi: interrogato mentre era costretto a stare seduto su uno sgabello vicino alla finestra aperta, maltrattato, insultato ed invitato a confessare o a buttarsi di sotto. Condotto a Bergamo da quattro poliziotti agli ordini di Calabresi senza l'autorizzazione del giudice istruttore e senza l'intervento del difensore, si cerca di fargli confessare un supposto furto di materiale esplosivo in una cava.
Il secondo elemento di accusa è la già descritta Zublema alla quale è possibile far dire ogni genere di sciocchezze.
È presumibile però che Amati non avrà il coraggio di servirsi troppo di costei, dato lo scarso credito nei suoi confronti di tutti quelli che la conoscono. Comunque la Zublema dichiara essere sempre stata al corrente di quello che facevano i compagni e sostenere la loro paternità in moltissimi attentati.
Nessuno mai ha fatto alcuna ammissione sugli attentati del 25 aprile.
Giuridicamente non c'è altro. Sembra poco in effetti, ma tanto è bastato per addossare ai compagni la responsabilità di un numero incredibile di attentati e per accusarli di "tentata strage" ripetuta. Per tentata strage la legge definisce chi "colloca ordigni esplosivi al fine di uccidere". È interessante osservare che gli attentati del 25 aprile sui quali fu montata l'isterica campagna di stampa diffamatoria contro gli anarchici e che costituivano l'accusa principale contro i compagni in carcere, sono stati declassati ad imputazione di minor importanza, in essi infatti non si ritiene di ravvisare il "fine di uccidere" in quanto si trattava solo di bombe-carta (l'ombra del "dossier" di Atene deve fare una certa paura alla polizia...).
Le motivazioni di accusa del giudice istruttore, tentando di dimostrare l'indimostrabile, tacciono le vere accuse su cui si basano poliziotti e magistrati: che sono anarchici e quindi colpevoli a priori, che se anche sono innocenti sono anarchici e perciò colpevoli lo stesso, che se si considera innocente una anarchico che rifiuta l'obbedienza allo Stato si è poi costretti a considerare innocenti le migliaia di sfruttati che lottano per la libertà e rifiutano di obbedire a questori e padroni, i coscritti che rifiutano la divisa, i lavoratori che rifiutano lo sfruttamento.
Ma la realtà è molto diversa, è la realtà di uno Stato che deve coprire le sue nefandezze, le sue violenze e la miseria politica in cui si dibatte. Deve giustificare le pallottole con cui ammazza i lavoratori, le bombe e le stragi, la finestra da cui è stato gettato Pinelli.
Il processo contro Valpreda è vicino e la sua innocenza evidente. Allora occorre creare una visione terribile di anarchici sanguinari e dinamitardi, dal comportamento cieco e assurdo, di un sottobosco di sovversivi violenti che nulla hanno a che fare con le oneste rivendicazioni sindacali, le variopinte manifestazioni "antifasciste". Un quadro di orrore, miseria e disperazione che possibilmente sparga il panico nell'opinione pubblica.
Questo, oggi, è il significato politico di questo processo: preparazione al processo a Valpreda e affermazione del diritto alla repressione.
Speriamo, senza ottimismo, che questa volta la manovra non riuscirà, ormai troppe volte l'hanno sfruttata. Troppi italiani hanno aperto gli occhi e si rendono conto che ogni processo politico è un attentato alla libertà di tutti e non basterà più condannare degli anarchici per mascherare la realtà politica del Paese.

Croce nera anarchica

(1) Si tratta delle frasi messe in bocca dalla polizia ad una professoressa amica di Braschi, Rosemma Zublema, la cui infermità mentale viene ammessa dalla stessa interessata.

Dal carcere di Treviso, il compagno Tito Pulsinelli ci scrive

"Nella sentenza istruttoria il Giudice Istruttore - tentando di giustificare la mia incriminazione - accenna a non meglio precisati "motivi ideologici" che sarebbero all'origine della mia presunta "attività criminosa". Il G. I. arriva persino a sfruttare il più consunto dei luoghi comuni, il più infantile schema mentale: "anarchico terrorista", a questa miseria si ridurrebbero, alla fine, i "motivi ideologici".
Ebbene, il ricorso al terrorismo non è una prerogativa esclusiva dei libertari, noi non ne abbiamo il monopolio o il brevetto!
Le forze politiche più disparate - e nelle epoche più diverse - hanno fatto ricorso al terrorismo: gli algerini dell'F.L.N. e i colonialisti dell'O.A.S., i partigiani italiani dei G.A.P. o delle S.A.P. e i fascisti dell'OVRA, i fedayns palestinesi e i militari israeliani, i cattolici di Belfast e i protestanti, i vietcong e gli imperialisti U.S.A., ecc.
Il terrorismo è sempre stato un mezzo di lotta - impiegato sia dai rivoluzionari che dai controrivoluzionari - e non è mai buono in sé per sé, ovunque e comunque.
Ebbene gli attentati di cui sono stato accusato - oltre a non averli eseguiti - sono oggettivamente provocatori e reazionari in quanto hanno servito gli interessi contingenti del potere politico e sono stati presi a pretesto per sferrare attacchi contro di noi. Non cambia minimamente la questione il fatto che sul luogo degli attentati dicono siano stati ritrovati manifestini pseudo-anarchici: chiunque può fare un attentato e "firmarlo" come gli pare. Un biglietto non può assolutamente autenticare e far passare per libertaria una azione fascista!
Gli anarchici quando hanno compiuto azioni esemplari ne hanno sempre assunto e rivendicato la paternità e la responsabilità in un modo aperto o durante pubblici processi - come nel caso dei compagni milanesi che nel 1962 rapirono il vice-console spagnolo - e mai, in nessun caso, con dei manifestini.
I "motivi ideologici" - quindi - esistono solo nella testa del giudice. Allo stadio attuale della lotta, i libertari non prevedono - anzi escludono e condannano - il terrorismo e altre forme di azione individuale; io come comunista libertario ho sempre incoraggiato e sostenuto l'unica vera forma di azione corretta: quella collettiva di base, perché solo questa incide sensibilmente nel rapporto di forza dominanti-sfruttati, ed ha funzione educativa perché favorisce l'unione e la solidarietà degli sfruttati.
L'azione individuale oltre che essere sterile è controproducente: a noi non interessa minimamente il petardo collocato sul portone di una direzione aziendale, perché non siamo iconoclasti, né ci interessa indirizzare l'azione libertaria contro i "simboli" delle istituzioni perché non siamo simbolisti.
Noi miriamo oltre.
L'azione libertaria mira ad investire le strutture (e non i suoi simboli), non si ferma al portone ma giunge all'interno fino alla catena di montaggio, non si ferma all'epidermide ma punta al cuore, alla produzione.
L'azione libertaria giunge al lavoratore manuale, di cui vuole cambiare radicalmente lo status, il suo rapporto con i mezzi di produzione, il suo rapporto con la cultura, con lo Stato, ecc. in una parola mira ad emancipare per giungere all'autogoverno delle Comuni, e all'autogestione di ogni istanza della vita sociale.
Il grande obiettivo dell'azione libertaria è l'integrazione del lavoro manuale con quello intellettuale!
I "motivi ideologici" - che a parere del Giudice Istruttore - giustificherebbero il terrorismo "anarchico", esistono solo nella sua testa...
Ultima nota: a 100 anni dalla Comune di Parigi, quando decine di migliaia di comunardi venivano fucilati e bollati come "delinquenti", le cose non sono cambiate, prova ne è che siamo stati rinviati a giudizio anche per il reato di "associazione per delinquere". Chi lotta contro i borghesi è un delinquente, che i compagni se lo ricordino!