Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 23 nr. 201
giugno 1993 - luglio 1993


Rivista Anarchica Online

Dopo il 18 aprile

Il significato di un «referendum», come di ogni altra forma di competizione elettorale nella società contemporanea, si riduce a quello di una forma particolare di «sondaggio di opinione», finalizzato a valutare il livello di acquiescienza collettiva e della disponibilità ad assecondare un progetto di autoristrutturazione del potere, o ad una richiesta di complicità volta all'ottenimento di un avallo istituzionalizzante ad una trasformazione voluta e, di fatto, già realizzata.
Stando agli altisonanti titoli dei grandi quotidiani, al tono enfaticamente compiaciuto dei commenti ed agli accenti trionfalistici di tanti politicanti, il 18 aprile 1993 si configura come la data storica di una vittoriosa «rivoluzione», attraverso la quale, per dirla col direttore di «Repubblica»: Il paese ha ritrovato in un voto quasi plebiscitario le ragioni della sua unità; il «si» ha superato tutti gli steccati, quelli geografici, quelli sociali e quelli di fedeltà ai partiti; esso è diventato l'elemento fondante di una nuova nazione.
Ci sarebbe di che ridere; se non fosse che, dietro tanta retorica, c'è un pizzico di, poco rassicurante, verità e l'esito referendario può venire considerato come la consacrazione plebiscitaria del punto di arrivo di quel fenomeno di appiattimento delle coscienze e di omologazione delle mentalità, dei comportamenti e delle aspirazioni in cui, già vent'anni fa, la sensibilità di un poeta e scrittore, Pier Paolo Pasolini, vedeva il trionfo della «prima, vera rivoluzione di destra».
È un fatto che il solo quesito dove l'esito sia stato fino all'ultimo incerto è stato quello relativo ad una, seppur modesta, attenuazione del fanatismo punitivistico nei confronti dei consumatori di droghe.
Mentre calorosi consensi ed una quasi unanimità ha ottenuto la risibile tesi secondo cui la via maestra per cambiare in meglio la realtà italiana consisterebbe nell'adozione di una legge elettorale che assicuri un più agevole esercizio del potere ai governanti.
Se considerato come una verifica dell'attuale atteggiamento psicologico di massa, l'esito referendario è estremamente sconsolante.
Esso, infatti, è sintomatico di una, ampiamente diffusa, disposizione a desiderare di assoggettarsi a forme ancor più autoritarie di esercizio del potere, in nome dell'aspirazione ad una illusoria maggiore stabilità e sicurezza, nonché di un preteso recupero di moralità, che deriverebbero da un regime politico di «alternanza nella continuità».
Sul piano pratico delle conseguenze dell'esito referendario nella determinazione del futuro scenario socio-politico in Italia, invece, esse potrebbero anche rivelarsi potenzialmente positive e contribuire alla comparsa di condizioni molto propizie ad un efficace rilancio del pensiero libertario, la sua diffusione e la rivitalizzazione di un Movimento anarchico in grado di esercitare una autentica influenza nella realtà sociale.
Pur non potendosi, allo stato attuale, escludere altre ipotesi (compresa quella, meno oggettivamente assurda oggi di quando, anni fa, veniva data per una minaccia incombente, di tentazioni dittatoriali in chiave militar-golpista) la previsione più attendibile è quella che si vada verso un sistema politico mutuato dal modello nordamericano. In pratica, secondo la definizione datane da Noam Chomsky, ad «un sistema a partito unico, diviso in due fazioni controllate da segmenti diversi e mutevoli del potere economico».
La prima conseguenza logica non potrebbe essere che la progressiva estinzione dei partiti tradizionali a base ideologica e la loro metamorfosi in componenti, intercambiabili e fluttuanti, di coalizioni contingenti, contrattate in funzione dei periodici allestimenti di «showgames» elettorali, affidati alla gestione di esperti professionali delle tecniche pubblicitarie e delle regole dello spettacolo mediale.
Quanto al destino riservato ai resti di decomposizione dei partiti minoritari più ideologicizzati, frustrati nella loro ambizione di poter arrivare ad esercitare un ruolo di mediazione istituzionale in ambito parlamentare, non potrà che essere quello di frantumarsi ulteriormente, fino a ridursi a piccole «sette esoteriche» di fedeli custodi del «fuoco sacro» dell'ortodossia verso ideologie diventate obsolete.
È verosimilmente lecito prevedere che si assisterà ad una sempre maggiore diffusione di atteggiamenti qualunquistici e di disinteresse per tutto ciò che sa di politica. Ma anche che la caduta di ogni illusione elettoralistica e il crollo del mito della rappresentatività e della delega parlamentare spingeranno le minoranze dissidenti, emarginate o sottogarantite (la somma di diverse «minoranze» può essere una «maggioranza» della popolazione), i disoccupati o sottocupati, tutti coloro che sono o saranno penalizzati dalle leggi del profitto, del «mercato», della speculazione e dello sfruttamento, verso la scoperta di forme di autonomia organizzativa, metodi di azione diretta, pratiche di associazione temporanea per affrontare e risolvere specifici problemi e particolari situazioni, che escono dagli schemi e dalla logica istituzionali, per riallacciarsi, magari inconsapevolmente, alla tradizione storica delle idee e dei movimenti libertari.
La più convincente prova della inesauribile vitalità dell'anarchismo non va cercata nella «longevità» di qualche giornale o nella perseveranza con cui dei militanti tenaci riescono, anche nei momenti più bui, a far sopravvivere dei «gruppi», dei «circoli» o delle «federazioni», quanto nella puntuale riapparizione spontanea di indirizzi e metodi di azione intrinsecamente libertari, non appena compaiono situazioni storico-sociali idonee a far emergere l'esigenza di soluzioni antiautoritarie alle contraddizioni della società costituita. Molti fattori contribuiscono oggi a determinare le precondizioni perchè tali situazioni possano molto presto ripresentarsi. E, se una ipotesi del genere dovesse rivelarsi fondata, si pone per gli anarchici l'esigenza di non esserne impreparati al punto di non accorgersene neppure (o di essere tra gli ultimi a cornprenderlo) perché troppo impegnati in annose e stantie polemiche intestine per diatribe che hanno fatto il loro tempo o a discettare, in chiave dietrologica e con «sagacia» degna di miglior causa, attorno a pseudoproblemi rniticizzati dai «media» come «Mafia», «Gladio», «P2» o «Tangentopoli».

Gianfranco Bertoli (carcere di Porto Azzurro)