Rivista Anarchica Online
Senza legge né tempo
di Mauro Macario
Il 14 luglio, a Castellina in Chianti, è morto Leo Ferré: poeta, cantante, scrittore, artista
poliedrico e anarchico.
Al poeta e regista Mauro Macario, suo grande amico, abbiamo chiesto di ricordarlo in queste pagine
Ferré l'incodificabile che si depista sotto ogni latitudine tornando ogni
volta integro ai suoi detrattori euclidei,
Ferré, padre assoluto dell'immaginario utopico e come noi orfano di quel continente, Ferré
ciclone devastante
dell'anarchia catartica, anche se i compagni con i quali reinventare la vita «non sono l'uno per cento ma
credetemi esistono», Ferré evocatore tellurico di moltitudini oppresse che riscatta con rappresaglie
vendicative
in faccia alla Storia, Ferré terrorista del sogno quando il sogno è amore e l'amore fa paura ai
popoli allevati
nell'odio e nella cecità costituzionalizzati dallo Stato come regola del profitto e arma virtuale di
regressione e
oscurantismo, Ferré, computer carnale che in sé raccoglie la memoria collettiva della cultura
umanistica in via
d'estinzione in un'epoca antropofaga che inghiotte i superstiti del mondo non avvenuto, i randagi collerici
dell'altra riva, i profeti del mancato natale libertario, per creare al loro posto attraverso disumananti palinsesti
sociali e genetici, i nuovi paggi del Sistema tecnologico, elettronico, scientifico, di esclusivo dominio del
Grande Fratello di Orwelliano monito. Ferré, assaltatore anatemico contro ogni ordine costituito, ogni
legge,
ogni forma di autorità: dalla Chiesa ai papi, dai militari ai magistrati, dai regimi democratici a quelli
totalitari,
e infine duellante fantasma contro il supremo potere cui si rivolge in questi termini nel brano IL CANE, cassa
di risonanza del Sessantotto: «E se Dio esistesse davvero/come diceva Bakunin/il nostro compagno vitaminico/
dovremmo sbarazzarcene». Allora Ferré non è scomparso, è in missione impossibile,
l'ultima sfida con il nulla
autoritario che dal nulla schiaccia l'uomo con la mediazione della forza mortale di altri uomini. O cavaliere
dell'uragano libertario, maestro senza voler essere maestro, da qualche parte in qualche modo, continuerai le
tue scorribande nella visionarietà pura, le tue acrobazie nel delirio organizzato dei versi, tu esploratore
dell'altrove, tu fuggiasco in avanti, sei solo partito in ricognizione nell'anno diecimila quando - ci gridavi NOI
AVREMO TUTTO, e poi bruscamente aggiungevi: o domani mattina, se tu vuoi! Questo brindisi molotov
che ti facciamo vuole inaugurare la fine della viltà e della sottomissione e il ripristino
della dignità, ricordando non a caso il decalogo della paura da «La violenée et l'ennui».
Art.1 Ho paura. Art.2 Ho paura. Art.3 Ho paura. Art.4 Dove sono le toilettes?
Ferré, genio di molteplici discipline artistiche interconnesse e ritrattate secondo «l'estetica della
solitudine»
quando «l'anarchia è la formula politica della disperazione». La solitudine vissuta in esilio in mezzo
agli uomini,
dando a questi meno di un filantropo e più di un misantropo. Anima apolide e quindi sempre
disormeggiata, ha
trovato nella negazione la sua vera patria adottiva e nel rifiuto di tutto ciò che ci è stato
insegnato, il suo nero
vessillo d'attacco vivendo così una vita da scontro frontale perché «La rivoluzione prima di
farla per strada,
bisogna farla nella testa». I giornali demoniocratici e i giornalisti demoniocritici hanno scritto: è morto
un
cantante, uno chansonnier. No, non è questa la chiave interpretativa per entrare nella galassia
Ferré, come
giustamente viene definita in Francia. Ferré è poeta, romanziere, saggista, compositore, direttore
d'orchestra.
Ma il genio eclettico che scavalca i recinti espressivi sondandoli tutti con profondità seminando opere
immortali, infastidisce l'Accademia, il mondo della cultura chic, conformista e bacchettone. E non è
allora
«anarchico» liberarsi dagli schemi, dalle convenzioni, scardinando i modelli culturali più sclerotizzati
e bolsi?
Con Ferré i «generi» non sono più «generi» ma un unico fiume lavico che distruggendo, crea
un'arte nuova,
personale, irripetibile. Tra cinquecento e più canzoni troverai la canzone della tradizione francese
rinnovata
dall'interno, la canzone-poesia che già procede in una direzione più alta, la poesia pura che
più nulla ha della
struttura canzonettistica, la prosa poetica che diventa monologo e requisitoria. Anche se dei giornali hanno
parlato di «filippiche»! Uno stile letterario esaltante tra simbolismo, espressionismo e surrealismo,
all'improvviso destabilizzato provocatoriamente da incursioni linguistiche durissime di «argot» popolare fino
a creare ciò che inseguiva: lo stile della invettiva. Avrebbe potuto scrivere solamente libri e oggi
saremmo qui a parlare di un poeta letterario, ma il talento
misterioso non si è fermato al mutismo della pagina bianca: è venuta la musica. Una musica
che se non ci fosse
stata la voce né le parole, sarebbe stata da sola la massima espressione di un grandissimo compositore,
raffinato
e complesso. Musiche da concerto, arrangiamenti magistrali che ancor più danno ai suoi brani cantati
una
dimensione stupefacente di tipo classico-sinfonico. Così si arriva all'oratorio lirico su testo di
Apollinaire «La
chanson du mal-aimé», alla «Symphonie Interrompue», all'opera «L'Opera du Pauvre» dove
Ferré canta, recita,
interpreta quindici personaggi. Poi, si spinse nel cuore del suo sogno: la direzione dei concerti. E sono in tanti
a ricordare la direzione di Beethoven e Ravel. Ecco le risposte a chi pensa a Ferré soltanto come a uno
«chansonnier» della canzone francese del dopoguerra, quella di Saint-Germain. Ferré è andato
molto oltre. E
chi conosce veramente l'opera immensa che Ferré ha fatto musicando i poeti maledetti, quei poeti che
Ferré
raggiungeva per «fraternità spontanea» divulgandoli fra milioni di persone in tutti questi quarant'anni?
Léo ha
musicato le poesie di Baudelaire, Rimbaud, Verlaine, Apollinaire, Villon, Rutebeuf, Laforgue, Baer, Caussimon,
Aragon, Cesare Pavese, Cecco Angiolieri. A proposito di questa operazione, il grande poeta Louis Aragon,
scrisse: «Léo Ferré rende alla poesia un servizio di cui si calcola ancora male la portata,
mettendo a disposizione
del nuovo lettore, un lettore d'orecchio, la poesia doppiata dalla magia musicale. Egli dà la sua lettura
ed è
questo l'importante, il nuovo, il prezioso. Il poeta, il poema non sono che dei punti di partenza, al di là
dei quali
c'è il sogno... E quando lui interviene su ciò che ho scritto, può darsi che io manchi
d'obbiettività, ma è un fatto
che Léo Ferré mi fa sognare .. come Eluard diceva dei pittori che gli comunicavano lo stesso
evento. Bisognerà
riscrivere la storia della letteratura, differentemente a causa di Léo Ferré». E Léo
pare rispondere con il monologo «Préface» di cui prendiamo gli ultimi due versi: ALLA SCUOLA
DI POESIA NON SI IMPARA CI SI BATTE!
MEMORANDUM
BIOGRAFICO Léo Ferré nasce a Monaco (Francia) il 24 agosto
1916. Oggi rappresenta la massima espressione della poesia
in musica lasciando un patrimonio artistico immenso tra canzoni, poesie, sinfonie, opere, saggi e romanzi.
All'età di otto anni viene internato in un collegio di preti a Bordighera rimanendovi imprigionato fino
all'adolescenza. Questa esperienza creerà l'anarchico adulto che racconterà questa storia
lacerante nel romanzo
«Benoit Misère» scritto nel '56 e pubblicato nel '70 da Laffont, nell'89 dalle Edizioni Gufo del tramonto
e
adesso da Gallimard. Nel 1946 si insedia a Parigi dove prende a cantare nei cabarets mitici di Saint-Germain
e sarà l'epoca in cui nasce la nuova canzone francese del dopoguerra che in Ferré mostra timbri
anarchici e
afflati poetici mai espressi prima. Stringe amicizia con gli esiliati spagnoli cui dedica le canzoni: FLAMENCO
DE PARIS / LE BATEAU ESPAGNOL / FRANCO LA MUERTE, per la quale non potrà più
entrare in Spagna
se non dopo la caduta del regime. Frequenta Maurice Joyeux e il gruppo libertario «Louise Michel». Ai libertari
dedica la famosa canzone «GLI ANARCHICI». I temi di provocazione libertaria si susseguono
incessantemente: MONSIEUR TOUT BLANC, contro Pio XII, MON GENERAL, contro De Gaulle,
ALLENDE, contro Pinochet. La trilogia contro la pena di morte vede i seguenti titoli: LA MORT DE LOUP
/ MADAME LA MISERE / NI DIEU NI MAITRE. Nel frattempo mette in musica i poeti maledetti
dell'ottocento francese. Nel '53 va in scena l'oratorio lirico su testo di Apollinaire: LA CHANSON DU
MAL-AIMÉ. Nel '54 scrive e dirige la Symphonie interrompue. Nel '56 pubblica il libro
di poesie «Poete, vos
papiers!» e negli anni a seguire «Testament Phonographe» in diverse edizioni arricchite di nuovi testi. Accoglie
con fraternità prima il movimento beatnik, poi il Sessantotto. Sulla copertina di "Le monde libertaire"
proprio
nel '68 appare una sua foto con la scritta autografa: VIVA L'ANARCHIA CON UNA GRANDE A COME
AMORE! Nell'83 scrive l'opera L'OPERA DU PAUVRE, forse il vertice massimo della sua
espressività. Da
vent'anni viveva a Castellina in Chianti con la moglie Maria e i figli Matteo, Cecilia e Manuela. E' scomparso
il 14 luglio 1993.
Né dio né padrone La sigaretta
di prammatica Accesa all'alba democratrica Con il rimorso del custode Mentre il terrore vi
corrode Di questo prete il ministero E la pietà che sta a balcone E il cliente che non
ha Dio né padrone
Il nostro tragico fardello Impacchettato per le stelle Che cadon fredde sul selciato Ed una rosa
denudata Questo avvocato e le sue carte E un'alba di disperazione Per questo pianto che non
ha Dio né padrone
Le travi dette di giustizia Spuntate all'ombra del supplizio Ammobiliando il sacrificio Con una
bara di servizio La procedura che sorveglia Chi viene messo in proscrizione Con il pretesto che
non ha Dio né padrone
Questa parola del vangelo Che agli imbecilli vende il cielo E dà un blasone ed uno
stile Anche all'atrocità civile Questa parola da profeta Di augurio e rivendicazione Che
non riconosciate mai Dio né padrone NÉ DIO NÉ PADRONE
(traduzione di Enrico Medail)
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