Rivista Anarchica Online
Arrivano gli esperti
di Filippo Trasatti
Apriamo una pagina a caso di un giornale. In questi giorni ad esempio si parla
di maturità, e troviamo
puntualmente l'opinione degli esperti che ci spiegano come un certo tema andrebbe svolto o perché la
sua
formulazione è inadeguata a verificare la preparazione dei candidati. Ma qualunque sia l'argomento,
qualunque
il media utilizzato, giornale, radio, TV, il ricorso ad esperti è diventato ormai, almeno per me,
opprimente. Ci
sono redattori che hanno il compito di contattare telefonicamente esperti (più o meno tuttologi) e di
sentire la
loro opinione sull'ultimo argomento in discussione. Il continuo ricorso ad un esperto lo accredita sempre
più,
cosicché più difficilmente riusciamo a liberarcene, schiacciati dal peso delle sue innumerevoli
opinioni. Questa
moltiplicazione a dismisura delle autorità comporta una competizione, molto spesso fittizia, tra esperti
di cui
non riusciamo a cogliere le ragioni profonde e con i quali non riusciamo a schierarci (ammesso che sia
necessario e auspicabile) perché ci mancano i dati necessari a comprendere un problema. E alla fine
ciò che
conta non è affatto la ponderata riflessione, la discussione pacata e approfondita (per quanto non
risolutiva) di
un problema, ma altre ragioni umane, troppo umane. La prima mossa necessaria è quella di farsi
un proprio elenco delle priorità perché di tutto è impossibile
occuparsi. E poi studiare il problema a fondo, mettendo in campo interessi, motivazioni, rischiando anche la
sicurezza del proprio punto di vista, senza mollare davanti alle numerose difficoltà che inevitabilmente
ci
troveremo ad incontrare. Lo stesso modo di porre il problema condiziona profondamente i risultati che
otterremo, perché nessun problema è neutro e si dà nudo alla nostra osservazione. Si
dovrebbe insomma riuscire
a sospendere fino alla fine di un esame approfondito, da scettici, l'opinione degli esperti e provare a trovare da
sé le ragioni per accettare o rifiutare una soluzione. Il pamphlet di Brian Martin, L'esperto
è nudo, pubblicato
quest'anno da Elèuthera, offre un metodo e un insieme di esempi di come si possa opporsi con successo
al potere
degli esperti o meglio, a quella che una volta si chiamava tecnocrazia: «il regime degli esperti o di coloro che
sono in grado di far uso degli esperti» (Jacques Ellul). L'indice si articola in quattro sezioni che hanno peso e
importanza diversi per il nostro discorso. 1°: mettere in discussione i dati: sui
«dati» si gioca la prima battaglia importante. Ciò che è dato infatti assume
quasi un valore sacrale perché non può essere messo in discussione. Si dice: «è un dato
di fatto che...» per
eliminare dalla discussione qualcosa e allo stesso tempo per farla pesare come un masso. I dati di fatto sono
come buchi neri che attraggono pur essendo invisibili, che sottraggono energia e vitalità al discorso e
che
possono essere contestati trovando il non detto dei dati, le interpretazioni alternative che ammettono e infine
ricontestualizzandoli in una cornice diversa. Un solo esempio: l'aumento (o la diminuzione) dei morti per droga
è un «dato» che viene utilizzato dagli esperti per avallare una legge, per determinare una certa politica
governativa. Ognuno può da solo ben considerare a quante interpretazioni diverse si presti quel dato.
È sulla
manipolazione e sulla selezione dei dati pertinenti e sulla gerarchia che ad essi viene assegnata che si giocano
molte partite importanti. 2°: mettere in discussione i postulati: in altri termini si
potrebbe dire mettere allo scoperto i fondamenti ultimi
sui quali si basa il discorso. Per riprendere l'esempio della droga, uno dei postulati inespressi è che la
droga
porta alla perdita del controllo degli individui e che perciò la società non dovrebbe consentire
questo addio alla
ragione da parte dei suoi membri. Si può notare come dietro questo postulato, spesso inespresso (e che
una volta
espresso appare falso) ci siano altri postulati, come in altre parole si creino delle catene ascendenti fino ad
arrivare a dei valori che si assumono come primi e che non si accetta di mettere in discussione. Ma mettere in
discussione non significa rinunciare e non significa affatto (cosa che sarebbe contraddittoria) che i diversi valori
si equivalgano. Gli anarchici postulano dei valori («gli uomini nascono uguali...») che non sono assoluti dato
che non c'è un'autorità assoluta cui affidarsi, sui quali si può argomentare con l'uso della
ragione e con il
riferimento alla storia. Negare questa possibilità di argomentare intorno a valori diversi significa
accettare
l'incomunicabilità e questo rende indubbiamente più difficile essere cittadini del mondo.
3°: screditare gli esperti: restituire gli esperti alla dimensione umana, alla
fallibilità, alle intrinseche motivazioni
che li fanno schierare da una parte piuttosto che dall'altra, alla loro storia personale e pubblica. Metterli uno
contro l'altro, citazione contro citazione se non li si può avere in carne e ossa. Trovo che uno degli
effetti
indesiderati ma utili dei dibattiti televisivi sia quello di mettere in luce la vulnerabilità dei cosiddetti
esperti. Ma
come, il tal professore viene ridicolizzato in questo modo dal suo avversario? L'autorità del tale assume
un
carattere diverso se la si trova scritta sul giornale o in un libro, oppure se lo si vede in persona mentre parla
meglio se dal vivo. Entrano in gioco altre dimensioni della comunicazione che, a differenza di quella verbale,
sono difficilmente controllabili. 4°: screditare il mito della competenza: questo
è certamente il punto più difficile e più importante. Qui entra
in campo la Scienza con la maiuscola, con tutto ciò che essa rappresenta per la nostra società
e per la nostra vita
quotidiana. Le indicazioni di Martin sono in questo caso insufficienti e forse anche ingenue. Con animo
tranquillo l'autore fa un'osservazione che è di portata capitale: «è ormai acquisito che la
conoscenza scientifica
non è un percorso univoco verso la verità» (78). Ma acquisito per chi? Per un ristrettissimo
numero di
epistemologi. Ma per la maggior parte della gente questo resta il presupposto inespresso su cui si basa la fiducia
negli esperti. La Scienza ha, nella nostra cultura, acquisito di fatto la posizione unica di detentrice della
verità.
Una verità che spesso non è rivelabile, perché può essere compresa solo da
pochi iniziati ma che col tempo potrà
portare a tutti nuove conoscenze sul mondo. Che c'è un'unica vera modalità di conoscere il
mondo, questa è
l'immagine diffusa della scienza. Ma per smontarla occorre ben altro che i consigli di Martin. Abbiamo bisogno
di pensatori come Paul Feyerabend, di Ivan Illich, di Jacques Ellul che coraggiosamente si oppongono al
postulato comune per mostrare altre strade del pensiero che non possono non tradursi in una diversa concezione
della vita e della società.
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