Rivista Anarchica Online
Appunti di viaggio
di Melita Richter
Nel maggio '92 abbiamo pubblicato il resoconto di un viaggio in Croazia della sociologa croata Melita Richter,
che da quindici anni vive a Trieste. In queste pagine, il resoconto di un altro viaggio: questa volta in Serbia.
Dopo anni di guerra, dopo mesi di sanzioni.
Non avrei mai detto che lasciare alle spalle la fertile, sconfinata e insignificante
pianura magiara sarebbe stato
così avventuroso e in un certo senso traumatico. Poco dopo Szeged, la piccola, florida cittadina
provinciale,
sulla strada per il confine jugoslavo (cioè serbo), il traffico diventa sempre più denso,
più lento e poi si ferma
del tutto. Chiedo all'autista del pullman se sia successo qualcosa, un incidente ... e lui risponde «Vorrei sperare
che non sia già la fila». Siamo distanti 7-8 Km dal confine e la fila c'è: innumerevoli automobili
cariche di
viveri, persone, taniche di benzina, soprattutto benzina ... L'orizzonte s'imbrunisce lentamente e le pupille si
dilatano per vedere meglio, per capire. L'atmosfera nel bus è cupa e io sento che qualcosa dentro di me
si sta
gelando. Tutti sanno di che cosa si tratta, solo per me lo spettacolo è nuovo: è l'incontro con
la miseria, il segno
eloquente di una società in disgregazione. Il serpente nero della fila è quasi fermo, ai bordi ci
sono persone
senza espressione, mute, che spingono le macchine così, una dopo l'altra, senza accendere il motore
né i fari ...
Direi che sono quasi ordinati, pazienti, ma il profondo disagio si legge anche di sfuggita nei loro volti chini. Dai
vestiti dimessi, dai gesti lenti si nota che sono stanchi e rassegnati. Un po' più in là, ogni tanto,
c'è del
movimento: sono conoscenti, familiari? Discutono? Litigano? Il nostro pullman di linea (Budapest - Belgrado)
cerca di passare questo fiume umano lentamente, quasi attento a non turbare lo scenario irreale in cui siamo
piombati, o forse per concederci la possibilità di notare meglio il loro disagio ... Con la fronte fissa
contro il
vetro del finestrino tento di imprimere nella mia mente ciò che vedo. Se non ci fossero le macchine
cariche di
taniche di plastica e di sacchi di patate ben confezionati, l'immagine potrebbe essere simile a quella che da
scolari costruivamo nelle menti quando ci spiegavano lo spostamento delle popolazioni, delle tribù,
l'invasione
delle orde dal Nord-Est... Questi invece sono i cittadini della Jugoslavia, della Serbia, fino a pochi anni fa miei
concittadini, costretti oggi ad arrangiarsi alla meglio per sopravvivere. La società civile è
in ginocchio, la grande crisi economica è potenziata dalle sanzioni e dall'embargo imposto
dall'ONU. Ma non è un giorno eccezionale: la scena si ripete quotidianamente. Quotidianamente la
massa di
persone oltrepassa il confine ungherese per comprare il cibo, il carburante, il vestiario, l'alcool, il tabacco, tutto,
perché in Serbia non c'è niente. Il peso di una notte passata in attesa di varcare il confine non
conta. Il calcolo
è semplice: la gente è senza lavoro, vive nella penuria, ha fame. I fortunati che lavorano hanno
paghe
equivalenti a venti, dieci DM, ma anche meno. Un solo viaggio in Ungheria e il pieno di benzina rivenduto
fanno guadagnare più di un intero salario che comunque non basta a far fronte alle spese di una
settimana. Sui
40 litri comprati e rivenduti a 1 DM al litro si ricavano in una sola notte l'equivalente di un paio di salari medi.
Se la benzina si vende a Belgrado, o in un'altra città ancora più distante dal confine ungherese,
il profitto è triplo
o quadruplo. Questo vale anche per tutti gli altri prodotti. Il vortice del mercato nero inghiotte tutti, nessuno si
chiede della legalità o illegalità dei guadagni, nessuno può più parlare di etica
del lavoro onesto. La vita ha
ridicolizzato il lavoro e lo ha tramutato in concetto di puro lusso, irraggiungibile per chi ha da assicurare a
sé
e alla famiglia la sopravvivenza. Passato il confine ci imbattiamo subito in un altro aspetto della crisi: il
valore o meglio il non valore dei soldi.
L'esempio è banalissimo: l'uso della toilette è 2 milioni di dinari, tramutabili in 20 fiorini
ungheresi! Non ci
vuole molto per capire che i dinari jugoslavi non hanno alcun valore e d'ora in poi mi saranno sempre richiesti
dollari, marchi tedeschi, ma anche i fiorini vanno bene, «qualsiasi valuta forte». Il cambio in banca o al
cambiavalute è sconsigliabile; quello che in condizioni normali sarebbe il comportamento logico e
legale,
diventa ora deviante, isolato. Per il cambio illegale non ci sono problemi: numerosissime persone da sole o in
gruppi sostano agli angoli delle strade, nelle piazze, nella hall dell'albergo, sussurrano, chiedono, cercano le
«devize», offrendo in cambio il valore del momento, cioè, in mattinata uno, a mezzogiorno un altro,
la sera un
altro ancora, perché la svalutazione ufficiale è giornaliera, ma tutti sanno che si manifesta
diversamente nell'arco
della giornata (1).
Politica centripeta e totalitarista Sono a Subotica per il «Forum scientifico»,
la V Conferenza internazionale dei paesi danubiani con il titolo
«Danubio, fiume della cooperazione» (2). La Conferenza, si svolge in condizioni difficilissime per l'embargo
a Serbia e Montenegro, è riuscita a portare il discorso alla cooperazione economica, ma anche su quella
culturale
ed ecologica fra i paesi danubiani. Tra i partecipanti incontro molte persone che sperano e credono in un futuro
dove la sfera politica impregnata di nazionalismo non sarà così determinante e totalizzante da
dominare tutta
la vita civile. Si parla di progetti concreti, del ruolo del Danubio nella vita economica della regione e dei singoli
paesi, ma anche del futuro del Sud-Est europeo e dell'Europa in generale. Si analizzano gli effetti degli ipotetici
canali tra i fiumi Reno-Meno-Danubio, progetti che vedono uniti Mar Baltico e Mar Nero e la possibile
realizzazione delle dighe che tuttora rimangono il punto della discordia tra la Repubblica Ceca, la Slovacchia
e l'Ungheria. Si parla delle zone franche e della potenzialità del turismo nautico fluviale, del recupero
dei
rapporti economici e di buon vicinato con Ungheria, Romania, Bulgaria ... Ma si parla anche di cultura,
dell'importanza di «imparare a pensare con la mentalità di più nazioni, di imparare ad essere
europei». Per
l'Europa sono indispensabili i presupposti economici, ma anche quelli culturali perché l'Europa non
nasce solo
tramite il mercato comune o il coordinamento istituzionale sovranazionale e neanche si realizza con gli accordi
economici bilaterali o multilaterali; essa nasce nella testa della gente. Ed in queste stesse teste essa può
artificialmente essere soppressa. E' un incontro importante. Subotica è la bellissima cittadina della ricca
Vojvodina, la regione situata al nord della Serbia che si suddivide in Banat, Backa, e Baranja. A sua volta era
il granaio della Jugoslavia, la pianura più fertile e più coltivata del paese, con un'industria
diversificata e
tecnologicamente avanzata i cui prodotti varcano i confini nazionali. Vi si incrociavano importanti nodi
ferroviari e vie di comunicazione. Con la sua vitalità multietnica e multiculturale (Subotica con i
dintorni conta
150 mila abitanti, la maggioranza dei quali è ungherese, seguiti dai Croati, Bunjevci, Serbi, Slovacchi
e altri)
ha dato e dà tuttora l'esempio di come sia possibile mantenere e sviluppare una vita basata sulla
convivenza e
la collaborazione. La Vojvodina rifiuta la guerra ed in questo è compatta. Il sindaco e il vice sindaco
di
Subotica, ambedue appartenenti alla minoranza ungherese e al partito «Comunità democratica degli
Ungheresi»,
sono uomini saggi, razionali e sanno che il benessere della popolazione sta nello sviluppo economico,
nell'iniziativa dell'imprenditoria, della piccola industria e soprattutto nella pacifica convivenza
multietnica.
Perciò puntano sui rapporti commerciali e culturali con i paesi confinanti, prima di tutto con
l'Ungheria ma
anche con l'Austria, Germania, Slovacchia, Repubblica Ceca, Italia, Romania, ecc. Loro sanno molto bene che
ogni nazionalismo esasperato, ogni scintilla avvelenata potrebbe portare la Vojvodina ad una tragedia
sconfinata. Sanno che è giusto opporsi alla politica centripeta e totalitarista di Belgrado e cercano di
farlo in
modo più razionale possibile. Finora hanno avuto un grande appoggio dalla popolazione, anche se non
sono
mancate provocazioni sporadiche degli estremisti. In concomitanza con il Forum scientifico, a Subotica
è stata
aperta la I Fiera Internazionale della piccola imprenditoria, uno sforzo notevole per mettere in pratica
ciò che
la Vojvodina propone in teoria: economia e apertura dei confini e non la guerra, la chiusura, l'isolamento. Forse
questo significa andare contro-corrente rispetto alla politica nazionalista di Belgrado, ma significa senza dubbio
andare incontro agli interessi vitali della regione e della sua popolazione. Che Subotica con i dintorni di vaste
zone agricole stesse meglio di altre zone della Serbia, specialmente meglio della capitale Belgrado, è
visibile
da tanti segnali anche a una come me, che solo in pochi giorni e superficialmente cerca di decifrarne il tessuto
sociale in rapido sgretolamento.
Società devastata Segni visibili sono le folle di persone che
traboccano dai treni provenienti da Belgrado e dall'interno della
Serbia, gli autobus stracolmi e quel esiguo traffico privato esistente che si versa sul mercato di Subotica, l'ormai
notissimo Buvljak, il mercato delle pulci. Lì si trova tutto quello che manca in Serbia e
in Montenegro.
Cominciando dal cibo; richiestissimi olio, sale, zucchero, farina, riso, patate, legumi secchi, tabacco, carta velina
per far le sigarette, alcool, bestiame, vestiario, scarpe, prodotti per l'igiene personale, soprattutto sapone,
dentifricio, deodorante, carta da toilette, viti, vitine, chiodi, filo, lana, arnesi per coltivare la terra, qualche
apparecchio sofisticato Hi-Fi ... C'è di tutto, nuovo ed usato. I prezzi sono in marchi e cambiano
continuamente,
quelli della mattina si triplicano la sera ... E il mercato nero che fiorisce e si alimenta !ininterrottamente:
Buvljak
lavora giorno e notte. E' di notte che l'abbiamo visitato e non ha perso niente della sua vitalità,
anche se mi
dicono che di giorno è molto più vasto e ricco. Comunque, mi basta quanto ho visto: sono scene
degne delle
migliori descrizioni di Zola sul sottoproletariato e sulla miseria dei sobborghi delle grandi città europee
di fine
secolo. Ma c'è anche l'arroganza di quelli che sfruttano la penuria e con la loro abilità di
trafficanti e rivenditori
riescono ad emergere economicamente, a ottenere guadagni facili sfruttando la povertà. Parlo con uno
di loro.
Vende un litro d'olio per un marco e mezzo. La stessa mattina l'olio costava mezzo marco, ma si trovava ancora
nei negozi. Quando è sparito da lì (l'assalto della gente alle merci di prima necessità
fa sparire in brevissimo
tempo ogni prodotto dagli scaffali dei negozi), il mercato nero si adegua e raddoppia i prezzi. L'indomani questo
stesso olio costerà due marchi e in serata quattro. La progressione nella crescita dei prezzi è
geometrica,
incontrollata. Ma a Subotica la merce c'è ed è comunque meno costosa che a Belgrado. Lo
stesso fatto
dell'infimo valore del denaro spinge tutti ad aggrapparsi alla merce poiché il suo valore aumenta da
un'ora
all'altra ed ha significato reale. L'indomani non c'è nessuna sicurezza che la merce potrà essere
acquistata a
causa dell'assenza dal mercato o per l'annientamento del potere d'acquisto. Un prodotto acquisisce il valore in
sé, diventa merce di scambio e si torna al baratto. Anche la compravendita di soldi porta a guadagni
folli. Se
uno compra i DM o qualsiasi altra valuta forte a Subotica e li vende solo due ore dopo a Belgrado, ha triplicato
il guadagno. E' difficile afferrare la realtà di questo drammatico momento sociale che sta devastando
la società,
e ne intacca la sua complessità. E' difficile capire il senso di quelle banconote da un miliardo (3) e la
paga
(buona) di 45 miliardi, se un libro costa 32 miliardi (!) e un litro di vino (comunissimo, da tavola) 17 miliardi!
A casa di amici a Belgrado il vino fu comprato in mio onore, ma quando mi resi conto quanta privazione esso
rappresentasse, mi passò del tutto la voglia di berlo. E il libro che volevo comprare non comprai, mi
pareva
quasi di oltraggiare le persone che mi avevano ospitato.
Ovunque sporcizia Belgrado. Poche volte una città mi aveva lasciato
un'impressione così profonda. Poche volte ho visto una città
umiliata. Immagino che le città europee distrutte durante la II Guerra mondiale, con tutta la crudele
tragicità
del loro aspetto, emanassero più fiducia, più speranza e voglia di vita nuova di quello che oggi
si nota a
Belgrado. Belgrado è una città splendida, la metropoli costruita con grande respiro
urbanistico, con vasti boulevards
alberati. Le sue gentili colline sono piene di lussuose case di rappresentanza, ambasciate, parchi, musei, ma ci
sono anche quelle colline dolci, piene di case piccole e modeste con cortili dove tuttora si svolge tanta vita
intima di un mondo ancora patriarcale; la vita di comunità, la «Belgrado con l'animo». Mi ricordo dei
tempi,
ormai remoti, quando da studenti facevamo le gite di «fratellanza» o dopo, da professionisti, le «carovane
dell'amicizia» e noi di Zagabria ci sentivamo dei provinciali osservando quanto «avanti» fosse andata Belgrado,
quale architettura d'avanguardia, quali strade, circonvallazioni, traffico, potenzialità commerciali avesse
la
Capitale ... Tutto sembrava irraggiungibile e forse celava le prime invidie di noi «mezzi asburgici» che
tenevamo tanto a essere più grandi, più europei, più moderni e soprattutto più
ricchi, perché «avevamo la cultura» ... Eppure, Belgrado era «la prima», era veramente bella. Che cosa
è rimasto oggi di quella immagine? Lo
spettro. Una città plumbea in visibile degrado fisico e sociale. I grandi boulevards sono vuoti, la gente
non usa
l'automobile perché manca la benzina, le macchine sporche e abbandonate sono parcheggiate ovunque.
Sui bordi
delle strade ci sono le bancarelle improvvisate dove si vende di tutto (ed è quattro volte più caro
che a
Subotica!). Non so se i venditori sono Serbi, Rumeni, Rom ... Il loro aspetto è trasandato, poco
raccomandabile.
Parlo con uno di loro: i suoi prodotti provengono dalla Polonia ed i soldi che ricava dalla vendita coprono il
viaggio, il dazio, il disagio e portano un buon profitto. Ma ci sono anche vecchietti che vendono la propria
sciarpa, oppure profumi da donna dai nomi più fantasiosi ... Ovunque sporcizia. Forse la si nota di
più nei
complessi della Belgrado Nuova, quei grandi agglomerati dall'impronta Courbusieriana. Per le loro strutture
smisurate immerse nel verde, queste costruzioni possono ancora dare un'immagine di vitalità del tessuto
urbano, ma quando uno si avvicina rimane turbato dal degrado ambientale. I vetri delle entrate sono rotti,
le porte
scardinate, la sporcizia accumulata (per mesi o per anni?) in tutti gli spazi comuni, sui muri, nei sottoscala, negli
ascensori. Il cattivo odore si diffonde e si mescola con gli odori del cibo provenienti dai numerosissimi
appartamenti ... Mancano le lampadine sulle scale e negli ascensori, ma si sa che anche quelle che ci sono, al
termine della loro «vita» non saranno sostituite perché non si trovano sul mercato e anche se ci fossero,
nessuno
ha più i soldi per comprarle, per prendersi la briga di curare gli spazi comuni. Eppure la zecca emette
in
continuazione banconote nuove, senza copertura, aggiungendo o togliendo gli zeri e creando i famosi miliardi
e milioni ma sempre con lo stesso risultato: sono soldi fuori da ogni contesto economico reale. Si produce carta
straccia che nessuno ha voglia di tenere in tasca per più ore. L'inflazione è giornaliera, del 30%,
cioè dello 0,5%
all'ora! (4). Per questo non mi meraviglio più quando scorgo i bambini che dai piani alti di un grattacielo
buttano
giù le banconote di quei milioni che non valgono più niente. Si divertono a seguire le virate
lente che la carta
colorata traccia nell'aria come noi ci divertivamo con gli aeroplanini di carta ... Prendo alcune banconote dal
fango per mio figlio che ha cominciato ad interessarsi di numismatica. Come potrò spiegargli che con
questi
soldi i bambini di Belgrado non potrebbero comprarsi neanche la gomma da masticare? Non sono cose da
spiegare: non c'è niente di razionale. L'antimilitarismo di Zoran
Ci sono le persone che rifiutano la logica del traffico di soldi, del mercato nero, del guadagno
illecito, o perché
hanno per tutta la vita agito secondo l'etica del lavoro onesto e semplicemente non riescono ad adattarsi alla
nuova morale della jungla, oppure perché vecchi, deboli e non hanno la vitalità, la
capacità di farlo. Loro sono
i grandi perdenti, gli sconfitti. A loro questa società sta togliendo ogni dignità, sta annullando
la loro stessa vita.
E non è casuale che tra la popolazione anziana, specialmente tra quelli soli, senza il supporto della
famiglia, il
numero dei suicidi sta aumentando vertiginosamente. Il governo non pubblica le cifre ufficiali come non
pubblica i dati delle diserzioni e di nessun fenomeno che direttamente o indirettamente indichi il dissenso e lo
sgretolamento della società. Molti di loro che hanno dedicato la vita a lavori umili o alle «missioni
grandi», conservano ancora una grande
umanità e integrità morale, cercano di essere lucidi e si muovono con contegno su questo rude
scenario sociale
dove la vergogna viene loro imposta. Ma non è la vergogna loro, è la vergogna di altri,
soprattutto dei leaders
politici e dei «grandi» ideologi nazionalisti che sono riusciti a trascinare il paese in una guerra sanguinosa e
fratricida e nello stesso tempo hanno portato la società civile alla totale disgregazione, al baratro della
miseria.
Durante la mia breve permanenza a Belgrado ho conosciuto poche persone ma anche quel breve lasso di tempo
che ho passato con loro mi ha fatto capire che si tratta di persone eccezionali. Vorrei parlare di Zoran, scultore,
pittore, drammaturgo, di Olga, scultrice, pianista, di Petar, chirurgo ... E' gente che appartiene alla classe 1921,
1922. Sono persone sensibili e coinvolte nel fermento intellettuale mai placato, nella permanente ricerca di
nuove forme di espressione. Hanno dedicato tutto all'arte, alla creazione, alla professione. Anche oggi si trovano
nella torretta del padiglione della vecchia Fiera di Belgrado dove sono situati i loro «ateliers». Durante la II
Guerra mondiale questi padiglioni erano stati adibiti a prigione-lager per gli Ebrei e dopo la guerra tutti i
padiglioni in disuso furono dati agli artisti e trasformati in «studios», in «ateliers». Così si creò
una vera colonia
artistica. Sono ormai decenni che Zoran e Olga lavorano in «ateliers» attigui, scambiando quotidianamente
opinioni, critiche, sensazioni ... Zoran ha un fisico asciutto, il viso scavato e i capelli d'argento coperti dal
classico basco nero sotto il quale brillano gli occhi di un uomo curioso, gentile, pieno di energie, di progetti ...
E' felice di aver visite, poi da Zagabria, da Trieste! Ha sete d'informazioni, scopriamo che conosce mio zio,
notissimo architetto, grafico e scultore di Zagabria ... Mi parla dei tempi in cui gli artisti, indipendentemente
dalla loro provenienza etnica, polarizzavano i propri interessi e le proprie ricerche espressive intorno all'arte
astratta. Ricorda i tempi in cui il nuovo linguaggio era portato avanti dal gruppo zagabrese «Egzat» (5) che
cercò una sintesi tra scultura, architettura, pittura e urbanistica e fu aspramente attaccato dai critici di
regime
schierati sulle posizioni del realismo socialista. Furono gli anni del fervore intellettuale per affermare la sintesi
dell'arte e del pensiero astratto. Allora c'erano convegni, incontri, progetti ai quali lavoravano insieme croati,
serbi, macedoni ... e si affilavano le armi di contrapposizioni spietate tra le diverse correnti. Ora non c'è
più
niente di simile. Non esiste neanche la possibilità di contatto personale, non esiste nessuno scambio di
esperienze, opinioni ... Ognuno vive nella propria palude cercando di non vederla, di continuare a lavorare ...
ma ci riesce a malapena. Zoran ha dedicato «da sempre» la sua opera e il suo impegno sociale
all'antimilitarismo
per trovarsi oggi in una società militarizzata fino all'estremo. La sua scultura metallica, discontinua e
pungente
non è estetica: è la testimonianza dell'assurdità della guerra, dell'assurdità della
morte violenta e tragica. Si
potrebbe dire che essa esprime l'ironia verso la virilità dei cavalieri moderni e medioevali che l'autore
unisce
alle forme animalesche antidiluviane. Il suo grido acuto contro la stupidità di tutte le società
militarizzate.
Come i topi Olga freme di impazienza; mi vuole portare nel suo studio,
parlare di arte e di vita. E' una donna minuta, magra
con i capelli tagliati alla Juliette Greco, gli occhi caldi, marrone ed i lineamenti di una bellezza classica. Ha i
denti malandati e ne è consapevole. Una volta la sua famiglia era molto benestante. Lei, già
pianista affermata,
si dedicò completamente alla scultura, diventò quasi filosofa della forma. Inventò la
materia speciale con la
quale dà vita alla sua immaginazione. Porta la testimonianza di una particolare concezione dello spazio
nelle
mostre in tutto il mondo. Alla Biennale di Venezia, alla Triennale di Torino, a Parigi, Bruxelles, Londra, Atene,
Alessandria, Budapest, Pittsburg e così via ... Oggi medita nel freddo dello studio, tra le opere
incompiute. Non
riesce a lavorare, non ha il materiale. Non ha i soldi per comprarlo. Non può comprare nemmeno cinque
kg di
gesso per terminare il lavoro avviato. Non riesce a comprare le candele che le servono per «patinare» una
superficie bianca. Ha la pensione mensile di due marchi e mezzo. Lei, che è membro onorario
dell'Accademia
Serba delle Scienze e delle Arti, mi dice:«comprerò le candele dopo le sanzioni», ma non mi dice che
non riesce
più a procurarsi il cibo, ad andare dal dentista, ad avere il minimo indispensabile per una vita serena
e decorosa.
Lei non si lamenta per sé, tutti i suoi colleghi pensionati, membri dell'Accademia, sono nella stessa
situazione.
Tutti, nella stessa barca. Ma proprio tutti? E quelli che da questa stessa Accademia Serba delle Scienze e delle
Arti formularono il «Memorandum» (1986) e partirono alla crociata con la mitologia della Grande Serbia? Per
loro, il nazionalismo paga? Quanto? Quante poltrone, ministeri, assessorati? Dobrica Cosic è arrivato
alla
Presidenza della Repubblica, gli altri dove sono? Scommetterei che non vivono come Olga e Zoran e neanche
come tanti cittadini comuni che pagano sulla propria pelle il conto della grande «avventura». Come per esempio
Petar, notissimo chirurgo che ha resistito ai lusinghieri inviti americani di proseguire la carriera negli Stati Uniti,
perché troppo innamorato di Belgrado, della sua minuscola casetta galleggiante sulla Sava Ciganlija.
E' rimasto.
Oggi, come tutti i fine settimana quando il lavoro glielo permette, è lì vicino al fiume dove con
gli amici divide
le ore spensierate delle ultime tiepide giornate di ottobre. Si cerca di parlare d'altro ma il discorso cade
inevitabilmente sulla penuria. «Hai comprato le patate per l'inverno?» gli chiedono. «No. E non le
comprerò.
Non ho i soldi» risponde con il viso sereno, offrendoci il bicchierino di grappa, quella vera, "domaca", che a
stomaco vuoto ti brucia dentro e fa scorrere il sangue più velocemente. «E come farai?»
«Sopravviverò. Come
i topi».
Collasso del commercio Il fiume è plumbeo e liscio, si muove
poderoso, lentamente, come se gli pesassero le acque accumulate.
Dall'altra parte, sulla costa si vedono le chiatte ferme e arrugginite. Ma più in là, sul Danubio
sono ammassate
quaranta tra chiatte e navi ... Manca la nafta, la benzina, ci sono le sanzioni, l'embargo. Non si muove niente.
Petar ed i suoi amici medici parlano delle difficoltà che sono costretti a superare negli ospedali.
Mancano i
guanti da chirurgo, il filo di sutura, gli antibiotici, il materiale sanitario, tutto ... Al paziente si chiede di
procurarsi da solo tutto il materiale indispensabile e portarselo in ospedale ... Anche gli ambulatori, le farmacie
sono sprovvisti delle cose più elementari: dalle pastiglie per il mal di testa allo sciroppo per la tosse ...
Con
l'incalzante impoverimento di tutti gli strati sociali, le richieste di aiuto medico sono in spaventoso aumento,
ma il servizio medico-sanitario non riesce a soddisfare neanche la metà delle richieste. E chi ne risente
di più
sono i vecchi, i malati cronici, il settore pediatrico, i malati di mente. In generale, le esigenze dei malati e dei
più deboli non riescono ad essere soddisfatte. Ne è sintomatica la proposta diffusa proprio
durante la mia
permanenza a Belgrado, con la quale lo Stato avrebbe garantito ai bambini dell'età prescolastica e
scolastica un
bicchiere di latte in polvere (!) al giorno. Il latte normale è introvabile. Quelli che non appartengono
a questa
fascia d'età, ma ne avrebbero comunque bisogno, dovranno recarsi dal medico che prescriverà
loro la ricetta con
la quale andare in cerca di latte (sempre in polvere)! Ma si sa che avere una ricetta in mano non garantisce
niente. E lo stesso vale per le ricette mediche. Forse si può trovare qualcosa nelle farmacie private ma
lì la
ricetta non serve più che tanto. Si paga tutto ed i prezzi sono proibitivi per la stragrande maggioranza
della
popolazione. Esistono anche i buoni per olio, farina, zucchero, per garantire alle famiglie i viveri di prima
necessità, ma sono validi per un certo numero di negozi dove sono introvabili già da settimane.
Non rimane che
rivolgersi al mercato nero e alla quotidiana, continua e stressante ricerca di cibo. Ormai è una prassi
convalidata
mettersi in fila ordinatamente e pazientemente perché la fila è il segno che comunque qualcosa
si vende e questo
è di per sé sufficiente. La fila per il pane inizia alle cinque del mattino. Penso che, al contrario
di quanto
scrivono i nostri giornali, sia poco probabile che la massa degli affamati assalga i negozi: i negozi sono vuoti.
Ho visto gli scaffali miseramente riempiti con delle mele, dei cappucci, qualche pacco di pasta e vasetti di
senape. Se c'è qualcosa che non manca a Belgrado è la senape! I vasetti in bella vista, distanziati
con cura uno
dall'altro, riempiono il vuoto delle scansie quasi volendo rincorrere un gioco estetico. Ma tutti sanno che non
si tratta di un gioco. E' il collasso del commercio, del mercato sociale e statale. Solo quello privato e il mercato
nero riescono a offrire la merce, a realizzare il profitto, a ingrossare il budget delle mafie locali.
Totale sfiducia È difficile sentirsi a proprio agio in una città
ridotta alla sua stessa ombra, devastata socialmente e
strutturalmente (sono numerosi i cantieri dove i lavori sono bloccati e le gru ferme con la loro immobile
imponenza contribuiscono alla visione spettrale delle periferie ma anche delle zone centrali: vedi per es. i lavori
iniziati per il museo della Rivoluzione ... ). Dai grandi boulevards non è solo svanito nel nulla il
frenetico
scorrere del traffico; è sparita la spensieratezza, la gioventù, la musica, la canzone, è
sparita quella certa
Belgrado autentica che seguiva i ritmi lenti e goliardici dei vecchi caffè, le «Kafane». I ristorantini con
giardino
o quelli tipici lungo il Danubio, a Zemun, sono vuoti ... Non vi è più nessuno che li frequenti.
Non ci sono i soldi
ma non c'è neanche la gran voglia di socializzare. Tutto si ferma a livello del privato perché
bisogna assicurarsi
la sopravvivenza. Gli incontri avvengono in strada e si riducono a: «Come te la cavi?» «Come tutti gli altri...»
La gioventù è quasi assente, migliaia di loro se ne sono andati in tempo e oggi si trovano in
tutto il mondo. Sono
andati per costruirsi una vita lontana dalla miseria. Mi parlano delle grandi comunità di belgradesi nel
Sud
Africa, nello Sri Lanka, in Australia, in Francia, nel Canada ... Chissà in quali comunità si
integreranno. O si
arroccheranno attorno alla loro identità nazionale? Serberanno rancore verso la loro Patria? Sapranno
distinguere? Proveranno odio per quelli che a loro sono stati presentati come nemici e che magari incontreranno
nelle sconosciute contrade del mondo a faticare a rifarsi la vita, anche loro in una fuga senza ritorno? Saranno
vincitori nella vita o saranno sempre e comunque perdenti in quelle terre così lontane dell'acre e
melmoso odore
del Danubio e della Sava, del Ratnicko ostrvo, del Terazije (6) ... Nessuno parla di
questi ragazzi che se ne sono
andati, ma il silenzio pesa come la vergogna e come la pena che portano tutti quelli che sono rimasti. Eppure,
essi sanno che era giusto, era razionale, era necessario andarsene. Almeno i più vitali, i migliori di loro
hanno
dimostrato il rifiuto di partecipare alla carneficina loro imposta, il rifiuto di sottostare alla dominazione
totalitaria e totalizzante della politica di uno Stato aggressivo e nazionalista. Se ne sono andati non in quanto
vigliacchi, ma perché ricchi di una dimensione di umanità che oggi è così poco
richiesta nei Balcani (O forse
perché ricchi e lo potevano fare?). Per molti altri ragazzi rimasti, l'incertezza del domani non era mai
tanto
presente e palpabile come lo è ora. Non era mai stato tanto difficile proporre modelli di vita onesta,
valorizzare
la fatica del lavoro e dello studio, la legalità, la prospettiva di un domani migliore. C'è ribellione
a questa
devastante situazione sociale e politica? Forse non ho frequentato le persone «giuste», ma quello che ho notato
ovunque è apatia, depressione, accettazione della tragedia come di un flagello naturale.
Il settimanale
belgradese «NIN» che con la rubrica «Forum del NIN» ha da tempo collaudato il sondaggio dell'opinione
pubblica, riporta dati interessanti risultanti dall'ultima inchiesta (8 ottobre 1993): - la maggioranza degli
intervistati esprime la totale sfiducia verso tutti i politici. «Non ho fiducia in nessun
uomo politico» - 63% delle risposte. Ma il resto degli intervistati dà la massima fiducia a Milosevic (7),
segue
Vojislav Seselj (che scende addirittura dal 15 al 8%) ed altri tre leaders della cosiddetta opposizione
democratica (8), di cui Vuk Draskovic occupa l'ultima ma solida posizione (6%). Quindi, dietro la grande
sfiducia, l'opinione pubblica praticamente riproduce il quadro politico del potere. Non ci sono nuovi sbocchi:
la luce della stella di Milosevic si sta offuscando perché le promesse non sono state mantenute,
perché il fronte
in Bosnia non si è chiuso vittoriosamente, perché i confini con la Croazia non sono definiti,
perché gli accordi
di pace non sono stati firmati ... ma basta apparire accanto a Owen e Stoltenberg sulle portaerei, basta
partecipare a Ginevra o altrove alle trattative per la pace in Bosnia, basta ricevere in visita i membri del
parlamento giapponese o basta inventare un nuovo nemico (questa volta Seselj) per far risplendere la propria
immagine di una luce nuova. L'opposizione radicale (che è la destra estrema di Seselj) batte sempre
sulla stessa
carta dell'intransigente nazionalismo, della necessità di continuare la guerra. Essa non è e non
può rappresentare
una prospettiva per il popolo serbo, per i cittadini ridotti alla fame e alla miseria (9). Anzi questa prospettiva
si annuncia come «il peggio» dopo «il male» e sono in molti che non distinguono i due concetti, non vedono
la loro sostanziale differenza. Per cui l'ultimo contrasto verificatosi ai vertici dei due partiti, SPS - il Partito
Socialista Serbo di Milosevic e SRS - il Partito Radicale Serbo di Seselj, da molti non viene percepito come un
vero scontro o una vera e propria scissione politica. Piuttosto, ciò viene identificato come una manovra
politica
per la lotta di potere. La reazione tipica espressa da molti anche nell'inchiesta di «NIN» è: «Ora non
hanno più
bisogno di lui (Seselj) e per questo se ne lavano le mani (Milosevic ed il partito SPS) e lo vogliono estradare
come criminale di guerra». C'è un altro dato importante che risulta dal sondaggio di «NIN»: un terzo
della
popolazione è molto sensibile alla fascistizzazione della scena politica nazionale e vi vede un gran
pericolo per
la Serbia, l'altro terzo lo è in modo moderato e infine l'ultimo terzo è insensibile o addirittura
respinge una tale
ipotesi. Proprio quest'ultimo terzo della popolazione rappresenta quella fascia da dove si reclutano facilmente
i giovani volontari fascistoidi pronti a continuare la guerra. Il noto sociologo Nebojsa Popov, commentando
quello che accadeva recentemente nella Skupstina (il
Parlamento serbo [10]), lo aveva paragonato al rodeo. Rodeo, dove chi cavalca usa di tutto per mantenersi in
sella, quindi i colpi bassi per mantenersi al potere e far cadere il rivale sono all'ordine del giorno. Ciononostante,
Popov crede che qualcosa di positivo possa emergere sullo scenario politico serbo, ma «questo naturalmente
non dipende da Milosevic. Dipende dall'opposizione che dovrebbe coordinarsi di più». Anche se in
questo
momento non è possibile aspettarsi l'unità dell'opposizione democratica, il più stretto
coordinamento delle azioni
politiche è realizzabile ed auspicabile. «Non ha nessuna importanza il nome ed il cognome del
presidente»,
afferma Popov, «non ha importanza che la nostra gente entri nel governo, ha importanza che si torni alla vita
normale, civile, al progresso, che la gente viva del proprio lavoro, che finisca la guerra. Ha importanza che si
possa comunicare, collaborare, decidere. E per questo bisogna mediare e continuare con l'impegno politico.»
l) La iperinflazione in Jugoslavia è un fenomeno che supera di gran lunga le
forme dell'inflazione presenti negli stati sud-americani,
ma anche quella storicamente famosa della Repubblica di Weimar. La Jugoslavia di Milosevic ha battuto ogni
record di distruzione
monetaria. In uno dei suoi recenti «reportages» dalla Serbia, Paolo Rumiz scrive: «Gli zeri sono il segno della
smaterializzazione del
dinaro, ridotto a una finzione monetaria. Qualche esempio. La sera del 14 dicembre il marco tedesco vale un
miliardo e duecento
milioni. La mattina dopo due miliardi e cento. Alle tre del pomeriggio tre miliardi. La sera dello stesso giorno
quattro miliardi. Due
giorni dopo, la sera del 17, dieci miliardi. La sera del 18, vigilia elettorale, quindici miliardi. Grosso modo, il
mille per cento in soli
quattro giorni». Il Piccolo, 19 dicembre.
2) La Conferenza internazionale «Danubio, fiume della cooperazione», ormai al Vanno
di vita è organizzata dal Forum scientifico
di Belgrado, un'organizzazione indipendente, non governativa che raggruppa scienziati e uomini di cultura di
diverso profilo e di
diversi paesi, cercando di sviluppare la cooperazione trai paesi danubiani e quelli limitrofi.
3) Dalla mia permanenza in Serbia (ottobre '93) fino a oggi, diversi zeri sono stati tolti
dalle banconote e così si è passati dai miliardi
ai milioni senza però incidere sulla reale vita socio-economica del paese. La recente apparizione della
banconota da 500 miliardi ne
è la conferma. R. Cianfanelli, parlando della svalutazione (Corriere della Sera, 29
dicembre, 1993), porta l'esempio del costo di una
pizza che in pochi giorni passa da 12 miliardi a 160, ma dal momento della pubblicazione del suo articolo a
oggi, la strepitosa
polverizzazione del denaro è andata avanti. Per cui, tutte le cifre riportate da me in questo articolo sono
solo indicative, cioè erano
valide per quell'ora di quel giorno.
4) Come già detto nella nota precedente, ogni quantificazione dell'inflazione
corrisponde solo al momento in cui il dato viene
individuato, per cui i dati sopra corrispondono alla situazione di ottobre. Secondo gli ultimi dati, l'inflazione
complessiva nel paese
è del 250.000% in dicembre e per tutto il 1993 corrisponde a 250 miliardi!
5) Il gruppo «Egzat» fu fondato a Zagabria da Picelj, Richter e Srnec negli anni '50,
e rappresentò l'avanguardia del pensiero astratto
nella concezione dell'arte. Ebbe un ruolo importante nella formazione delle nuove generazioni di pittori, scultori,
architetti ed
urbanisti.
6) I luoghi frequentatissimi e cari ai giovani belgradesi.
7) Le recenti elezioni del 19 dicembre in Jugoslavia hanno confermato in pieno il
quadro riportato dal sondaggio di «NIN», cioè,
l'appoggio incondizionato al presidente Milosevic. Il Partito Socialista di Milosevic stravince e passa da 101
seggi a 122,
garantendogli così ancora maggior spazio per manovre politiche e decisionali.
8) L'espressione «opposizione democratica» si riferisce di solito ai partiti che non sono
al governo e si oppongono alla leadership di
Milosevic e del Partito Socialista Serbo. Ma questi partiti non si differenziano troppo tra loro e sono tutti, chi
più, chi meno, legati
al programma basato sul nazionalismo serbo. Per cui riteniamo che non si può parlare di una vera e
propria opposizione democratica,
termine che sarebbe più appropriato ai gruppi indipendenti di tutti coloro che non formano i partiti, ma
tramite l'impegno politico e
sociale, cercano di mantenere vivo il pluralismo politico e culturale in Serbia. Come esempio qui possiamo
citare «Beogradski krug»
(Il circolo belgradese) e l'associazione «Donne in nero».
9) Con le ultime votazioni del 19 dicembre, l'elettorato serbo ha dimostrato di capire
la strategia suicida del Partito Radicale serbo
di Seselj, praticamente il partito neofascista serbo. Forse anche dallo scontro recente tra Milosevic e Seselj
(quest'ultimo viene ritenuto
da molti nient'altro che il braccio operativo del Partito socialista che ha praticamente consentito a Milosevic di
apparire con le mani
pulite), l'elettore medio ha voluto distanziarsi apertamente dal marciume politico che è venuto fuori
dalla campagna elettorale: dalle
stragi su commissione, dalle razzie mascherate da pulizia etnica, dalle speculazioni sugli aiuti umanitari etc. etc.
V. Seselj è il grande
perdente di queste elezioni, ma il distacco totale dai criminali di guerra si è verificato nel caso del
«capitano» Arcan, alias Zeljko
Raznjatovic, il noto criminale e profittatore di guerra, ricercato in 6 paesi. Il suo tentativo di proporsi
politicamente è fallito
miseramente alle ultime elezioni.
10) dopo lo scontro aperto con Seselj ed il Partito Radicale e la minaccia della
spaccatura sulla scena politica in Serbia, il presidente
Milosevic, il 20 ottobre 1993, scioglie il Parlamento (Skupstina) e indice le nuove elezioni per il 19 dicembre.
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