Rivista Anarchica Online
A nous la libertè diario a cura di Felice Accame
Pagine da un nostro Diario
Come nell'ultimo Rohmer (L'albero il sindaco la mediateca), anche nell'ultimo Moretti alle
pagine quadrettate
di un quaderno di scuola è demandato il compito di scandire i tempi e i modi dell'argomentazione. Nel
caso di
Nanni Moretti, l'artificio diventa così necessario che ne nasce Caro Diario, film tripartito
in cui il gironzolare,
da stupefatto contatto con i prodotti dell'homo faber a fastidioso peregrinare e ad implacabile calvario nel
sociale quotidiano, diventa ispirazione mezzo e, al contempo, scopo - motivo comune. Nella prima parte
Moretti gironzola in motoretta per la Roma deserta di ferragosto. Scopre case, dopo aver
cercato con intelligenza e affetto il modo con il quale guardarle. E sotto sotto, con un linguaggio
cinematografico di deliziosa semplicità, ne disegna una loro storia critica. È la parte che mi
è piaciuta di più:
non solo perché, evidentemente, mi ha detto qualcosa, ma perché, a mio parere, ha detto
qualcosa in più di quel
che già sapesse a Moretti stesso. Ne costituisce, insomma, un risultato evolutivo e, cosa rara nel cinema,
non
è una stilizzazione di quanto l'autore aveva già conseguito e accumulato nelle opere precedenti.
Nella seconda
parte Moretti recupera un amico che dice di aver rotto con il mondo e va per isole - in cerca di un posto dove
poter scrivere qualcosa di buono. Nonostante la varietà dei temi toccati o adombrati (l'artificiale e il
naturale,
la televisione, i genitori «da figli unici», i bambini padroni del telefono, etc.) è la parte più
organica e compatta.
Per chi sa godere della mestizia caustica, è anche la parte più morettiana, o, comunque, quella
che in ogni caso,
precedenti alla mano, gli sarebbe ascritta. Nella terza parte Moretti racconta di una propria malattia. Più
della
faticosa scoperta di una diagnosi che d'altro. Terapia e guarigione rimangono nel personale, di certo più
di quel
dramma sociale che è la diagnosi, ove l'individuo, già contrastato e avvilito dalla malattia, si
trova ad aver a
che fare con l'istituzione - che già nel negargli l'individualità e ridurlo a fenomeno probabilistico
e statistico
tende ad ucciderlo. Credo che ben di rado o forse mai, nel cinema, il tema sia stato trattato con tanto garbo e
tale discrezione. Moretti ha la capacità di non speculare, neppure su se stesso. Leale e sufficientemete
rancoroso
nei confronti di un mondo ove della lealtà non si sa che farsene, Moretti sa emendare ogni sequenza
rappresentata ed ogni parola detta di qualsiasi accenno di retorica. Concessa una pausa di meritata
serenità al
gironzolio, il film si conclude al bar, dove Moretti si gusta un «buon bicchiere d'acqua fresca» dal quale, senza
distaccare le labbra, ci congeda con uno sguardo. Nell'intensità e nella tenace luminosità di
quello sguardo c'è
fierezza di vita, soddisfazione di sé e amore «nonostante tutto» dell'altro da sé - tanto che quel
Diario da intimo
e privato che era, vien messo a disposizione un po' di tutti noi. C'è, soprattutto, in quello sguardo, una
forte
convinzione d'intesa che sarebbe da imbecilli deludere.
P.S.: Non mancano, in Caro diario, le bordate sacrosante contro la Critica Cinematografica.
C'è perfino la
tortura di un critico tramite la lettura delle sue stesse parole pubblicate su di un giornale. Non so se Moretti
voglia riferirsi soltanto ad una «cattiva critica» (stupida, insulsa, prezzolata, destituita nel suo fare e dire di ogni
fondamento scientifico, etc.) o, piuttosto, alla critica «tutta», in quanto storica nicchia parassitaria in seno alla
storica nicchia parassitaria degli intellettuali (e poi, ovviamente, fra l'altro anche stupida, insulsa, prezzolata,
destituita nel suo fare e dire di ogni fondamento scientifico, etc.). Grossomodo, mi sembra che nei suoi film una
precisazione in tal senso non l'abbia ancora data. Sia come sia, uno come me, uno che propende più per
la
seconda versione - dopo aver scritto quanto sopra - si dovrebbe trovare leggermente in imbarazzo. E invece no.
Perché so che quanto espresso vale, al massimo, per me. Come il lettore accorto ben sa, qui, la «critica
cinematografica» c'entra solo di straforo - come gesto di libera convivialità -, ma, di norma, il piatto
forte è
costituito dalla paziente indagine e dalla conseguente denuncia di quei valori che, surrettiziamente, vengono
inoculati agli spettatori, per Ragion di Stato e anche così, tanto per far vittime.
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