Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 24 nr. 206
febbraio 1994


Rivista Anarchica Online

A nous la libertè
diario a cura di Felice Accame

Pagine da un nostro Diario

Come nell'ultimo Rohmer (L'albero il sindaco la mediateca), anche nell'ultimo Moretti alle pagine quadrettate di un quaderno di scuola è demandato il compito di scandire i tempi e i modi dell'argomentazione. Nel caso di Nanni Moretti, l'artificio diventa così necessario che ne nasce Caro Diario, film tripartito in cui il gironzolare, da stupefatto contatto con i prodotti dell'homo faber a fastidioso peregrinare e ad implacabile calvario nel sociale quotidiano, diventa ispirazione mezzo e, al contempo, scopo - motivo comune.
Nella prima parte Moretti gironzola in motoretta per la Roma deserta di ferragosto. Scopre case, dopo aver cercato con intelligenza e affetto il modo con il quale guardarle. E sotto sotto, con un linguaggio cinematografico di deliziosa semplicità, ne disegna una loro storia critica. È la parte che mi è piaciuta di più: non solo perché, evidentemente, mi ha detto qualcosa, ma perché, a mio parere, ha detto qualcosa in più di quel che già sapesse a Moretti stesso. Ne costituisce, insomma, un risultato evolutivo e, cosa rara nel cinema, non è una stilizzazione di quanto l'autore aveva già conseguito e accumulato nelle opere precedenti. Nella seconda parte Moretti recupera un amico che dice di aver rotto con il mondo e va per isole - in cerca di un posto dove poter scrivere qualcosa di buono. Nonostante la varietà dei temi toccati o adombrati (l'artificiale e il naturale, la televisione, i genitori «da figli unici», i bambini padroni del telefono, etc.) è la parte più organica e compatta. Per chi sa godere della mestizia caustica, è anche la parte più morettiana, o, comunque, quella che in ogni caso, precedenti alla mano, gli sarebbe ascritta. Nella terza parte Moretti racconta di una propria malattia. Più della faticosa scoperta di una diagnosi che d'altro. Terapia e guarigione rimangono nel personale, di certo più di quel dramma sociale che è la diagnosi, ove l'individuo, già contrastato e avvilito dalla malattia, si trova ad aver a che fare con l'istituzione - che già nel negargli l'individualità e ridurlo a fenomeno probabilistico e statistico tende ad ucciderlo. Credo che ben di rado o forse mai, nel cinema, il tema sia stato trattato con tanto garbo e tale discrezione. Moretti ha la capacità di non speculare, neppure su se stesso. Leale e sufficientemete rancoroso nei confronti di un mondo ove della lealtà non si sa che farsene, Moretti sa emendare ogni sequenza rappresentata ed ogni parola detta di qualsiasi accenno di retorica. Concessa una pausa di meritata serenità al gironzolio, il film si conclude al bar, dove Moretti si gusta un «buon bicchiere d'acqua fresca» dal quale, senza distaccare le labbra, ci congeda con uno sguardo. Nell'intensità e nella tenace luminosità di quello sguardo c'è fierezza di vita, soddisfazione di sé e amore «nonostante tutto» dell'altro da sé - tanto che quel Diario da intimo e privato che era, vien messo a disposizione un po' di tutti noi. C'è, soprattutto, in quello sguardo, una forte convinzione d'intesa che sarebbe da imbecilli deludere.

P.S.: Non mancano, in Caro diario, le bordate sacrosante contro la Critica Cinematografica. C'è perfino la tortura di un critico tramite la lettura delle sue stesse parole pubblicate su di un giornale. Non so se Moretti voglia riferirsi soltanto ad una «cattiva critica» (stupida, insulsa, prezzolata, destituita nel suo fare e dire di ogni fondamento scientifico, etc.) o, piuttosto, alla critica «tutta», in quanto storica nicchia parassitaria in seno alla storica nicchia parassitaria degli intellettuali (e poi, ovviamente, fra l'altro anche stupida, insulsa, prezzolata, destituita nel suo fare e dire di ogni fondamento scientifico, etc.). Grossomodo, mi sembra che nei suoi film una precisazione in tal senso non l'abbia ancora data. Sia come sia, uno come me, uno che propende più per la seconda versione - dopo aver scritto quanto sopra - si dovrebbe trovare leggermente in imbarazzo. E invece no. Perché so che quanto espresso vale, al massimo, per me. Come il lettore accorto ben sa, qui, la «critica cinematografica» c'entra solo di straforo - come gesto di libera convivialità -, ma, di norma, il piatto forte è costituito dalla paziente indagine e dalla conseguente denuncia di quei valori che, surrettiziamente, vengono inoculati agli spettatori, per Ragion di Stato e anche così, tanto per far vittime.