Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 24 nr. 209
maggio 1994


Rivista Anarchica Online

Autogestione nella scuola

La prospettiva di intervento libertario nella realizzazione di spazi autogestiti, che prefigurino una organizzazione del sociale «non statuale», acquista nel dibattito sul «municipalismo libertario» una dimensione quanto mai concreta e non priva di sollecitudini per chiunque operi nel «sociale» da tempo.
Chi, come lo scrivente, dagli anni del sessantotto al movimento del '77 ha partecipato della grande fase di rinnovamento, soprattutto ideologica e rivoluzionaria, non può non essere passato indenne da un certo sfrondamento di miti e rituali della «sinistra», che hanno finito per mettere in ombra la reale carica rivoluzionaria e autogestionaria che quegli anni hanno comunicato.
Né quel movimento poteva in assoluto collocarsi sul «politico», né tanto meno sul sindacale, o tanto più sul «pedagogico», sebbene proprio sul finire degli anni settanta abbiamo visto il maturarsi di una serie di esperienze cooperative che saltavano a piè pari i movimenti politici organizzati e la pura azione sindacale, in cui s'andavano cimentando gli ex-rivoluzionari.
Per un libertario, ovvero per chi ha maturato una certa tradizione anarchica, lo scetticismo verso l'azione politica organizzata è stata pur sempre una costante, così come la militanza esclusiva nel sindacato.
Per molti tuttavia non è stato facile comprendere che l'azione libertaria potesse svilupparsi al di là dei movimenti politici, sia pure federali o decentrati. Ma non è scopo di questo articolo entrare nel merito della militanza politica o meno, anche alla luce della situazione più generale delle vicende elettorali; più utile mi pare porre l'accento sulle più recenti iniziative di «azione diretta», dalla conquista di spazi di autogestione, alla realizzazione ex-novo di servizi sociali, alla esperienza di cooperative di autoproduzione e commercio, per dare un contributo al dibattito sul «municipalismo libertario» .
C'è da rilevare in effetti una costante, sia nelle lotte condotte per i servizi sociali autogestiti che per le pratiche di «autogestione» nella scuola. Laddove l'azione libertaria si è impadronita di spazi che lo stato «sociale» ha abbandonato o snobbato, la partecipazione e l'impegno libertario hanno trasformato questi spazi in autentiche forme di autogoverno, sebbene, ripetiamo, trattavasi di speranze condotte in «pezzi» dello stato sociale andati a male ... Inviterei a una franca e serena riflessione su questo aspetto dell'azione libertaria: quanto più lo stato assistenziale abbandona i suoi spazi di «garanzia», tanto più c'è la possibilità per i libertari di appropriarsi di realtà che aspettano un totale capovolgimento di relazioni e finalità. Asili nido, case di riposo, centri sociali, ambulatori, corsi di formazione, patronati, consultori, comitati di quartiere, e così via per una sequenza ininterrotta di strutture fatiscenti dello «stato sociale» in declino, che né la sinistra tradizionale è in grado di sostenere per le note vicissitudini del mercato, né tanto meno la destra berlusconiana o revanscista hanno interesse a tutelare.
Questa opportunità, che non è né nuova né sorprendente per chi opera nel sociale, mi permette di approfondire un aspetto di questa prassi che si ricollega direttamente a un tipo di attività non direttamente né politica né sindacale. Mi riferisco a una attività che presenta più i connotati di «pedagogia permanente» o di volontariato (cooperativo), che però non va identificato o sovrapposto con quello cattolico.
Il settore dell'educazione, la scuola, offre spazi di autogestione fino ad oggi rimasti nell'ombra, considerato che per un rivoluzionario l'istituzione scuola è stata pur sempre fenomeno di indottrinamento e servizio reso allo Stato, tout court.
Se tuttavia osserviamo la fatiscenza e la degradazione sempre più costante cui vengono sottoposte le istituzioni culturali, seppure configurate nella logica dello Stato, ci accorgiamo che non solo l'edificio scolastico e i sussidi su cui esso si regge stanno facendo una brutta fine, ma una serie di «agenzie educative» nate per sorreggere lo «stato sociale» stanno per essere chiuse o trasformate in strutture di tipo «produttivo». Mi riferisco a realtà quali teatri, musei, biblioteche, archivi, laboratori culturali, corsi professionali, distretti scolastici, sedi di comitati di quartieri ed altre che di per sé possono costituire una formidabile leva educativa e «cooperativa», se opportunamente utilizzate da chi crede nell'azione educativa di base.
Ad esempio i musei. Quasi tutte le città d'Italia, dove esistono musei di una certa importanza, si stanno dotando delle cosiddette «sezioni didattiche» o laboratori di sperimentazione didattica, vere e proprie realtà scolastiche
decentrate sul territorio: i bambini imparano a fare scuola a diretto contatto con il territorio e gli oggetti concreti, fatto pedagogico meritorio di per sé - si dirà - ma direi anche rivoluzionario, se si considera che l'impegno in questo tipo di agenzie educative non è coercitivo ma liberamente scelto dagli insegnanti che provano a fare scuola in modo diverso. Il discorso vale pure per le biblioteche, per le associazioni culturali che operano nel quartiere, verso cui si indirizzano numerosi presidi o direttori didattici, con la stipula di convenzioni o prestazioni temporanee d'opera. Il discorso non sembri eccessivamente «riformista»: le istituzioni non sono pronte a una didattica «alternativa» sul territorio, gli insegnanti sì! Lo sono fin da quando sui banchi di scuola erano loro i primi ad annoiarsi per una didattica che li induceva a fantasticare anziché a mettere in pratica ciò che studiavano. Per gli anarchici l'integrazione di attività intellettuale e verifica nel sociale (manuale) è stato uno dei canoni pedagogici di base!
Il punto è che istituzioni come i musei, le biblioteche, le associazioni culturali di quartiere sono realtà di potenziale orientamento, formazione professionale e apprendistato, nelle versioni migliori, ovviamente, in cui lo «stato sociale» le ha prefigurate (laboratori di restauro, aule didattiche ecc.).
Questa è una provocazione che lancio, un modo di collegare le istanze libertarie di educazione con le istanze rivoluzionarie di orientamento professionale e «mobilità parallela». Ovviamente l'educazione cui noi miriamo è quella che punta all'autogestione delle risorse economiche e culturali del territorio; ma non è forse dai beni culturali e ambientali che può partire questa scommessa? Il municipalismo libertario oggi non coinvolge forse i servizi sociali, le strutture educative, la formazione «permanente» del cittadino?

Claudio Paterna (Palermo)