Rivista Anarchica Online
Scosse di assestamento
di Maria Matteo
La vita, si sa, è piena di incertezze per tutti ed è difficile per
ciascuno vedere realizzati
i propri progetti, aspirazioni, speranze. Tuttavia può capitare di afferrare talora il numero
fortunato. In questo primo scorcio del 1995 non possono esservi dubbi su chi abbia colto
la combinazione vincente, facendo saltare il banco della roulette grazie all'insediarsi del
governo Dini, che è riuscito ad avverare i sogni di ogni buon esponente della
confindustria: un governo di destra, con un programma economico liberista, appoggiato
dalle sinistre. Niente male, non c'è che dire. Se la politica fosse una lotteria e i ruoli
venissero stabiliti dalla sorte, non ci resterebbe che stare a guardare per vedere a chi
capiterà la mano migliore la prossima volta. Tuttavia i giochi politici non sono mai così
semplici e, per quanto confuso sia il quadro, occorre comunque cercare un codice di
lettura di avvenimenti che non di rado hanno finito col mettere in scena un vero e proprio
psicodramma. Nel corso dell'estenuante diretta televisiva del dibattito sulla fiducia al governo Dini,
probabilmente i più si saranno soffermati sulle sceneggiate allestite ad arte da Berlusconi
e Bossi, indiscutibili maestri nell'arte di eccitare le opposte tifoserie in un clima rozzo,
violento e volgare tipico degli stadi. Mancavano solo le coltellate che, significativamente,
proprio in quei giorni hanno portato alla morte di un ragazzo in uno stadio vero, quello
di Genova.
Involontario merito Suppongo che ben pochi abbiano notato l'intervento del
senatore Carpi, esponente di
Rifondazione Comunista che, in dissenso con il proprio gruppo parlamentare, ha fatto
una dichiarazione di voto favorevole al governo Dini. Un voto che, occorre precisarlo,
non era affatto necessario per il raggiungimento della maggioranza. Il discorso di Carpi,
i cui toni vibranti ed appassionati erano enfatizzati dal pathos connesso con la propria
posizione di dissidente, ruotava intorno ad un unico perno: Dini merita la fiducia perché
ha fatto un governo senza Berlusconi. Di fronte a questo dato diviene irrilevante persino
il ruolo che lo stesso Dini ha svolto nel precedente governo, un ruolo che ne aveva fatto
il principale bersaglio polemico delle grandi manifestazioni popolari dello scorso
autunno. Il senatore Carpi ha l'involontario merito di aver chiarito senza mezzi termini
qual è stato il nodo intorno al quale si è dipanato lo scontro, che si è concluso con
quell'incredibile aberrazione politica che è il governo presieduto da Lamberto Dini. Occorre a
questo punto chiedersi perché il povero Cavalier Berlusconi sia divenuto la
posta in gioco di una tale singolar tenzone, perché la sua tutto sommato modesta figura
abbia catalizzato tante energie e passioni. Indubbiamente il buon uomo una parte
significativa l'ha pur recitata quando, dopo lo sgretolarsi della maggioranza che lo
sosteneva, ha baldanzosamente preteso elezioni immediate. Insomma: dopo di me il
diluvio, o elezioni di morte. Tuttavia, per quanto il nostro possa aver ecceduto nell'identificarsi nel
personaggio di
uomo della provvidenza, era difficile immaginare che la coalizione di cui è il fulcro si
spingesse al punto da non accettare la benché minima mediazione. E' necessario a questo punto fare
un passo indietro, ripercorrendo i passaggi più
significativi della carriera lampo di Sua Emittenza. Poco più di un anno fa, prima della
scesa in campo del buon Berlusca, era molto difficile immaginare che le destre
riuscissero a costruire una coalizione politica capace di capitalizzare un'area di consenso
ampia ma frammentata. Berlusconi, imprenditore ormai orfano della preziosa tutele
craxiana, si candida ad assumere una leadership di tipo carismatico in grado di fungere
da collante tra i diversi interessi rappresentati dalla lega e dai missini. L'operazione,
usuale in paesi come gli Stati Uniti ma del tutto inedita in Italia, riesce alla perfezione
ed il 27 marzo i due poli, quello della libertà e quello del buon governo, fanno man bassa
di voti. Il passaggio dalla prima alla seconda repubblica pareva ormai consumato. Risulta oggi evidente che
il movimento era stato troppo brusco e come ogni terremoto
che si rispetti anche il "nuovo che avanza" necessitava di numerose e non indolori scosse
di assestamento. Il vecchio sistema dei partiti si reggeva su due cardini fondamentali:
identità forti cementate da un robusto tessuto ideologico ed un'ampia e ramificata rete di
clientele. La combinazione di questi due elementi garantiva il mantenimento di aree di
consenso piuttosto stabili. E' indicativo di ciò che nei quasi cinquant'anni di vita della
prima repubblica i flussi si siano mantenuti stabili. Persino in momenti di particolare crisi
e tensione le emorragie di voti tra un partito e l'altro sono state sostanzialmente
irrilevanti. La crisi di questo modello è stata tropo rapida per consentire il costituirsi immediato di
un sistema politico altrettanto solido.
Semplificazione dello scontro politico Il declino della politica ideologica,
già evidenziatosi negli anni '80 con il craxismo, ha
subito una brusca accelerazione col mutare del contesto internazionale seguito alla
repentina fine dei regimi comunisti nell'est europeo. Se a ciò si aggiunge che l'elefantiasi
del sistema delle clientele che costituiva l'ossatura dei partiti, diventata ormai
insostenibile, ha finito col frantumarsi, il quadro è completo. Il crollo del muro di Berlino
più tangentopoli ha prodotto una miscela micidiale ed esplosiva. La democrazia cristiana,
fulcro della prima repubblica, è stata scossa da un violento movimento centrifugo e si è
spezzata in vari tronconi non del tutto stabili; liberali, socialisti e repubblicani son ostati
letteralmente spazzati via da tangentopoli; il PCI si è diviso in due; i fascisti si sono
scoperti una vocazione liberalconservatrice del tutto insospettabile. Le riforme elettorali, che hanno segnato
il passaggio da un sistema elettorale
proporzionale ad uno maggioritario, hanno rappresentato il tentativo di giungere ad una
semplificazione dello scontro politico capace di produrre compagini governative
durature, sostenute da aggregazioni politiche la cui coesione fosse garantita dalla
diminuita influenza delle varie clientele. Infatti, alla volontà di ridurre drasticamente
l'influenza statale in settori quali l'istruzione, la previdenza, la sanità, andava correlata
l'intenzione di limitare il ruolo dei partiti. Le cose però non sono andate per il verso giusto: il
governo presieduto dal cavalier
Berlusconi non è durato che sette mesi, poiché l'alleanza che lo sosteneva non si è
mostrata particolarmente solida. Forza Italia, un partito modellato sull'azienda, la cui dirigenza è
assunta per cooptazione
dall'alto e che riflette la propria immagine in quella del lider maximo, s'è dovuta adattare
alla funzione di refugium peccatorum della prima repubblica e non è riuscita a prolungare
il proprio ruolo di ago della bilancia tra missini e leghisti oltre la campagna elettorale.
La Lega, consapevole di recitare la parte del vaso di coccio, ha fatto saltare il governo. Nonostante il totale
fallimento della propria impresa, Berlusconi mantiene ed addirittura
rafforza la sua immagine carismatica. Si spiega così la volontà forsennata del Cavaliere
e di Fini di giungere ad elezioni immediate, sia la tenacia delle opposizioni
nell'opporvisi. A questo punto qualsiasi (o quasi) governo sarebbe stato bene accetto al
PDS e ad alcuni settori di Rifondazione, purché non fosse presieduto da Berlusconi. Per
gli stessi motivi nessun governo poteva essere gradito a Forza Italia ed Alleanza
Nazionale se Berlusconi non ne era il capo. Sapremo nelle prossime settimane se il governo Dini sia o meno
destinato a durare:
bisognerà attendere che le acque si calmino nella Lega e nel Partito Popolare. Molto
dipenderà anche dai risultati dell'imminente tornata elettorale regionale. Non si può inoltre
escludere che l'emergere di Prodi come candidato di punta di un
assembramento di centro-sinistra fornisca agli oppositori del Cavaliere il fiato necessario
ad affrontare la volata elettorale se non a giugno, ad ottobre. Un manager di stato contro un imprenditore:
una scelta che, per quanto ai miei occhi paia
quella classica tra la padella e la brace, non manca della valenza simbolica utile ad
accendere la fantasia delle varie tifoserie.
I danni di Dini Al momento un solo dato mi pare abbastanza sicuro: il
perdurare della difficoltà di
costituire un polo di centro-destra ed uno di centro-sinistra che sappiano esprimere delle
maggioranze stabili. La stessa santa alleanza tra Forza Italia e Alleanza Nazionale, che i sondaggi
assicurano
perfettamente capace di sopportare la rottura della Lega, dovrà necessariamente
affrontare alcuni importanti nodi irrisolti. Il baldo Fini ha impiegato cinque giorni a
sciogliere l'MSI, trasformando i fascisti in conservatori ed i corporativisti in liberisti:
un'operazione pulita e pressoché indolore, nonostante la fuga di un piccolo manipolo di
rautiani. Bisognerà tuttavia verificare sino a qual punto la vocazione liberista del
condottiero di Alleanza Nazionale reggerà l'impatto con quel ceto parassitario e
clientelare che, transfuga dalla Democrazia Cristiana, specie al sud ha decretato le
fortune elettorali di AN. L'area di centro-sinistra pare navigare in acque anche peggiori: ammessa e non
concessa
la scissione dal PPI, ammessa e assolutamente non concessa la simpatia leghista e
l'adesione di Rifondazione, il gruppo che Prodi si candida a guidare non apre troppo
coeso. Potrà, è vero, godere di alcuni vantaggi non irrilevanti: primo tra tutti il sostegno
di buona parte della confindustria e dei sindacati, per i quali Romano Prodi è garanzia
sia per le privatizzazioni sia per il mantenimento di un minimo di ammortizzatori sociali,
ossia di quel liberismo con vaselina che che i fallimenti di Berlusconi rivelano
indispensabile in un momento di delicata transizione come l'attuale. Al momento
possiamo però essere certi che, per breve che sia il suo mandato, Dini non mancherà di
far danni. Finanziaria bis e pensioni saranno i terreni sui quali potremo verificare questa
mia non troppo ardita ipotesi. Il quadro politico sin qui descritto non è evidentemente uno dei
più rosei e fa da
contrappunto ad un clima sociale e culturale non meno agro: la caccia all'immigrato sulle
strade del litorale romano, le aperture di D'Alema agli integralisti cattolici in materia di
aborto, bioetica, diritti dei gay sono segnali della sempre maggiore pervasività della
cultura di destra. E' evidente che la partita dei libertari non potrà che giocarsi altrove, oggi
più che mai al
di fuori dai labirinti della politica istituzionale e dei suoi mostruosi trasformismi.
|