Rivista Anarchica Online
Il fascismo come illusione e consolazione
di Carlo Oliva
Dimostrare la non attualità del fascismo e inferirne, più o meno
in buona fede, la futilità di qualsiasi residua
pregiudiziale antifascista è, notoriamente, la cosa più facile del mondo. Come esercizio
storico-retorico è
davvero alla portata di tutti. Tutti sanno che il fascismo, inteso come movimento storico organizzato, è
stato
sconfitto con la seconda guerra mondiale, mezzo secolo fa, e che da allora è sopravvissuto in forme
residuali,
la più importante delle quali, quella del falangismo spagnolo, si è autodissolta ormai da
vent'anni. E se nel
frattempo non sono certo mancate nel pianeta esperienze di governi autoritari e nazionalisti, in Europa (Grecia)
e altrove, bisogna ammettere che, in genere, le loro tipologie non sono riconducibili direttamente al modello
fascista, e che sostanzialmente estranei a quel modello vanno considerati i vari regimi militari che hanno afflitto
e affliggono la maggior parte dei paesi ex-coloniali e quelli dell'America Latina. Altrettanto lontane dalla
nostra esperienza (e dalla cultura contemporanea) sembrano le componenti ideologiche
di quel movimento. Certo, il nazionalismo, che ne rappresenta una delle matrici più importanti, continua
a
mietere vittime, alimenta, anzi, forme sempre più efferate di fanatismo, ma è abbastanza facile
dimostrare che
le sue manifestazioni attuali rappresentano, in sostanza, degli sviluppi affatto moderni. Il nazionalismo
contemporaneo, da un lato, tende a confondersi con il tribalismo e l'integralismo, si tinge di motivazioni
millenaristico religiose che il fascismo, in sé, non ha mai conosciuto, e dall'altro, in un'epoca in cui
sembrano
avviarsi in qualche modo a soluzione le questioni nazionali «storiche» (l'irlandese, la tedesca ... ), rivive in
forma - a sua volta - residuale, alimentando, malinconico e sanguinoso appannaggio delle «piccole patrie»
dimenticate dalla storia, le illusioni di chi, nei Balcani, nel Caucaso, in Asia Centrale o altrove, si illude di poter
approfittare della fine dell'equilibrio bipolare per affermare una propria (presunta) identità. Il
nazionalismo
fascista, in fondo, si poneva come principio ordinatore a livello planetario (aspirava, né più
né meno, alla
conquista del mondo): oggi l'ordine mondiale, se non proprio dominato, come diceva non ricordo più
chi, dallo
Stato Imperialista delle Multinazionali, è sicuramente più integrato a livello economico e
politico di quanto non
sia mai stato a memoria d'uomo. Poco, pochissimo, infine, sembrano avere a che fare con noi le varie
sfumature di irrazionalismo superomistico
cui il fascismo, non sempre esplicitamente, si è richiamato. Una constatazione, in definitiva, abbastanza
ovvia
per chi riflette su come l'Übermensch, stringi stringi, sia nato come rifiuto dell'incipiente
società industriale e
come la polemica contro le sue forme organizzative di massa caratterizzasse i vari elitismi degli anni '20 e '30.
Oggi, naturalmente, il modello della società di massa è?fuori discussione e quando lo si discute
lo si fa da
tutt'altro punto di vista. Sarebbe azzardato affermare che nella nostra società le tendenze
irrazionalistiche siano
state definitivamente sconfitte, ma almeno il principio dello slancio vitale tende a presentarsi sotto le forme del
fondamentalismo ecologico più che sotto quelle dell'aggressività istituzionalizzata. Eppure,
è difficile sfuggire all'impressione che tutti questi ragionamenti siano, come dire, piuttosto futili. A
partire, naturalmente, dall'ultimo: il fascismo, per quanto elitista si sia dichiarato, non è mai stato
né estraneo
né antagonista alla società industriale; ne ha rappresentato, piuttosto, una delle possibili varianti
ideologiche
(e come tale è stato vissuto e denunciato dal grande pensiero conservatore non fascista). E' stato il primo
regime
che ha saputo utilizzare ai propri fini gli strumenti di comunicazione di massa, integrandoli nei propri
meccanismi di costituzione del consenso. E' stato, in un paese per certi versi arretrato com'era l'Italia del primo
dopoguerra, portatore di un'esplicita volontà di modernizzazione, che prevedeva una qualche (inedita)
forma
di integrazione globale delle componenti sociali. Ha rappresentato una possibilità di strutturazione
sociale non
incompatibile con le modalità di produzione proprie del capitalismo. E nella misura in cui i problemi
che lo
hanno fatto nascere restano ancora aperti la rappresenta ancora.
Il crescente successo di Alleanza Nazionale Il
fascismo, come si diceva una volta, è sostanzialmente una sovrastruttura: oggi potremmo limitarci a
definirlo
un sistema ideologico. In quanto tale si fonda su un principio consolatorio. Offre alla piccola e media borghesia,
che ne ha sempre rappresentato la base sociale, un'illusione di superiorità sugli strati sociali «inferiori»,
una
superiorità, naturalmente, che né l'organizzazione della produzione né quella del
mercato sono in alcun modo
in grado di garantire, o semplicemente di giustificare. Inserisce il principio elitista in una struttura gerarchica,
permettendo a quanti vi ci si riconoscono di considerarsi affrancati dai vincoli che ritengono necessari per gli
altri: promette ai singoli una libertà che nega alle masse. E' una contraddizione, certo, ma la si supera
facilmente, perché una simile pretesa «libertà» non si fonda su quella comune, come vuole il
principio
democratico, ma s'identifica con la possibilità (e la liceità) di tenere sotto controllo gli
antagonisti sociali. In
questo senso sembra risolvere una contraddizione che turba da sempre i sonni degli appartenenti alla
middle
class: quella tra la consapevolezza di essere ormai definitivamente integrati in una struttura produttiva
che al
singolo non lascia certo grandi margini di autonomia e la volontà di svincolarsene in nome di una
propria
asserita o tramandata «superiorità». Di classe, di razza, di nazione: non importa, purché sia una
superiorità
asseribile e in qualche modo riconosciuta. In cambio di questa illusione è quasi ovvio che chi ne fruisce
sia più
o meno inconsapevolmente disposto ad assicurare obbedienza incondizionata a chi comanda davvero. In
questo senso, l'ipotesi fascista è fin troppo attuale in una società venata da tali e tante tensioni
come la nostra.
E non a caso raccoglie tanti consensi, perché nessuno sarà tanto ingenuo da credere che il
successo crescente
di un partito come Alleanza Nazionale sia consequenziale alla dichiarata volontà dei suoi dirigenti di
recidere
i legami con certi aspetti della tradizione fascista, per erigersi in partito conservatore «rispettabile». Di partiti
conservatori rispettabili, sulla piazza, ce ne sono fin troppi. Ma anche i neofascisti più accorti,
naturalmente,
sono consapevoli della sconfitta storica del loro movimento, non hanno intenzione di perdere tempo in futili
revanscismi e sono disposti a una certa dose di maquillage: a recitare il mea culpa su
un certo numero di
«errori», a considerare «chiuse» certe esperienze, a rinunciare alle legioni romane, all'impero sui colli fatali
e
persino, chissà, alla fiamma tricolore che si sprigiona dal catafalco del Duce. Ciò a cui non sono
disposti a
rinunciare, perché rappresenta la fonte stessa delle loro fortune politiche, è l'ipotesi di una
società
gerarchicizzata, in cui sia istituzionalizzata la non eguaglianza dei soggetti. Una prospettiva che, per essere,
ab
origine, altamente ideologica, non è meno pericolosa, altro non significando che la chiusura, per
via
amministrativa (e, potenzialmente, repressiva) di ogni ipotesi democratica. E scusate se è poco.
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