Rivista Anarchica Online
Frammenti di anarchia
di Franco Bunçuga
Lo scorso giugno è morto Carlo Doglio, architetto, urbanista, anarchico. Era nato a Cesena il 19 novembre
1914. Una figura atipica, originale, che ha lasciato un'impronta significativa. Lo ricorda in queste pagine
Franco Bunçuga, che ne è stato allievo
Ogni tanto appaiono nella vita, agli incroci dei destini possibili, delle persone che
trovi istintivamente
familiari e ti indicano la via, con il loro aiuto, con l'esempio, o semplicemente con la loro presenza ed il loro
fascino, o con un qualche ammiccamento segreto che al momento non capisci, che forse anche dimentichi, ma
che fa germogliare dentro di te, lentamente nel tempo, frammenti di realtà impreviste. Qualcuno evita
questi incontri, o meglio irrigidisce i muscoli del collo e del trapezio per non girarsi e tirar
dritto se proprio incrocia la strada di simili personaggi. Molti giurano che tipi così non
possono esistere e si
mettono il cuore in pace. Io ho avuto la fortuna di incontrarne e riconoscerne alcuni: Carlo Doglio è uno
di
questi. Era Venezia nel '71 quando assistetti alle prime "lezioni" di Carlo Doglio, mio docente di Urbanistica
1.
Studente del terzo anno di Architettura avevo già visto di tutto: libretti coi voti di storia dati a caso, ma
con
ordine: 28, 29, 30, 28, 29, 30 distribuiti a pacchi in corridoio da bidelli potenti e sorridenti e l'esultanza di chi
col "totovoto" aveva preso 30 senza veder in faccia l'insegnante; docenti di composizione chiedere quale sia il
monumento antico piramidale più famoso - unica domanda d'esame - e sbattere in faccia a uno studente
un
po' imbarazzato un bel trenta con ostentato entusiasmo; docenti di scienza delle costruzioni chiedere del
quinto libro del capitale, altri picchiati o sequestrati in stanzini per non contare occupazioni, marce a
Marghera, scontri con polizia, ecc. In quanto a rivoluzionari avevamo già dato e non eravamo tipi
da meravigliarci di qualche stranezza dei
docenti, classe in via di proletarizzazione. Però...Doglio comincia a far "lezioni" o meglio
"passeggiate mentali" insieme a noi allievi su cosa...non è
l'Urbanistica! Analizza cos'è l'Urbanistica degli architetti-urbanisti e dice che non è
esattamente quello l'Urbanistica, poi fa
una lezione sulla Urbanistica dei sociologi e non si dimostra soddisfatto, sull'Urbanistica degli economisti e
poi...ci dichiara candidamente che lui non è urbanista, è laureato in diritto e che dopo tante
esperienze con
architetti e urbanisti nella pratica di lavoro ancora non è soddisfatto di nessuna teorizzazione della
disciplina.
E poi ci fa capire che è contro le teorizzazioni, che descrivere la vita del territorio vuol dire parteciparvi,
che
qualsiasi disciplina cede di fronte alla complessità della vita e ci racconta di autori e maestri - molti del
mondo anglosassone - che non mi abbandoneranno mai: Patrick Geddes, Lewis Mumford e soprattutto Piotr
Kropotkin. Patatrac, comincio a leggere i classici anarchici, tutto quello che trovo - poco - di Kropotkin e
vengo a sapere
che Doglio è militante del movimento anarchico che all'epoca assolutamente non conoscevo,
divertendomi di
più a fare l'individualista e un po' l'hippy. Nel clima '68esco di quei giorni mi affascinò un docente
che non
parlava di valore dell'urbanistica usando come riferimento i metri cubi e il colore dei retini, né dava
formule
marxian-rivoluzionarie o populiste per risolvere a tavolino qualsiasi problema del territorio, diceva soltanto
che cosa non si deve fare: ci dava delle norme proscrittive non delle prescrizioni, non era malato di sindrome
di onnipotenza divina come quasi tutti gli urbanisti che sanno benissimo come dovrebbe essere il mondo fin
nei più piccoli particolari e come dovrebbe comportarsi ciascuno di noi. Avevo trovato qualcuno che mi
parlava di una forma anarchica del territorio che era in armonia col mio carattere: troppo pigro e curioso per
essere un tecnico efficiente, troppo libero per essere un apparatnick di qualche sinistro partito di
sinistra. Attraverso l'architetto Giancarlo De Carlo, anche lui anarchico, Carlo Doglio era entrato nel mondo
dell'architettura e si era poi anche occupato di urbanistica. Grazie a questa esperienza, dopo la guerra lavora
con Adriano Olivetti, proposto dall'arch. Quaroni, e dirige il Giornale di Fabbrica di Ivrea e nel 1952 vince un
premio dell'Istituto Nazionale di Urbanistica per una monografia sulla Città Giardino, da cui dal '53 in
poi
nasceranno le puntate sull'argomento sulla rivista Volontà, che raccolte in un opuscolo diventeranno
L'equivoco della città giardino, uno dei testi fondamentali dell'urbanistica contemporanea che
diventerà "un
'classico', se posso dire così (e ridendo), di cultura urbanistica in Italia, usato da chiunque ne ha scritto
di
poi..." come lui stesso ironicamente faceva notare. Ebbi modo poi varie volte di incrociarlo, per motivi di
comune militanza, per interessi affini, quasi sempre in
circostanze "magiche" o che ben presto lo diventavano. Devo a lui alcuni dei miei viaggi più belli
e dei miei amici più cari che ho ri-conosciuto in luoghi e tempi
diversi grazie a quel marchio comune che si rintraccia in chi è stato suo allievo: quella particolare, poetica
visione della disciplina che solo lui sapeva trasmettere, si attacca sotto la pelle e lentamente lavora e si
deposita in qualche angolo anche di chi in seguito ha preso strade completamente diverse. Ho sentito dire da
più di un suo ex-allievo che lui era inaffidabile, che no garantiva (poteva o voleva farlo?)
una carriera ai suoi assistenti, che si era disperso in mille rivoli e non riusciva a dare organicità alle sue
pur
geniali intuizioni, che aveva frequentazioni e accettava collaborazioni non sempre in armonia coi suoi ideali,
ecc. In quasi tutti vedo ancor oggi grandi tracce del maestro e nel bene e nel male tutti continuano a portarne
in giro la maschera e la grande umanità. Quasi tutti i suoi ex-allievi che conosco sono rimasti anarchici,
o
almeno si sentono parte di un filone di architetti e urbanisti che affonda profondamente le proprie radici in
quei pensatori inglesi e nei grandi maestri anarchici che Doglio per primo ha introdotto organicamente in
Italia e proposto come docente a Venezia, Bologna, Palermo e dovunque abbia portato la propria
testimonianza. William Morris diceva che "destino di ogni vero rivoluzionario è lottare per un'idea
che altri dopo di lui
porteranno avanti in modo completamente diverso". Da questo punto di vista Doglio è stato una figura
emblematica: entrava a fondo nelle questioni di cui si occupava, sempre in modo creativo e coinvolgente,
riusciva a trascinare il gruppo ed a trasmettere con la profonda ironia del suo discorso e l'efficacia delle sue
invenzioni l'entusiasmo che lo pervadeva e poi...non capitalizzava, non si ritagliava fette di potere, non
formava schiere di discepoli replicanti per diffondere acriticamente il suo verbo. In poche parole rispettava
profondamente gli "altri", non vedeva le gerarchie, non le riconosceva e no le creava: noi studenti,
coinvolti
dal suo avvolgente dialogo socratico, ci sentivamo sempre suoi pari, e l'impressione che mi resta dal rapporto
con lui è di "aver sempre fatto le cose insieme", mai di aver ricevuto degli ordini. Per molti
sentirsi rispettai
come "uguali" suona di fregatura, soprattutto quando si cerca uno "sponsor", cosa ovvia e abituale
nell'ambiente universitario. Doglio come veniva spariva, la sua attenzione e i suoi interessi variavano e
dimenticava problemi, cose,
persone. Qualcuno avrà potuto scambiare questo atteggiamento per indifferenza e superficialità,
si tratta
invece di un modo di ritrovarsi ogni volta nuovo, pulito, di fronte all'evento, di considerare ogni situazione
nuova, ogni amore il primo e il più profondo, quello di vivere in modo totalmente coinvolgente,
riconoscere
che non si sono mai visti due tramonti uguali, ricevute due carezze identiche, avere il coraggio di ricominciare
ogni volta tutto da capo, non dare nulla di scontato. Leggere un testo di Doglio, o seguirne una lezione, voleva
dire "perdersi" (con tutte le accezioni positive che
ne dà il suo allievo Franco La Cecla nel testo omonimo) o accettare di fare un viaggio con lui, condividere
il
suo gusto per la scoperta. Mi ricordo un giorno in cui lo invitammo ad una conferenza ad Udine, camminando
con un gruppo di
compagni locali per le vie del centro storico Doglio fece alcune considerazioni sull'architettura del luogo:
"...quella torre campanaria sembra fuori luogo, i volumi di questa piazza richiederebbero un'altra
collocazione e dimensione, ciò mi dà un senso di spaesamento anche se non sono mai stato in
questa città...".
Con un certo imbarazzo l'organizzatore locale della conferenza gli ricordò: "...scusa Doglio ma
alcuni anni fa
io stesso ti ho accompagnato per le vie della città e...hai detto le stesse cose...". Doglio non
mostrò il minimo
imbarazzo e continuò a gustarsi la passeggiata. Durante la conferenza poi mise tutti a disagio con
una volontaria provocazione. "Senti Franco - mi disse - io
questa conferenza l'ho già pronta, registrata, falla ascoltare all'auditorio dal palco con un
registratore": lui
si sedette in prima fila a chiacchierare con una giovane amica e prima del dibattito si allontanò con lei.
Sempre fortemente provocatorio in tutte le sue azioni e sempre sensibile al fascino femminile. Mi ricordo
quando, durante un incontro a Bologna gli presentai la mia compagna di allora: vidi risvegliarsi
immediatamente il suo aspetto di vecchio gentiluomo. Fu un ospite perfetto per tutta la giornata e presentò
alla mia compagna Bologna nei dettagli come se la città fosse una vecchia signora sua amica. Sempre
passeggiando e chiacchierando. Ripensai a quella giornata quando, qualche tempo dopo, un amico docente
ed anche lui ex-allievo di Doglio
durante l'esame alla mia compagna le propose di uscire a cena...Dai maestri si impara più di quanto si
creda. Doglio amava passeggiare e discutere, ragionare, intrecciare ipotesi, trovare soluzioni e continuamente
elaborare i dati in modo nuovo. Le prime volte che andavo a trovarlo a Bologna, questo modo di discutere mi
intimidiva e mi spiazzava, per me discutere di cose "serie" si può fare solo attorno a un tavolo, la mia
concentrazione richiede un tavolo e delle sedie. Doglio amava coinvolgere in passeggiate, fisiche e mentali,
spesso in "deambulations" surrealiste o situazioniste: quando si cammina insieme la meta si trova
insieme ed
il percorso è sempre una scoperta; si parla camminando così non si fissa l'idea una volta per tutte,
non si
prendono appunti, non si è ascoltati di traverso da chi ci è vicino, si muta prospettiva in continuo,
dentro e
fuori, si è forse più sinceri perché tutto sembra più informale. Non
dimenticherò mai le passeggiate per Bologna con lui che ne conosceva gli angoli più segreti ed
i ritmi
sotterranei: ricordo come ci mostrò da uno sportello in un muro un canale all'aria aperta che scorreva sotto
di
noi, invisibile dalla strada, la visione degli alberi e delle colline attorno alla città da particolari punti in
piazze
o portici, le vecchie trattorie e osterie, i vecchi muri, architetture poco conosciute anche dai bolognesi, la
descrizione della storia di ogni strada, l'evocazione di luoghi ed edifici che non esistono
più. L'urbanistica per Doglio coincideva col grande amore e rispetto che sapeva provare per i luoghi
e le persone. Uno dei miei viaggi di studio più belli fu quello che mi portò alla ricerca delle
"carte" di Patrick Geddes e di
Kropotkin a Londra ed in seguito ad Edimburgo, su indicazione di Doglio. "Ci sono casse piene di lavori
di
Geddes mai catalogate e forse anche testimonianze della sua collaborazione con Kropotkin, le cui tracce ho
trovato durante i miei soggiorni inglesi, perché non vai a darci un'occhiata?". Ero studente e dopo
qualche
lavoretto estivo recuperai i soldi per un "charter" super-economico e capitai di notte, sperduto, a
Londra. Ricordo
ancora quando la prima volta mi presentai alla tipografia di Freedom, la famosa rivista anarchica londinese
dicendo: "Salve, sono un anarchico italiano, potete darmi una mano?". Mi ricordo la visione della
vecchia
tipografia, nera, centenaria, attraverso uno spiraglio della porta aperta da un vecchio compagno un po' diffidente,
subito richiusa con un perentorio "ripassa all'orario di apertura della libreria"; e ricordo la dolcezza
della
vecchia Mary che mi introdusse poi nella sede e come le si illuminarono gli occhi quando mi sentì
nominare il
compagno che mi mandava "...ah Carlo Doglio, l'anarchico italiano che restò per lungo tempo qui
con noi". Doglio, inviato dalla rivista Comunità abitò a Londra dal 1955
al 1960, dove ebbe un'importante attività di
editorialista, lavorò per la BBC, divenne membro della Fabian Society ed entrò nella
direzione della
International Society for Social Studies di Lelio Basso. E' di questo periodo la sua collaborazione
con
Freedom ed il movimento anarchico locale. Un'altra esperienza all'estero di cui sono in gran parte debitore
a Carlo Doglio è quella dei miei due anni di
servizio civile in Algeria. Potete immaginare quale fu la mia sorpresa quando a Roma, all'esame per
l'ammissione all'Università di
Algeri come insegnante mi trovai innanzi, senza averlo minimamente previsto, proprio lui, e come la mia
candidatura, dopo quel momento mi sembrò cosa fatta, come poi fu. Lo incontrai poi di seguito
più volte ad
Algeri nel corso della programmazione del corso universitario di cui facevo parte e conobbi molti dei suoi
collaboratori, alcuni dei quali sono ancora miei amici e rimangono anarchici. Già durante il suo
soggiorno a Londra Doglio si era interessato ai problemi dello sviluppo e del Terzo Mondo,
in Sicilia aveva collaborato con Danilo Dolci e a Palermo aveva collaborato con la CGIL sui programmi di
sviluppo territoriale, esperienza che continuerà ad Algeri all'EPAU (Ecole
Politechnique d'Architecture) nella
quale insegnai durante il mio periodo di Servizio Civile. Se non ci fosse stato lui ad introdurre tra gli
anarchici, soprattutto attraverso la rivista Volontà dagli anni
cinquanta in poi, i temi di urbanistica e architettura, i grandi temi della gestione del territorio sarebbero rimasti
completamente assenti dalla rielaborazione del nostro progetto di società. Non dimentichiamoci che Carlo
Doglio
oltre a rimanere nella storia delle discipline del territorio, farà sempre parte anche della storia del nostro
movimento, del quale fu militante in maniera attiva, partecipando ai grandi momenti di dibattito del
dopoguerra. Carlo Doglio era anarchico e poeta e da questi punti di osservazione cercava di descrivere e
migliorare
l'ambiente in cui viveva: l'urbanistica per lui fu sempre strumento per la progettazione di una nuova
società,
mai disciplina scientifica fine a sé, e l'insegnamento un modo per creare personalità libere e
creative, un
modo per realizzare frammenti di anarchia qui, subito e vederli germogliare sotto i sassi, tra le fessure dei
muri nelle città in cui ha abitato e amato.
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