Rivista Anarchica Online
In difesa della causa indigena
di Giovanni Alioti
Le esperienze e i modelli di organizzazione tradizionale indigena furono totalmente disprezzati dalla
civiltà
insediata in America, a partire dalla conquista europea. Ancora oggi non viene riconosciuta alla cultura indigena
pari dignità. La ragione è molto semplice: quello che hanno da offrire come popolo non ha valore
di mercato.
Questo spiega in parte le ragioni per le quali non si vogliono garantire agli indios le loro terre. La terra e le risorse
minerarie hanno più valore di mercato della vita e della cultura di questi popoli
Intorno al 1500, quando gli europei arrivarono nelle Americhe, la popolazione
indigena stimata era di 80 milioni
di persone. Sappiamo che molte erano le differenze tra i diversi popoli che abitavano il continente3. Si
parlavano quasi 2 mila
lingue differenti. Furono incontrati sia imperi con una accentuata struttura gerarchica e città densamente
popolate
(con un invidiabile progresso tecnologico), sia comunità egualitarie e senza Stato. Di questa
popolazione nativa, secondo il ricercatore ungherese Tzevetan Todorov, circa 70 milioni furono
decimati nei primi 100 anni di dominazione europea. Fu il maggior genocidio nella storia
dell'umanità, le cui cause furono varie: guerre, lavori forzati, epidemie,
deportazioni, confino, fame. Solo nel Messico la popolazione passò da 25 milioni a 1 milione e 250
mila persone. In Perù, la popolazione si
ridusse da 9 milioni a 1 milione. In Brasile, la popolazione indigena stimata in circa 5 milioni all'epoca della
conquista, è ridotta a meno di 300 mila persone. Ma questi sono solo alcuni numeri sullo sterminio fisico:
importante è far risaltare che lo sterminio fu accompagnato dalla negazione del modo di vita dei popoli
nativi e
dalla negazione delle loro culture, delle loro lingue, delle loro credenze e religioni. La storia di popoli indigeni
nelle Americhe fu, quindi, una lunga storia di morte, subordinazione, integrazione.
Ma fu anche una lunga storia di lotte, che vanno aldilà della resistenza degli indios contro il loro
sterminio. In molti momenti della storia di questo continente colonizzato, i popoli nativi hanno alzato la loro
voce contro
uno sviluppo economico che distrugge la natura ed emargina milioni di uomini, siano essi indios, neri, diseredati
o disoccupati.
La resistenza In nome del progresso, della
modernità e della fede, i tentativi di distruzione fisica e culturale dei popoli indigeni
proseguono con accanimento. "Oggi siamo aggrediti allo stesso modo di come lo furono i nostri
antenati: ci massacrano, bruciano i nostri
raccolti e le nostre case, rubano le nostre terre, militarizzano le nostre comunità, violentano le nostre
donne,
uccidono i nostri anziani - cancellando così la nostra saggezza e la nostra memoria storica -, usano la
religione
per dividerci, con la pretesa di renderci sottomessi e ubbidienti" (intervento di un'indigena guatemalteca
durante
le riunione del gruppo di lavoro dell'ONU sulle popolazioni indigene, a Ginevra nel 1988). In occasione della
visita del papa in Brasile nel 1991, i leader indigeni denunciarono che: "strade, centrali
elettriche, poli industriali di sfruttamento minerario, progetti militari nelle terre indigene, hanno come
conseguenza quella di seminare invasioni, malattie, miseria e morte (...) In nome della modernità, della
tecnologia e del progresso invadono i nostri territori, uccidono i nostri leader, avvelenano i nostri fiumi,
distruggono l'ambiente e ci trattano come una sub-razza, trasformandoci in stranieri nel nostro
paese". Oggi la lotta dei popoli indigeni incorpora nuove forme di organizzazione e mobilitazione.
Ciò che si vuole è la
difesa, il recupero e la garanzia dei territori indigeni, il recupero e la valorizzazione delle identità
etnico-culturali,
la conquista dell'autonomia. Negli USA i popoli indigeni, basandosi sui principi affermati dal Diritto di quel
paese, lottano per il rispetto dei
trattati firmati con i governi americani nel secolo scorso, che garantiscono le loro terre. Attualmente devono
incassare dal presidente Bill Clinton le promesse in favore dei trattai, fatte durante le elezioni. Nel Messico,
dal gennaio 1994, i popoli indigeni dello Stato del Chiapas sono stati protagonisti di una rivolta,
che ha scosso alle fondamenta i presunti regimi "democratici" e i modelli liberisti imposti ai paesi
latino-americani dai paesi ricchi. Gli indios, attraverso l'Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN),
hanno sorpreso il mondo per la loro
capacità politico-militare, dimostrata nel confronto diretto con il regime messicano. In mezzo ai negoziati
per il
Trattato del Libero Commercio tra Canada, USA e Messico, l'EZLN ha denunciato le gravi contraddizioni
sociali, politiche, economiche ed etniche in cui sprofonda il Messico. Oltre a rivendicare trasformazioni
democratiche e una maggiore giustizia sociale, l'EZLN chiede una particolare attenzione ai diritti dei popoli
indigeni attraverso il riconoscimento della loro autonomia. Nel Guatemala da molti anni gli indios lottano
con ostinazione contro l'occupazione militare dei loro territori,
contro i massacri e le persecuzioni. La loro lotta per una effettiva democratizzazione del paese fa i conti con
profonde disuguaglianze sociali: il 2 per cento della popolazione concentra nelle proprie mani il 70 per cento delle
terre produttive. Nel 1992 Rigoberta Manchu ha ricevuto il premio Nobel della Pace, come riconoscimento
di questa storica lotta. In Nicaragua, durante il governo sandinista, fu avviato il processo di autonomia dei
popoli indigeni della costa
atlantica. Secondo l'antropologo messicano Gilberto Lopez y Rivas, questo processo permise "la
auto-affermazione delle etnie e la loro partecipazione alle decisioni che riguardano il proprio destino". Era
previsto l'autogoverno dei popoli nativi, il che permetteva loro una piena autonomia culturale,
nell'educazione, nell'economia, nella preservazione dell'ambiente, nell'utilizzo delle risorse naturali e nelle forme
comunitarie ed egualitarie di proprietà della terra. Con la fine dell'amministrazione sandinista questa
iniziativa, unica in America, corre il rischio di essere interrotta.
Con la nuova amministrazione lo Stato centralizzato si sovrappone ai poteri e alle competenze delle autonomie
regionali, non riconoscendo i diritti sanciti dalla Costituzione. Secondo i popoli indigeni che vivono in
Nicaragua, la difesa dell'autonomia e l'unità nazionale nella pluralità,
devono essere collocati al di sopra degli interessi di partito e delle differenze ideologiche e religiose. In
Ecuador, i popoli indigeni realizzarono nel 1990 una rivota che mise seriamente in difficoltà le strutture
del
potere costituito. Costretto dalla mobilitazione dei nativi, il governo negoziò la demarcazione e
regolarizzazione
delle terre indigene, insieme ad altri diritti, tra cui l'educazione bilingue. Recentemente, un'altra mobilitazione
nazionale dei popoli indigeni, ha contestato alcune leggi (in materia agraria
e di modernizzazione), approvate dal parlamento nazionale, ma contrarie agli interessi dei settori popolari del
paese.
Per una società solidale "La nostra
lotta va oltre le rivendicazioni isolate. Vuole risolvere i problemi della terra e della territorialità,
dell'industrializzazione, della disoccupazione, della casa, della salute, dell'educazione, oltre la terribile
discriminazione e segregazione sociale" (progetto politico della Confederazione delle Nazionalità
Indigene
dell'Ecuador, 1993). In Ecuador i popoli indigeni propongono, inoltre, il riconoscimento della
"plurinazionalità", cioè la fine della
politica integrazionista, che minaccia le diversità culturali ed etniche. La rivolta degli indios nel
Messico, all'inizio del 1994, ha smentito le diverse analisi che consideravano
impossibile una rottura sociale nei confronti del liberismo, il quale accentua la miseria di una parte sempre
maggiore della popolazione latino-americana. Negli anni '80 e '90 i grandi gruppi economici si sono rafforzati
ed è aumentata la concentrazione dei redditi,
allargando la forbice della diseguaglianza sociale. Il caso più emblematico è il Brasile dove gli
ultimi dati sulla
distribuzione dei redditi dimostrano che il 50 per cento più povero della popolazione dispone di solo il
12 per
cento della ricchezza prodotta, mentre il 10 per cento più ricco si appropria del 48 per cento. Alle lotte
di natura sociale si accompagna storicamente nell'America Latina la lotta dei popoli indigeni contro
l'incorporazione, in favore della diversità e del rispetto della natura e della persona umana. In altre parole
contro
l'omologazione e l'economia di mercato globale. Solo da alcuni anni questa lotta ha raggiunto il livello della
comunità internazionale. Una significativa conquista
è stata l'approvazione, nel 1989, della Convenzione n. 169 relativa ai popoli indigeni e tribali, da parte
della 76a
Conferenza Internazionale del Lavoro (OIL). I paesi firmatari della Convenzione si sono impegnati a rispettare
la cultura, la religione, l'organizzazione sociale ed economica, l'identità di questi popoli. La
Convenzione n. 169 stabilisce, inoltre, che questi popoli dovranno godere pienamente dei diritti umani e delle
libertà fondamentali, senza ostacoli e discriminazioni. Non dovrà essere utilizzato alcun mezzo
di forza o
coercizione che violi questi diritti e libertà. Il Brasile non ha ancora approvato questa Convenzione
e il progetto di legge per la sua ratifica è bloccato in
parlamento. Attualmente è in discussione all'ONU il progetto di Dichiarazione sui Diritti dei Popoli
Indigeni, che potrà essere
un meccanismo di riconoscimento e rispetto degli indios nel mondo intero. La proposta è il risultato
di dodici anni di pressione dei leader indigeni verso l'ONU, che ha dedicato il decennio
1995-2204 alla difesa della causa dei popoli indigeni. Secondo Rigoberta Manchu, in questo documento
dovranno essere conseguiti due obbiettivi: 1 - l'approvazione della Dichiarazione sui Diritti dei Popoli
Indigeni; 2 - l'emanazione di una Convenzione Internazionale delle Nazioni Unite sui Diritti Indigeni, che
sia applicabile
in tutti i paesi, nei quali vivono popoli nativi.
Esperienza millenaria In Amazzoni, i popoli indigeni da molti anni denunciano
la distruzione della foresta, l'inquinamento dei fiumi
provocato dal mercurio, la costruzione di grandi centrali idroelettriche nelle loro terre e la pirateria
genetica. In varie regioni gli indios stanno implementando esperienze alternative nell'ambito di una
agricoltura auto-sostenibile e di uno sviluppo che non produce inquinamento e che rispetta la natura. Sono
stati necessari 500 anni affinché scienziati e ricercatori si rendessero conto delle importanti conoscenze
accumulate dai popoli nativi rispetto agli ecosistemi pre3senti nell'immenso continente americano. Sono
conoscenze accumulate e trasmesse da padre in figlio, su una grande quantità di piante coltivabili e sulle
migliori forme di sfruttamento dei differenti suoli, senza causare il loro esaurimento, come è invece
accaduto con
le tecniche moderne. Lo sviluppo agricolo amazzonico importato dai paesi ricchi causa l'eliminazione della
diversità delle specie
vegetali, mediante l'imposizione di un numero limitato e controllato di monoculture specifiche, altamente
remunerative. La conseguenza è la distruzione dell'ambiente. I popoli indigeni, al contrario, mostrando
profonda
conoscenza dell'ecosistema in cui vivono, combinano nel corso del tempo una varietà specifica di piante,
coltivate
durante molti anni, cercando in questo modo di conservare la diversità della vita vegetale. Esempio
di ciò sono gli indios dell'alto Rio Negro, nell'Amazzonia, vicino alla frontiera tra Brasile e Colombia.
Un'indagine realizzata tra sette popoli della regione, ha mostrato che ciascuno di loro coltiva in media 22
varietà
di manioca. Nel Perù, gli Aguaruna e gli Uambisa conoscono più di
100 varietà di manioca non tossica. Altri numerosi esempi potrebbero essere citati e,
nonostante le poche ricerche realizzate sul campo, è sorprendente
il numero di specie vegetali e erbe medicinali (e le relative qualità alimentari e terapeutiche) conosciute
dagli
indios. Oltre alle conoscenze accumulate nella loro esperienza millenaria, alcune delle quali sono ormai
patrimonio di
tutta l'umanità e altre son totalmente ignorate, i popoli indigeni hanno sviluppato numerose forme di
organizzazione sociale, politica ed economica. Sono per lo più modelli di organizzazione che permettono
una
relazione armonica con l'ambiente e nei quali l'accumulazione di beni e ricchezze non è
importante. Le esperienze e i modelli di organizzazione tradizionale indigena furono totalmente disprezzati
dalla civiltà
insediata in America, a partire dalla conquista europea. Ancora oggi non viene riconosciuta alla cultura indigena
pari dignità. La ragione è molto semplice: quello che hanno da offrire come popolo non ha valore
di mercato.
Questo spiega in parte le ragioni per le quali non si vogliono garantire agli indios le loro terre. La terra e le risorse
minerarie hanno più valore di mercato della vita e della cultura di questi popoli. Purtroppo è
questa la logica dominante, presente nella maggior parte dei paesi americani, che si è accentuata con
l'onda liberista. Una logica perversa, veicolata quotidianamente dai media, che non solo discrimina i popoli
indigeni, ma riduce
alla miseria assoluta milioni di persone nel continente (a loro volta spinti, molto spesso, ad invadere le terre degli
indios, come nel caso dei garimpeiros in Brasile, alla ricerca di oro e diamanti). Ciascun popolo
che scompare rappresenta una perdita irrecuperabile di conoscenze accumulate durante millenni,
frutto di esperienze storiche uniche. Sono saperi non solo limitati all'agricoltura, ma relativi anche alla fauna e
alla flora, al clima, alla medicina, all'astronomia, ecc...
Che fare Bisogna riscattare la storia, la conoscenza,
le differenti forme di organizzazione e valorizzare l'esperienza
millenaria dell'America indigena, ancora viva e presente nel continente. L'America di radici indigene deve
recuperare la sua identità e riscoprire i valori di base della propria esistenza:
l'ecologia spontanea, la vita comunitaria, l'equilibrio tra il religioso e il culturale, l'antilucro e
l'anticonsumismo. Claude Lévi-Strauss con la sua antropologia strutturale ha dimostrato che non
esiste una civiltà "primitiva" ed
una civiltà "evoluta", ma vi sono soltanto risposte diverse a problemi fondamentali e identici. "Il
pensiero
occidentale è dominato dall'intellegibile: abbandoniamo le sensazioni per manipolare i concetti. Il
pensiero
"selvaggio" invece valuta non basandosi su dati astratti, bensì sugli insegnamenti della esperienza
sensibile:
odori, forme, colori". Riconoscere la non superiorità della cultura occidentale sulle altre
sarà un passo fondamentale affinché la logica
di dominio e di potenza ceda posto alla vita. L'indio, i popoli indigeni, devono essere ascoltati. Assumere la
causa indigena significa difendere nella teoria e
nella pratica l'autodeterminazione dei diversi popoli indigeni, il rispetto dell'individuo e l'organizzazione in
federazioni e confederazioni. Significa appoggiare le rivendicazioni di questi popoli, sia per la difesa delle
loro terre (sostenendo il diritto alla
demarcazione), sia per il riconoscimento delle loro lingue (sostenendo le scuole pubbliche nelle comunità
indigene gestite da professori indigeni). L'obiettivo è quello di salvaguardare il patrimonio conoscitivo
degli
indios; di fornire una alfabetizzazione nella lingua nativa oltre che nelle lingue dei rispettivi paesi di appartenenza;
di riscattare e valorizzare al loro cultura, la loro musica, le loro danze, le loro credenze, i loro racconti, le loro
leggende, la loro medicina naturale; di garantire iniziative di sviluppo autosostenibile.
Popolazione indigena nelle Americhe |
Paese |
Popolazione
indigena |
% Popolazione
totale |
Antille |
1.000 |
1,00 |
Argentina |
350.000 |
1,00 |
Bahamas |
3.000 |
1,00 |
Barbados |
3.000 |
1,00 |
Belize |
29.000 |
19,00 |
Bolivia |
4.900.000 |
71,00 |
Brasile |
300.000 |
0,20 |
Canada |
350.000 |
1,40 |
Cile |
1.000.000 |
8,00 |
Colombia |
600.000 |
2,00 |
Costa Rica |
35.000 |
1,00 |
Ecuador |
4.100.000 |
43,00 |
Giamaica |
48.000 |
2,00 |
Guadalupe |
4.000 |
1,00 |
Guatemale |
5.300.000 |
66,00 |
Guiana |
45.000 |
6,00 |
Guiana Francese |
4.000 |
4,00 |
Haiti |
1.000 |
2,00 |
Honduras |
700.000 |
15,00 |
Martinica |
1.000 |
1,00 |
Messico |
12.000.000 |
14,00 |
Nicaragua |
160.000 |
5,00 |
Panama |
140.000 |
6,00 |
Paraguay |
100.000 |
3,00 |
Perù |
9.300.000 |
47,00 |
Portorico |
72.000 |
2,00 |
Salvador |
400.000 |
7,00 |
Santo Domingo |
1.000 |
2,00 |
Stati Uniti d'America |
1.600.000 |
0,65 |
Suriname |
30.000 |
6,00 |
Trinidad e Tobago |
200 |
2,00 |
Uruguay |
400 |
0,01 |
Venezuela |
400.000 |
2,00 |
Totale popolazione delle
Americhe |
662.807.000 |
Totale popolazione indigena
nelle Americhe |
41.978.000 |
Percentuale
indigena |
6,33% |
Fonte: Distretto delle
Organizzazioni Indigene Americane |
|