Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 25 nr. 223
dicembre 1995 - gennaio 1996


Rivista Anarchica Online

In difesa della causa indigena
di Giovanni Alioti

Le esperienze e i modelli di organizzazione tradizionale indigena furono totalmente disprezzati dalla civiltà insediata in America, a partire dalla conquista europea. Ancora oggi non viene riconosciuta alla cultura indigena pari dignità. La ragione è molto semplice: quello che hanno da offrire come popolo non ha valore di mercato. Questo spiega in parte le ragioni per le quali non si vogliono garantire agli indios le loro terre. La terra e le risorse minerarie hanno più valore di mercato della vita e della cultura di questi popoli

Intorno al 1500, quando gli europei arrivarono nelle Americhe, la popolazione indigena stimata era di 80 milioni di persone.
Sappiamo che molte erano le differenze tra i diversi popoli che abitavano il continente3. Si parlavano quasi 2 mila lingue differenti. Furono incontrati sia imperi con una accentuata struttura gerarchica e città densamente popolate (con un invidiabile progresso tecnologico), sia comunità egualitarie e senza Stato.
Di questa popolazione nativa, secondo il ricercatore ungherese Tzevetan Todorov, circa 70 milioni furono decimati nei primi 100 anni di dominazione europea.
Fu il maggior genocidio nella storia dell'umanità, le cui cause furono varie: guerre, lavori forzati, epidemie, deportazioni, confino, fame.
Solo nel Messico la popolazione passò da 25 milioni a 1 milione e 250 mila persone. In Perù, la popolazione si ridusse da 9 milioni a 1 milione. In Brasile, la popolazione indigena stimata in circa 5 milioni all'epoca della conquista, è ridotta a meno di 300 mila persone. Ma questi sono solo alcuni numeri sullo sterminio fisico: importante è far risaltare che lo sterminio fu accompagnato dalla negazione del modo di vita dei popoli nativi e dalla negazione delle loro culture, delle loro lingue, delle loro credenze e religioni.
La storia di popoli indigeni nelle Americhe fu, quindi, una lunga storia di morte, subordinazione, integrazione. Ma fu anche una lunga storia di lotte, che vanno aldilà della resistenza degli indios contro il loro sterminio.
In molti momenti della storia di questo continente colonizzato, i popoli nativi hanno alzato la loro voce contro uno sviluppo economico che distrugge la natura ed emargina milioni di uomini, siano essi indios, neri, diseredati o disoccupati.

La resistenza
In nome del progresso, della modernità e della fede, i tentativi di distruzione fisica e culturale dei popoli indigeni proseguono con accanimento.
"Oggi siamo aggrediti allo stesso modo di come lo furono i nostri antenati: ci massacrano, bruciano i nostri raccolti e le nostre case, rubano le nostre terre, militarizzano le nostre comunità, violentano le nostre donne, uccidono i nostri anziani - cancellando così la nostra saggezza e la nostra memoria storica -, usano la religione per dividerci, con la pretesa di renderci sottomessi e ubbidienti" (intervento di un'indigena guatemalteca durante le riunione del gruppo di lavoro dell'ONU sulle popolazioni indigene, a Ginevra nel 1988).
In occasione della visita del papa in Brasile nel 1991, i leader indigeni denunciarono che: "strade, centrali elettriche, poli industriali di sfruttamento minerario, progetti militari nelle terre indigene, hanno come conseguenza quella di seminare invasioni, malattie, miseria e morte (...) In nome della modernità, della tecnologia e del progresso invadono i nostri territori, uccidono i nostri leader, avvelenano i nostri fiumi, distruggono l'ambiente e ci trattano come una sub-razza, trasformandoci in stranieri nel nostro paese".
Oggi la lotta dei popoli indigeni incorpora nuove forme di organizzazione e mobilitazione. Ciò che si vuole è la difesa, il recupero e la garanzia dei territori indigeni, il recupero e la valorizzazione delle identità etnico-culturali, la conquista dell'autonomia.
Negli USA i popoli indigeni, basandosi sui principi affermati dal Diritto di quel paese, lottano per il rispetto dei trattati firmati con i governi americani nel secolo scorso, che garantiscono le loro terre. Attualmente devono incassare dal presidente Bill Clinton le promesse in favore dei trattai, fatte durante le elezioni.
Nel Messico, dal gennaio 1994, i popoli indigeni dello Stato del Chiapas sono stati protagonisti di una rivolta, che ha scosso alle fondamenta i presunti regimi "democratici" e i modelli liberisti imposti ai paesi latino-americani dai paesi ricchi.
Gli indios, attraverso l'Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN), hanno sorpreso il mondo per la loro capacità politico-militare, dimostrata nel confronto diretto con il regime messicano. In mezzo ai negoziati per il Trattato del Libero Commercio tra Canada, USA e Messico, l'EZLN ha denunciato le gravi contraddizioni sociali, politiche, economiche ed etniche in cui sprofonda il Messico. Oltre a rivendicare trasformazioni democratiche e una maggiore giustizia sociale, l'EZLN chiede una particolare attenzione ai diritti dei popoli indigeni attraverso il riconoscimento della loro autonomia.
Nel Guatemala da molti anni gli indios lottano con ostinazione contro l'occupazione militare dei loro territori, contro i massacri e le persecuzioni. La loro lotta per una effettiva democratizzazione del paese fa i conti con profonde disuguaglianze sociali: il 2 per cento della popolazione concentra nelle proprie mani il 70 per cento delle terre produttive.
Nel 1992 Rigoberta Manchu ha ricevuto il premio Nobel della Pace, come riconoscimento di questa storica lotta.
In Nicaragua, durante il governo sandinista, fu avviato il processo di autonomia dei popoli indigeni della costa atlantica. Secondo l'antropologo messicano Gilberto Lopez y Rivas, questo processo permise "la auto-affermazione delle etnie e la loro partecipazione alle decisioni che riguardano il proprio destino".
Era previsto l'autogoverno dei popoli nativi, il che permetteva loro una piena autonomia culturale, nell'educazione, nell'economia, nella preservazione dell'ambiente, nell'utilizzo delle risorse naturali e nelle forme comunitarie ed egualitarie di proprietà della terra.
Con la fine dell'amministrazione sandinista questa iniziativa, unica in America, corre il rischio di essere interrotta. Con la nuova amministrazione lo Stato centralizzato si sovrappone ai poteri e alle competenze delle autonomie regionali, non riconoscendo i diritti sanciti dalla Costituzione.
Secondo i popoli indigeni che vivono in Nicaragua, la difesa dell'autonomia e l'unità nazionale nella pluralità, devono essere collocati al di sopra degli interessi di partito e delle differenze ideologiche e religiose.
In Ecuador, i popoli indigeni realizzarono nel 1990 una rivota che mise seriamente in difficoltà le strutture del potere costituito. Costretto dalla mobilitazione dei nativi, il governo negoziò la demarcazione e regolarizzazione delle terre indigene, insieme ad altri diritti, tra cui l'educazione bilingue.
Recentemente, un'altra mobilitazione nazionale dei popoli indigeni, ha contestato alcune leggi (in materia agraria e di modernizzazione), approvate dal parlamento nazionale, ma contrarie agli interessi dei settori popolari del paese.

Per una società solidale
"La nostra lotta va oltre le rivendicazioni isolate. Vuole risolvere i problemi della terra e della territorialità, dell'industrializzazione, della disoccupazione, della casa, della salute, dell'educazione, oltre la terribile discriminazione e segregazione sociale" (progetto politico della Confederazione delle Nazionalità Indigene dell'Ecuador, 1993).
In Ecuador i popoli indigeni propongono, inoltre, il riconoscimento della "plurinazionalità", cioè la fine della politica integrazionista, che minaccia le diversità culturali ed etniche.
La rivolta degli indios nel Messico, all'inizio del 1994, ha smentito le diverse analisi che consideravano impossibile una rottura sociale nei confronti del liberismo, il quale accentua la miseria di una parte sempre maggiore della popolazione latino-americana.
Negli anni '80 e '90 i grandi gruppi economici si sono rafforzati ed è aumentata la concentrazione dei redditi, allargando la forbice della diseguaglianza sociale. Il caso più emblematico è il Brasile dove gli ultimi dati sulla distribuzione dei redditi dimostrano che il 50 per cento più povero della popolazione dispone di solo il 12 per cento della ricchezza prodotta, mentre il 10 per cento più ricco si appropria del 48 per cento.
Alle lotte di natura sociale si accompagna storicamente nell'America Latina la lotta dei popoli indigeni contro l'incorporazione, in favore della diversità e del rispetto della natura e della persona umana. In altre parole contro l'omologazione e l'economia di mercato globale.
Solo da alcuni anni questa lotta ha raggiunto il livello della comunità internazionale. Una significativa conquista è stata l'approvazione, nel 1989, della Convenzione n. 169 relativa ai popoli indigeni e tribali, da parte della 76a Conferenza Internazionale del Lavoro (OIL). I paesi firmatari della Convenzione si sono impegnati a rispettare la cultura, la religione, l'organizzazione sociale ed economica, l'identità di questi popoli.
La Convenzione n. 169 stabilisce, inoltre, che questi popoli dovranno godere pienamente dei diritti umani e delle libertà fondamentali, senza ostacoli e discriminazioni. Non dovrà essere utilizzato alcun mezzo di forza o coercizione che violi questi diritti e libertà.
Il Brasile non ha ancora approvato questa Convenzione e il progetto di legge per la sua ratifica è bloccato in parlamento.
Attualmente è in discussione all'ONU il progetto di Dichiarazione sui Diritti dei Popoli Indigeni, che potrà essere un meccanismo di riconoscimento e rispetto degli indios nel mondo intero.
La proposta è il risultato di dodici anni di pressione dei leader indigeni verso l'ONU, che ha dedicato il decennio 1995-2204 alla difesa della causa dei popoli indigeni.
Secondo Rigoberta Manchu, in questo documento dovranno essere conseguiti due obbiettivi:
1 - l'approvazione della Dichiarazione sui Diritti dei Popoli Indigeni;
2 - l'emanazione di una Convenzione Internazionale delle Nazioni Unite sui Diritti Indigeni, che sia applicabile in tutti i paesi, nei quali vivono popoli nativi.

Esperienza millenaria
In Amazzoni, i popoli indigeni da molti anni denunciano la distruzione della foresta, l'inquinamento dei fiumi provocato dal mercurio, la costruzione di grandi centrali idroelettriche nelle loro terre e la pirateria genetica.
In varie regioni gli indios stanno implementando esperienze alternative nell'ambito di una agricoltura auto-sostenibile e di uno sviluppo che non produce inquinamento e che rispetta la natura.
Sono stati necessari 500 anni affinché scienziati e ricercatori si rendessero conto delle importanti conoscenze accumulate dai popoli nativi rispetto agli ecosistemi pre3senti nell'immenso continente americano.
Sono conoscenze accumulate e trasmesse da padre in figlio, su una grande quantità di piante coltivabili e sulle migliori forme di sfruttamento dei differenti suoli, senza causare il loro esaurimento, come è invece accaduto con le tecniche moderne.
Lo sviluppo agricolo amazzonico importato dai paesi ricchi causa l'eliminazione della diversità delle specie vegetali, mediante l'imposizione di un numero limitato e controllato di monoculture specifiche, altamente remunerative. La conseguenza è la distruzione dell'ambiente. I popoli indigeni, al contrario, mostrando profonda conoscenza dell'ecosistema in cui vivono, combinano nel corso del tempo una varietà specifica di piante, coltivate durante molti anni, cercando in questo modo di conservare la diversità della vita vegetale.
Esempio di ciò sono gli indios dell'alto Rio Negro, nell'Amazzonia, vicino alla frontiera tra Brasile e Colombia. Un'indagine realizzata tra sette popoli della regione, ha mostrato che ciascuno di loro coltiva in media 22 varietà di manioca. Nel Perù, gli Aguaruna e gli Uambisa conoscono più di 100 varietà di manioca non tossica.
Altri numerosi esempi potrebbero essere citati e, nonostante le poche ricerche realizzate sul campo, è sorprendente il numero di specie vegetali e erbe medicinali (e le relative qualità alimentari e terapeutiche) conosciute dagli indios.
Oltre alle conoscenze accumulate nella loro esperienza millenaria, alcune delle quali sono ormai patrimonio di tutta l'umanità e altre son totalmente ignorate, i popoli indigeni hanno sviluppato numerose forme di organizzazione sociale, politica ed economica. Sono per lo più modelli di organizzazione che permettono una relazione armonica con l'ambiente e nei quali l'accumulazione di beni e ricchezze non è importante.
Le esperienze e i modelli di organizzazione tradizionale indigena furono totalmente disprezzati dalla civiltà insediata in America, a partire dalla conquista europea. Ancora oggi non viene riconosciuta alla cultura indigena pari dignità. La ragione è molto semplice: quello che hanno da offrire come popolo non ha valore di mercato. Questo spiega in parte le ragioni per le quali non si vogliono garantire agli indios le loro terre. La terra e le risorse minerarie hanno più valore di mercato della vita e della cultura di questi popoli.
Purtroppo è questa la logica dominante, presente nella maggior parte dei paesi americani, che si è accentuata con l'onda liberista.
Una logica perversa, veicolata quotidianamente dai media, che non solo discrimina i popoli indigeni, ma riduce alla miseria assoluta milioni di persone nel continente (a loro volta spinti, molto spesso, ad invadere le terre degli indios, come nel caso dei garimpeiros in Brasile, alla ricerca di oro e diamanti).
Ciascun popolo che scompare rappresenta una perdita irrecuperabile di conoscenze accumulate durante millenni, frutto di esperienze storiche uniche. Sono saperi non solo limitati all'agricoltura, ma relativi anche alla fauna e alla flora, al clima, alla medicina, all'astronomia, ecc...

Che fare
Bisogna riscattare la storia, la conoscenza, le differenti forme di organizzazione e valorizzare l'esperienza millenaria dell'America indigena, ancora viva e presente nel continente.
L'America di radici indigene deve recuperare la sua identità e riscoprire i valori di base della propria esistenza: l'ecologia spontanea, la vita comunitaria, l'equilibrio tra il religioso e il culturale, l'antilucro e l'anticonsumismo.
Claude Lévi-Strauss con la sua antropologia strutturale ha dimostrato che non esiste una civiltà "primitiva" ed una civiltà "evoluta", ma vi sono soltanto risposte diverse a problemi fondamentali e identici. "Il pensiero occidentale è dominato dall'intellegibile: abbandoniamo le sensazioni per manipolare i concetti. Il pensiero "selvaggio" invece valuta non basandosi su dati astratti, bensì sugli insegnamenti della esperienza sensibile: odori, forme, colori".
Riconoscere la non superiorità della cultura occidentale sulle altre sarà un passo fondamentale affinché la logica di dominio e di potenza ceda posto alla vita.
L'indio, i popoli indigeni, devono essere ascoltati. Assumere la causa indigena significa difendere nella teoria e nella pratica l'autodeterminazione dei diversi popoli indigeni, il rispetto dell'individuo e l'organizzazione in federazioni e confederazioni.
Significa appoggiare le rivendicazioni di questi popoli, sia per la difesa delle loro terre (sostenendo il diritto alla demarcazione), sia per il riconoscimento delle loro lingue (sostenendo le scuole pubbliche nelle comunità indigene gestite da professori indigeni). L'obiettivo è quello di salvaguardare il patrimonio conoscitivo degli indios; di fornire una alfabetizzazione nella lingua nativa oltre che nelle lingue dei rispettivi paesi di appartenenza; di riscattare e valorizzare al loro cultura, la loro musica, le loro danze, le loro credenze, i loro racconti, le loro leggende, la loro medicina naturale; di garantire iniziative di sviluppo autosostenibile.

Popolazione indigena nelle Americhe
Paese Popolazione indigena % Popolazione totale
Antille 1.000 1,00
Argentina 350.000 1,00
Bahamas 3.000 1,00
Barbados 3.000 1,00
Belize 29.000 19,00
Bolivia 4.900.000 71,00
Brasile 300.000 0,20
Canada 350.000 1,40
Cile 1.000.000 8,00
Colombia 600.000 2,00
Costa Rica 35.000 1,00
Ecuador 4.100.000 43,00
Giamaica 48.000 2,00
Guadalupe 4.000 1,00
Guatemale 5.300.000 66,00
Guiana 45.000 6,00
Guiana Francese 4.000 4,00
Haiti 1.000 2,00
Honduras 700.000 15,00
Martinica 1.000 1,00
Messico 12.000.000 14,00
Nicaragua 160.000 5,00
Panama 140.000 6,00
Paraguay 100.000 3,00
Perù 9.300.000 47,00
Portorico 72.000 2,00
Salvador 400.000 7,00
Santo Domingo 1.000 2,00
Stati Uniti d'America 1.600.000 0,65
Suriname 30.000 6,00
Trinidad e Tobago 200 2,00
Uruguay 400 0,01
Venezuela 400.000 2,00
Totale popolazione delle Americhe 662.807.000
Totale popolazione indigena nelle Americhe 41.978.000
Percentuale indigena 6,33%
Fonte: Distretto delle Organizzazioni Indigene Americane