Rivista Anarchica Online
Contro Berlusconi
di Paul Goodman (traduzione di Stefano Viviani)
In realtà queste note sono del 1963/64, quando il nostro Silvio cantava sulle navi da crociera e non era ancora il
re
dell'antenna. Ma la questione dell'informazione era già basilare.
[...] Nella pubblicazione di libri, gli editori moderni, i club, le serie tascabili, compiono ogni
genere di sforzo per
condizionare il pubblico ad accettare un formato come se fosse un libro; così come c'è un'industria
televisiva, c'è
un'industria editoriale. Tuttavia, l'ideologia e il tono della pubblicità librariadicono ancora che soggetti e autori
sono la
sostanza della pubblicazione. Le riviste, ovviamente, sono sempre state piccoli mondi fortemente colorati, composti dalle
loro redazioni, sia che si tratti del Saturday Evening Post, del
The New Yorker o di Blast: offrono ipotesi di realtà differenti.
Ma sono numerose e nuovi formati possono entrare in campo. Difficile che uno dica: «Niente male per
Cosmopolitan»,
ma in genere Cosmopolitan non si legge, a meno che non si sia stati
attratti da un dato articolo. È solo quando arriviamo
a Life, Look,
Time e Newsweek che il prodotto comincia a somigliare alla televisione, a rivolgersi a un potenziale pubblico
totale e a sostituire insulsamente la realtà con una realtà ufficiale. La storia del cinema è andata per certi versi al contrario. A partire più o meno dal
1915, l'industria cinematografica
americana si è sviluppata rigogliosamente presentando un mondo di autosussistenza, Hollywood e Beverly Hills
e i loro
favolosi abitanti, con una letteratura esoterica di riviste cinematografiche e comunicati stampa ambasciatoriali. Il cinema
è stato di rado un mezzo per trasmettere realtà e arte, ma è stato usato per contribuire a creare la
realtà del cinema. Nessuno
hai mai preteso altro. «Il cinema è là dove si costruiscono i vostri sogni». Eppure nel cinema c'è
stata una continua
ribellione: film sperimentali, documentari, film realizzati con pochissimi soldi, film stranieri, il semplice uso del film come
mezzo per trasmettere realtà diverse da quelle del cinema. La
teletrasmissione è stata afflitta dalle peggiori tendenze di questi altri media. Dal punto di vista economico, si tratta
di
una grande industria centralizzata intorno alla quale si è sempre mosso un certo numero di piccole imprese legate
all'offerta
e alla domanda. Essa comporta una concentrazione d'investimento che deve proteggere se stessa e sfruttare i propri beni
capitali e la propria organizzazione senza preoccuparsi della necessità dei prodotti, creando una domanda artificiale
e
mendicando nuovi spettatori con espedienti e furbizia, rimanendo tuttavia incredibilmente conservatrice nel timore che
possano arrivare quattro lettere di protesta. Dato che tratta principalmente formati anziché pensiero reale o
invenzione
creativa o interesse del pubblico, la Tv esaurisce e scarica talenti più in fretta di qualunque altro mezzo, ma ottiene
la
risposta del pubblico più superficiale. Come Hollywood, è stata dominata dai sogni dei suoi magnati e non
è altro che il
loro mondo artificiale; ma dato che non c'è nemmeno un box-office in contatto con il pubblico, i sognatori sono
assolutamente insicuri della loro immagine e si mettono sulla difensiva a causa di segni e presagi, indici di ascolto dei
programmi, avvisaglie della possibile regolamentazione. Diversamente da Hollywood, con le sue stravaganze, a Madison
Avenue, dove pulsa il cuore della pubblicità, anche le fantasie degli uomini più stolti vengono livellate fino
alla vacuità.
Sebbene la Tv pretenda di essere un mezzo di notizie, informazione e intrattenimento, essa programma in termini di propria
immagine e di una risposta del pubblico presunta, come se la verità delle cose potesse non scontentare fortemente
gli
spettatori e come se il genio creativo fosse in un modo o nell'altro prevedibile. Per una spiacevole fatalità, la Tv
ha avuto
la sfortuna di svilupparsi in mezzo a individui confusi e passivi, desiderosi di stimolazione ma non più capaci di
riconoscere
i propri bisogni e i propri gusti, molti dei quali chiedono con insistenza un'immagine qualsiasi della realtà e la
trangugiano,
mentre i restanti sentono di non avere il potere di pretendere altro e si accontentano di quanto viene dato.
Questo è un mezzo troppo bello per essere gettato via così.
Offre opportunità per la frequente e spontanea fioritura di
invenzioni plastiche e poetiche, la rapida disseminazione di idee radicali, molti tipi di addestramento e istruzione,
l'espressione di bisogni popolari e lo sviluppo della cultura popolare. Nulla di tutto ciò può verificarsi sotto
i presenti
auspici. La regolamentazione può soltanto peggiorare la malattia, rendendo le reti più autocensorie e
più autocoscienti della
loro immagine. Non può servire a metterle in contatto con il reale, perché non sono state create per questo.
È del tutto
evidente che coloro che oggi sono chiamati a prendere le decisioni ai vari livelli non hanno nessuna idea di cosa sia un
mezzo libero. La cosa migliore è semplicemente liberarsi di loro,
smantellare le reti inaugurando un nuovo corso nelle concessioni e
decentralizzare il più possibile il controllo, sulla base di qualunque principio plausibile, conferendolo alle
municipalità,
ai college, alle testate locali, alle associazioni ad hoc. Con svariate centinaia di centri, di responsabilità e iniziative,
ci
saranno numerose opportunità per la domanda e la partecipazione diretta del pubblico locale, e perché
l'onesto e l'inventivo
riescano a farsi ascoltare e cerchino di aprirsi una strada propria. La estesa
disseminazione di informazione vera è sempre utile, ma può essere irrilevante per la democrazia. A meno
che
l'informazione non venga realmente criticata e controbilanciata, può servire come propaganda per un consenso
esanime.
Per dirla brutalmente, in questo modo gli ebrei tedeschi sono finiti nelle camere a gas, e noi stiamo per essere distrutti dalle
bombe a idrogeno. La ripresa di un lancio spaziale attira l'attenzione, ma
è politicamente inutile, o peggio che inutile, se non è accompagnata
da una serie di interrogativi sul programma spaziale, i suoi aspetti economici, sullo scandalo scientifico di avere un ruolo
nello spazio che implica la segretezza piuttosto che la cooperazione internazionale. Dal punto di vista della democrazia,
le convention non sono certo così importanti come le
trattative e le primarie che le precedono; ma per lo meno nel 1960,
nello stato di New York nel quale vivevo - dove Adlai Stevenson era di gran lunga il candidato popolare e Kennedy aveva
quasi tutti i delegati - alla Tv non si vide molto di tutto ciò. Naturalmente, non possiamo aspettarci che la Tv si
mostri
superiore all'imbarazzo del pubblico; eppure, grazie al suo monopolio, essa intontisce ulteriormente la democrazia. Se il
mezzo ha «alterato per sempre il processo politico americano», finora è stato in peggio. [...] Il problema dev'essere risolvibile. Ogni principio «plausibile» di decentramento è meglio
di quanto abbiamo. Con
«plausibile», intendo, per esempio, la concessione di licenze e sussidi alle università, alle contee e alle
municipalità, ai
giornali locali, a gruppi designati da artisti o piccole riviste, a partiti politici non istituzionali. (In questo modo la
commissione per l'istruzione di New York viene plausibilmente selezionata da una lista compilata dalle università
locali,
dall'Afl-Cio, dall'arcivescovo e così via; e la commissione sceglie plausibilmente le sue commissioni locali dai
candidati
proposti da associazioni cittadine quali la Hudson Guild, l'American Jewish Congress e così via.) L'obiettivo
è quello di
assicurare un ampio spettro di idee e comportamenti, senza troppi pregiudizi di qualità o anche di buon senso.
Certamente
il popolo degli Stati Uniti può tollerare (e dovrebbe sostenere) una ventina di emittenti indipendenti come la Wbai
e la
Kpfa; ma allo stato attuale, vista la tariffa standard e l'assoluta mancanza di alternative, soltanto New York City e la Bay
Area possono modestamente sostenere tali stazioni. Non vi è dubbio che con la rigorosa applicazione di un
principio di
decentramento, il pubblico si ritroverà a incoraggiare birchiti, comunisti, razzisti, gesuiti, bigotti provinciali - ho
presentato
una lista di persone che io stesso considero pericolose o malconsigliate; ma la consueta rivendicazione
liberal che la
nazione è la sola difesa contro l'idiozia e il fanatismo locali mi pare il frutto di un allarme eccessivo. Oggi noi non
parliamo
di decentramento da jeffersoniani, non lo consideriamo un modo per accrescere la perfezione di una società rurale
e
conservare l'indipendenza dei proprietari terrieri, ma un lievito assolutamente necessario in una società le cui
pressioni
nazionali sono schiaccianti e la cui complessità centralizzata è insopportabile. Dato tanto inevitabile
conformismo,
possiamo correre il rischio di avere i conflitti prodotti dalle eccentricità. In ogni caso, per ristabilire qualunque significato di democrazia,
dobbiamo rischiare questi conflitti. Lasciate che lo dica
formalmente: con la concentrazione e l'interdipendenza dei mass-media, stiamo vivendo una crisi
istituzionale. Le
immense case editrici e i semimonopoli nell'editoria, la crescita di riviste che vivono di sola pubblicità, la
diminuzione del
numero di quotidiani concorrenti parallela al rapido aumento del numero dei lettori, le gigantesche reti televisive, le
relazioni pubbliche delle imprese e i comunicati stampa del governo, il tremendo intervento dello stato nei college e il
sistema d'ingranaggi dell'istruzione elementare che avvia a questi college: tutto questo non è poi tanto lontano da
un
lavaggio del cervello completo; e ovviamente la democrazia non è in grado di vivere quando al lavaggio del
cervello si
sommano le comunicazioni. Un controllo meramente negativo - tramite una regolamentazione e il Primo Emendamento
-
è insufficiente, perché il danno viene fatto inondando e strombazzando le notizie, rastrellando tutto quello
che è possibile
rastrellare, e talvolta (come nella teletrasmissione) con la censura de facto di monopolisti privati pubblicamente
autorizzati. Dinanzi a una crisi istituzionale di queste proporzioni avremmo
bisogno dell'inventiva politica di gente come Madison e
Jefferson. Invece, apparentemente come una conseguenza dello stesso lavaggio del cervello, nel Paese non vi è la
minima
traccia di inventiva politica. Si cerca invano una politica in qualche modo legata al momento in cui realmente ci
troviamo. Non credo che la regolamentazione sia praticabile (eccetto
per abusi evidenti) e, anche se lo fosse, finirebbe per assegnare
troppa autorità alle agenzie di regolamentazione. Scoraggiare il progresso tecnologico, lo sviluppo delle
comunicazioni,
non mi pare ne morale ne saggio. Ma un buon antidoto alla concentrazione delle comunicazioni è costruire
seguendo una
tendenza che agisca da contrappeso, incoraggiando una proliferazione diversa di pensiero e stile: con numerose fonti
decisionali, una scala economica modesta e l'indipendenza dal controllo feudale e statale.
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