Rivista Anarchica Online
Il buono, il brutto e il cattivo
di Maria Matteo
La strada che gli anarchici hanno intrapreso accettando e facendo proprio il senso profondo della
modernità, ossia
la scommessa sulla libertà, è una strada difficile ed irta di ostacoli
Da quando, due secoli orsono, l'idea che la libertà potesse essere il
fondamento dell'agire sociale ha scosso sin
dalle fondamenta le società occidentali, l'azione individuale e collettiva degli uomini e delle donne, non
più posta
sotto i vincoli e le tutele di un ordine indiscusso ed indiscutibile perché voluto ed istituito da dio, è
divenuta
oggetto di riflessioni e discussioni sempre, costantemente, irrisolte. In questi due secoli la natura, la storia,
la scienza, mediocri sostituti laici di dio, si sono dimostrati assai meno
longevi ma sicuramente altrettanto capaci di ispirare concezioni del vivere associato ingiuste, autoritarie, non di
rado ferocemente sanguinarie: è la triste parabola del nostro secolo, un secolo segnato dagli orrori del
fascismo
e del comunismo, dalla ferocia del capitalismo. Gli stessi istituti democratici dell'Europa e degli Stati Uniti, certo
meno rozzi sul piano repressivo, tuttavia sono ben lungi dall'incarnare uno spazio sociale improntato alla
libertà
sia sul piano politico sia su quello economico nonché, ovviamente, nel più immediato ambito
delle libertà
individuali. La modernità appare quindi contraddistinta per un verso da regimi autoritari che traggono
la propria fonte di
legittimità da principi sì laici ma altrettanto astratti di quelli teologici: poco importa che il
riferimento sia un più
raffinato materialismo storico od un grezzo mito di terra e sangue; l'altro versante su cui la modernità si
declina
è quello democratico, che, demandando formalmente la sovranità al popolo, di fatto si configura
come elegante
sistema di ricambio delle élite in cui l'eticità si riduce a mera ed astratta formula giuridica, capace
di prescindere
dalle materiali condizioni di esistenza nonché dai progetti di vita dei singoli, concreti
individui. L'unico approccio alla libertà che la ponga come nucleo costitutivo dell'assetto societario
è quello anarchico,
poiché l'anarchismo non annulla la libertà in un principio superiore che di fatto la nega e
nemmeno si accontenta
di una libertà depotenziata, asservita ad un interesse collettivo, formalmente neutro ma in realtà
riconducibile agli
interessi dei gruppi sociali dominanti. All'interno della vasta e poliforme galassia anarchica le correnti che
più si sono mostrate sensibili a questioncelle
quali l'edificazione di una società libertaria, la necessità di un'intima coerenza tra mezzi e fini e,
conseguentemente, il bisogno che un saldo rigore etico accompagni ogni scelta sull'aspro terreno del conflitto
politico e sociale hanno con forza perseguito l'autonomia, ossia la capacità di dar forma a norme che sono
volute,
elaborate, scelte da coloro cui si applicano. Tali norme, lungi dal configurarsi come corpus rigido,
difficilmente trasformabile ed universalmente valido sono
liberi accordi che vincolano unicamente solo coloro che li sottoscrivono e che, in ogni caso, possono in qualsiasi
momento essere cambiati anche in modo radicale. Quest'approccio, ben diversamente dalle impostazioni
autoritarie, non escluse quelle democratiche, e parimenti distante da una concezione amorale dell'agire umano
che anche nel movimento anarchico ha trovato qualche sostenitore, concepisce le norme non come vincoli imposti
dall'esterno ma come concreto estrinsecarsi di una pratica di libertà. Naturalmente ciò non
implica che l'autonoma produzione di regole di per sè garantisca sulla natura libertaria delle
stesse: non è difficile immaginare la libera assemblea di un qualche paesino del profondo nord italico
decidere
liberamente la deportazione di tutti gli stranieri. Nella polis ateniese le assemblee erano aperte a tutti i cittadini:
peccato che la nozione di cittadino escludesse gli schiavi, gli stranieri, le donne ed i maschi con meno di
trent'anni. E' quindi evidente che se l'autonomia è condizione necessaria all'aprirsi di un ambito sociale
libertario
non è tuttavia condizione sufficiente, poiché non basta scegliere in libertà ma occorre
anche scegliere la libertà. Questa concezione dell'anarchismo comporta l'assunzione della
libertà come principio etico capace di ispirare
l'azione politica e sociale: tale principio è in nuce contenuto nella asserzione bakuniniana per cui la mia
libertà
è tanto maggiore quanto maggiore è la libertà di tutti. La libertà non è
quindi solo mera precondizione del nostro
agire, ma sua esplicita ed intrinseca finalità, non è solo libertà da ma anche e non
secondariamente libertà di. Ne deriva una straordinaria difficoltà a scindere l'agire umano
secondo le categorie dell'etica e della politica o,
magari seguendo le nozioni di profitto o di interesse collettivo, poiché l'anarchismo concepisce l'azione
individuale e collettiva sia sotto il profilo politico che economico come inesausta tensione a perseguire un'intima
coerenza tra mezzi e fini, tra obiettivi da perseguire e mezzi per riuscirvi. Ne consegue che sia le modalità
organizzative sia i metodi d'azione sono oggetto di gran dibattito all'interno del movimento anarchico. E' un
dibattito che negli ultimi anni ha visto il riemergere di una tendenza, invero da sempre storicamente del tutto
irrilevante e minoritaria, che punta sulla valorizzazione acritica dello spontaneismo dei desideri e delle pulsioni
individuali, assurte a unico criterio orientativo dell'azione. Questa concezione che nega la valenza etica della
scelta anarchica, che ha invece un'indiscussa centralità nella prassi e nella teoria della gran parte
delmovimento
nelle sue componenti, siano queste ad impronta individualista o comunista, organizzatrice od antiorganizzatrice,
è stata purtroppo frequentemente oggetto delle attenzioni privilegiate dei mezzi di informazione,
più interessati
a tracciare l'immagine crudele, romantica ed idiota dell'anarchico bombarolo e terrorista che a dar conto delle
lotte, delle iniziative e dei programmi di chi concretamente persegue l'obiettivo di una società di liberi
ed uguali. Si dice che talora la vita imiti l'arte: può altresì capitare che qualcuno si innamori
della propria caricatura,
interpretandone con convinzione i tratti più marcatamente farseschi. Così l'anomia sociale
crescente che
caratterizza precipuamente gli spazi metropolitani dell'occidente, ove anche gli stili di vita più radicali
divengono
rapidamente merci disponibili a prezzo più o meno elevato, trova risposta nel tentativo di segnare
frontiere che
il mercato ed il potere politico non siano in grado di attraversare. Capita pertanto che ai margini dell'impero,
negli interstizi del sistema, crescano le più disparate sottoculture, la
cui indiscutibile abilità creativa si coniuga con la sostanziale incapacità di prefigurare una radicale
trasformazione
sociale. Alcune componenti di queste culture metropolitane, che talora si sono anche intersecate con l'anarchismo,
sono state talvolta capaci di dar luogo ad autentici fenomeni di sottrazione alle regole della rappresentanza politica
e del mercato; altri segmenti, che dell'anarchismo hanno privilegiato la caricatura che di esso solgono tracciare
i media, si dilettano nell'esaltazione di miti illegalisti, rinunciando altresì ad ogni reale dimensione
progettuale,
ad ogni tentativo di trasformare l'esodo dallo stato e dal capitalismo in transito verso una nuova
società. In qualche modo la sapiente pervasività dell'ideologia democratica finisce con
l'avviluppare anche alcuni dei suoi
più acerrimi nemici, che, non sapendo immaginare un ribaltamento delle regole del gioco, credono di
poter
giocare una partita senza regole e, così facendo, non fanno che riproporre, specularmente rovesciate, le
regole
della democrazia. Tipico della democrazia è il ridurre la libertà ad un osso che solo i più
forti sono in grado di
addentare; al contrario l'anarchismo pensa la libertà non come ad un mero bene di cui fruire ma come
principio
capace di costruire un ordinamento sociale giusto perché fondato sulla piena realizzazione dei singoli
percorsi
individuali. Quella democratica è una concezione debole della libertà, poiché la
libertà si riduce ad un astratto giuridismo,
il cui scopo non è renderla possibile ma arginarla, limitarla, renderla pienamente accessibile solo a pochi
privilegiati. Che senso ha parlare di libertà di espressione quando i mezzi di informazione sono
concentrati in
poche mani? Che peso hanno le libertà sindacali se il diritto di rappresentanza è pienamente
riconosciuto solo ai
sindacati di stato? Che significato può avere l'uguaglianza del diritto tra diseguali? L'approccio
anarchico alla libertà è invece un approccio forte, poiché pone ciascuno di fronte alla
diretta
responsabilità delle proprie scelte senza nè vincoli nè ripari, poiché affronta a
testa alta la difficoltà e la sfida di
pensare un mondo senza dei e senza tutori, ossia un mondo la cui storia non è disegnata in cielo, nelle
leggi
naturali o storiche ma è continua e costante creazione umana. La strada che gli anarchici hanno
intrapreso accettando e facendo proprio il senso profondo della modernità, ossia
la scommessa sulla libertà, è una strada difficile ed irta di ostacoli, poiché è una
strada che si percorre nel
momento stesso in cui la si apre. Di qui discende la grande attenzione riservata alle questioni organizzative, alle
modalità decisionali, alle forme ed ai contenuti del proprio intervento, la mai sopita attitudine critica, la
capacità
di mettersi continuamente in discussione, il rifiuto di farsi orientare nelle scelte da stolidi criteri maggioritari,
la convinzione che la trasformazione sociale diviene possibile solo se è voluta e che, quindi, non
può essere
imposta, guidata da alcuna élite o partito rivoluzionario. La dialettica tra etica della convinzione ed
etica della responsabilità, ossia da un lato l' adesione ai valori e il
perseguimento dei fini a questi connessi e dall'altro la valutazione attenta e rigorosa delle implicazioni del proprio
agire è il perno su cui si regge l'anarchismo sociale, che è gradualista non perché pensi
che questa società sia
riformabile, ma perché non vede possibile una rottura rivoluzionaria che non coinvolga la gran parte del
corpo
sociale, perché vuole che l'esodo dal capitalismo e dalla democrazia sia opera di molti e non di pochi.
È
antiviolento perché riconosce nella violenza la peggiore delle sopraffazioni, il peggiore degli
autoritarismi,
quell'autoritarismo che trova la sua forma più compiuta nello stato che si arroga il diritto di esercitare il
monopolio della violenza, picchiando, uccidendo, sequestrando nelle galere, obbligando gli uomini a uccidere,
morire, compiere stragi legalizzate in guerra.
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