Rivista Anarchica Online
Ma cos'è questo boom?
a cura della Redazione
Cinque opinioni sul "boom" anarco-librario. Da Milano, Pisa, Roma e - con un taglio particolare - Pescara/Chieti
...Sul cosiddetto boom editoriale «anarcoide» All'interno di un panorama editoriale
incentrato sull'incentivazione di libri usa-e-getta, di best-sellers da salotto
e di sproloqui di di-vulgazione pseudo-politica, l'emergere sporadico di autori impegnati nella
rievocazione/rilettura storica, oltre all'attuale ristampa di testi da anni introvabili - tipo quello bakuniano - si
presta ad una lettura non univoca. Da un lato - in positivo - sulla scia dell'interesse ottenuto da testi di analisi
storico-sociale propositivi (tipo il Bihr del «Dall'«assalto al cielo» all'alternativa»»), oppure di re-visione critica
del marxismo, delle ideologie economiciste e delle forme di militanza tradizionale, ma anche di esplosioni di
movimenti tipo quello del Chiapas, vengono ad essere riscoperti e rilanciati, a livello di narrazione, modelli di
vita libertari legati alla coerenza mezzi/fini, vite esemplari di devianti o di viandanti-del-mondo, utilizzando
fatti/sfondi storici come incentivo alla riscoperta ed alla divulgazione di modelli di pensiero e di militanza radicati
nel sociale. Di fatto, all'interno di piccole case editrici è da tempo ben presente un filone di narrativa
incentrato
su vite marginali/diverse/sovversive/azzerate (oltre alla beat generation, narratori come Dagerman, Taibo II,
Sepulveda, etc.), a cui è andata ad unirsi sia l'attuale rivisitazione di vite «resistenti», più
neorealisticamente
tramandate, sia la proiezione verso società «altre» in chiave di fantascienza utopica (Le Guin, Dick,
Gibson, Bear,
Sterling, ...). D'altra parte, inquadrando invece tale fenomeno/presenza in una ottica più negativa, si
potrebbe però
presumere che, sulla scia del successo conseguito da film come «Terra e libertà» o dalla neomitizzazione
di Che
Guevara, il mercato editoriale punti su di una rilettura edulcorata della storia, semplificando o annacquando il
pensiero e la memoria storica in forme romanzate, al fine di disinnescarne la carica esplosiva, rivoluzionaria. Il
tutto, d'altra parte, in sintonia con una situazione sociale di frammentazione e dispersione ed un clima culturale
sempre più depresso e disimpegnato, legato all'usa-e-getta, a mode musicali e/o a pure virtualità
comunicative,
a reali ghetti esistenziali conditi da palliativi spettacolari, di fatto all'oblio collettivo, ... ... in sintesi, il problema
cui siamo rinviati è ancora una volta quello, cruciale, degli strumenti/mezzi più adeguati per
diffondere/tramandare/stimolare determinati contenuti e per discernere criticamente ciò che ci viene
propinato,
annusando comunque con sospetto ogni «vulgata» aliena che si appropri di messaggi o si ammanti di vesti
antiautoritarie...
Luigi e Nicoletta (ri)animatori dai primi anni '80 della libreria Anomalia via
dei Campani, 73 - Roma.
Lasciare una traccia di ribellione L'uscita in questi ultimi mesi di alcuni classici
dell'anarchismo per i tipi di case editrici commerciali è
sicuramente frutto di scelte editoriali dettate più da interessi economici che culturali. Basti pensare a
come, negli
anni '80, esse avessero distrutto, in nome del libro-spazzatura, le proprie collane storico-politiche. Con la crisi
dell'89 e lo svuotamento ideologico conseguente, alla metà degli anni '90 le nuove generazioni si sono
trovate
sguarnite di testi classici della politica. Fra i lettori, soprattutto tra i più giovani, è cresciuta una
richiesta di testi
«forti» che sappiano in qualche maniera ridefinire un percorso di «alternativa» politica e sociale di fronte allo
sfascio del sistema politico tradizionale e all'affermarsi della «telepolitica». L'attenzione di alcune fasce di lettori
verso l'anarchismo nasce, molto probabilmente, dalla considerazione che quest'ultimo ha mantenuto una propria
integrità etica e morale ed una pratica antagonista. Nell'insieme, comunque, è un fenomeno
più culturale che
sociale, riguardante settori limitati nella società e soprattutto le classi subalterne. É da sperare che
la ripresa della
conflittualità sociale possa far crescere l'interesse verso le tematiche antiautoritarie. Ma al di là
delle nostre
considerazioni, i segmenti di lettori interessati all'anarchia ed all'anarchismo rappresentano per le case editrici
commerciali, comunque, un settore di mercato da occupare; e la prevalenza della scelta economica è
confermata
dalla selezione di titoli da pubblicare che spesso non sono altro che ristampe di edizioni fuori catalogo (si veda
ad es. la riedizione di Stato e anarchia di Bakunin, o Il Compendio del Capitale di
Cafiero, L'Unico di Stirner,
o gli scritti di Ferrer e Gori). Un discorso a parte meriterebbe la produzione di romanzi, o di letteratura di
fantascienza, che esula dalle semplici considerazioni economiche e che nel tempo ha sempre mantenuto una sua
vivacità di offerte di titoli, oggi riconfermata dai successi di scrittori come Maggiani, Cacucci, P.I. Taibo
II e altri.
L'obiettivo per queste case editrici è quello di occupare quella nicchia di mercato (a volte occupata dalla
piccola
editoria), minore ma non insignificante. D'altronde ciò è confermato dalla tendenza generale della
grande editoria
in Italia che, più che creare nuovi lettori, tende a fagocitare quelli della piccola editoria. É noto
come nel nostro
paese, a fronte del gran numero di case editrici, circa 2700, quasi il 95% dell'intero fatturato (3500 miliardi)
è
prodotto da 10 grandi gruppi che controllano, o sono propietari, anche di medie e piccole case editrici. I grandi
gruppi, sempre alla ricerca di novità (in Italia, nonostante un mercato asfittico, si pubblicano all'incirca
40.000
titoli all'anno), hanno consolidato la prassi di inghiottire i piccoli editori appena questi sono riusciti a farsi un
catalogo dignitoso. I grandi gruppi, inoltre, detengono il controllo quasi totale di tutta la distribuzione. Di fronte
a questi colossi che producono in grande maggioranza molta spazzatura - i classici libri/merce con copertine
sfolgoranti e scarsi contenuti - è difficile creare spazi alternativi perché anche questi diventano,
nella logica di
mercato, spazi da occupare. Rimane a noi (e non intendiamo solo noi BFS) l'onere/onore di combattere una
battaglia conoscendo già l'esito finale, e nonostante tutto rimanere sul campo per lasciare una traccia di
ribellione
per le nuove generazioni.
Alcuni compagni della BFS edizioni di Pisa.
Tempo difficile e doloroso Strano destino quello dei libri. Vent'anni fa
(ahimé sembrano passati secoli!) quando la libreria Utopia ha iniziato
la sua attività c'era ancora un notevole fermento e interesse per tutte le tematiche sociali, libertarie,
antiautoritarie.
E i libri si trovavano, certo soprattutto i classici del pensiero anarchico, ma non solo, così come si
trovavano
opuscoli, giornali, stampa alternativa di controinformazione. Poi, nel corso degli orribili anni '80, gradualmente
e quasi inavvertitamente, molti titoli si sono esauriti e non sono più stati ristampati, sia di case editrici
anarchiche
che «normali», è diminuita drasticamente la produzione di nuovi titoli (salvo per rare eccezzioni come
Eléuthera)
e siamo arrivati al deserto librario, che d'altra parte corrispondeva in qualche modo ad un «deserto» mentale,
psicologico, sociale. Il crollo del muro di Berlino e la fine conseguente dell'equilibrio bipolare e del modello
comunista ha portato necessariamente una ventata di vivacità e dibattito soprattutto nel campo della
saggistica
di «sinistra», ormai priva di punti di riferimento, ma anche in quella libertaria; prima in modo impercettibile, poi
sempre più evidente abbiamo visto nascere con gioia in questi ultimi anni nuove case editrici anarchiche
e
libertarie, nuove pubblicazioni alternative e, soprattutto case editrici «normali» che hanno cominciato a
pubblicare
autori anarchici e/o libri su personaggi anarchici, nella saggistica come nella narrativa. Insomma, un piccolo boom
editoriale che però questa volta non corrisponde affatto a una situazione sociale in fermento. Viviamo
un tempo
difficile e doloroso in cui non c'è (o sembra non esserci) più alcuna capacità progettuale,
alcuna speranza in un
cambiamento vero, in cui sul piano economico e sociale sempre più si allarga la forbice tra ricchezza e
povertà,
fra garantiti e non garantiti, in cui la consapevolezza della nostra vita nel «villaggio globale» rende ancora
più
difficile immaginare forme e strategie di intervento. Di fronte al senso di impotenza, di inadeguatezza rispetto
alla complessità e all'appiattimento verso il più basso minimalismo dei desideri e del sentire, ecco
risorgere il
bisogno di trascendenza, ecco la diffusione delle filosofie orientali o «native», ecco la fortuna della «New Age»
sbarcata come sempre dall'America, ecco il fascino esercitato dall'anarchismo, dalla sua storia, dai suoi
più o
meno pittoreschi personaggi, essenzialmente per la sua carica millenaristica che la modernità non
è riuscita ad
intaccare. Non saprei dire se e in che misura la diffusione in fasce ben più ampie di lettori dei nostri temi,
della
nostra storia possa servire o no alla costruzione di un sentire collettivo. Certo male non può fare, qualcosa
resterà.
Il fatto triste è che, parafrasando Woody Allen, se Dio è morto e Marx è morto, non
è che noi stiamo tanto bene.
Fausta Bizzozzero Redattrice di «A» Rivista anarchica dal 1971 al 1989.
Responsabile della Libreria Utopia di Milano e delle
sue attività culturali.
Che il messaggio si faccia azione Che l'editoria libertaria potesse svolgere un
ruolo non irrilevante è sempre stata una delle convinzioni che ci
hanno spinto a pubblicare libri negli ultimi venti anni (prima come Antistato, poi come Elèuthera). Il
mini-boom
in atto, oltre a corroborarci nella scelta fatta, stimola una serie di considerazioni che possono avere un qualche
interesse. Innanzi tutto va sottolineato come questa ripresa editoriale della cultura anarchica - e libertaria - sia
un fenomeno che tocca tanto l'editoria commerciale quanto quella militante. Soffermiamoci sul primo soggetto.
Basta scorrere i cataloghi di case editrici grandi e piccole per accorgersi che, dopo un lungo gelo, l'editoria
commerciale negli anni '90 ha ripreso a interessarsi, con una progressiva accelerazione, di anarchismo e
libertarismo. Qualche esempio tra i tanti: Stato e anarchia di Bakunin ristampato da Feltrinelli, Stirner sempre in
catalogo presso Adelphi, l'opuscoletto Anarchismo incluso nella piccola collana curata dall'Editrice
Bibliografica,
Godwin presente presso Trimestre Editrice e presso La Nuova Italia, persino Etienne de La Boëtie
ripubblicato
da Olivares). Uno dei più noti assiomi del mercato recita che dove c'è domanda c'è
offerta. Bisogna allora dedurre
che nelle librerie c'è stata una «domanda di anarchismo» che l'editoria commerciale si è affrettata
a soddisfare
(e il fiorire, dopo molti anni, di corsi universitari sull'anarchismo - e dunque di una bibliografia sull'argomento
- ha certamente contribuito ad alimentare questa «domanda»). La cosa è già buona in sé,
ma c'è un aspetto forse
più interessante. In parte, questa attenzione dell'editoria commerciale verso anarchismo e libertarismo -
due filoni
di pensiero che si sono talvolta intersecati, talvolta sovrapposti e talvolta sviluppati in parallelo - non ha avuto
bisogno di sollecitazioni commerciali, ma è stata un riflesso del mutato atteggiamento verso queste
tradizioni
emerso negli ultimi anni. Tradizioni che sono state riscoperte, che sono state rivalutate, che hanno ritrovato
visibilità dopo esser state a lungo vittime di una radicale rimozione dalla storia e dalle coscienze. Seppur
con
qualche imbarazzo e con residua reticenza, il popolo di sinistra, a dir poco perplesso dopo l'implosione del
«socialismo scientifico», e ampi settori dell'intellighenzia (di sinistra, ma non solo) si sono avvicinati con
curiosità a queste tradizioni misconosciute e le stanno esplorando con cautela. E l'editoria più
sensibile ha
risposto, soprattutto per quanto riguarda la riflessione libertaria, a questa curiosità. Un tale «ritorno alla
memoria»
ci viene confermato non solo nel campo della saggistica, ma anche della narrativa, dove è forse ancora
più
evidente il mutamento di umore in atto. Ed ecco allora ricomparire nelle narrazioni che la società
occidentale dà
di se stessa l'anarchico (o addirittura l'anarchismo stesso) come personaggio e talvolta come protagonista di
questa narrazione. Non più l'anarchico macchiettistico, la nota di colore comparsa qui e lì nella
letteratura, ma
un anarchico veridico, con spessore umano e storico, una figura a tutto tondo che non scivola più
nell'oleografia
e nel folclore (e si possono citare, tra i tanti, due latino-americani, Luis Sepulveda e Ignacio Paco Taibo II, e un
italiano, Maurizio Maggiani). Insomma, chi ha avuto un nonno anarchico - e sono stati milioni in tutto
l'Occidente - non se ne vergogna più come del parente bislacco da tener un po' in ombra ed anzi ne
rispolvera
la memoria individuale e la riscrive come memoria collettiva. E così fanno anche i molti, sessantottini
e non, che
hanno avuto un contatto più o meno profondo con l'anarchismo, che ora ritroviamo, anche solo in un
accenno,
nelle loro narrazioni (ad esempio Andrea De Carlo e Pino Cacucci). Se dunque la ripresa «commerciale» di
anarchismo e libertarismo spinge a valutazioni positive sul nuovo clima culturale, anche la ripresa dell'editoria
militante è un segnale positivo sul quale imbastire alcune considerazioni e ipotesi. Innanzi tutto va detto
che
questo proliferare di micro-editoria libertaria è evidentemente il sintomo di una rinnovata vivacità
culturale sia
da parte di chi stampa che di chi legge. Oltretutto a questo fenomeno, non nuovo ma ciclico, si affianca la
persistenza di alcune iniziative editoriali - BFS di Pisa, Zero in condotta di Milano, Traccedizioni di Piombino,
Galzerano di Salerno, La Fiaccola di Ragusa, oltre a Elèuthera - più stabili e consolidate.
Nonostante si stia
utilizzando la definizione di mini-boom, in realtà si sta parlando di un numero contenuto di titoli all'anno,
nell'ordine di alcune decine, sufficienti però ad offrire una scelta abbastanza differenziata (qualche
classico,
qualche titolo di storia, testi di anarchismo contemporaneo
), caratterizzata da un'incidenza di opuscoli ancora
piuttosto elevata e da un tasso di opere tradotte in crescita. La cura e la qualità estetica di questa
produzione è
sicuramente più elevata che in passato e questo aspetto marca una differenza con l'editoria alternativa
degli anni
'70, termine di paragone obbligato, quando cura e qualità estetica erano sottovalutate se non apertamente
disprezzate. I prezzi dipendono dal tipo di diffusione: sono medio-bassi se si basano sulla vendita diretta, sono
medio-alti (vicini a quelli di mercato) se la vendita passa principalmente attraverso il circuito librario. Questo ci
porta ad affrontare due quesiti di una certa rilevanza: chi compra questi libri e dove li trova. Il tipo di canale
distributivo utilizzato seleziona infatti i possibili acquirenti determinando il raggio d'azione di questa
editoria. La maggior parte della micro-editoria libertaria, talvolta per scelta, talvolta per le intrinseche
caratteristiche di
irregolarità e produzione limitata, si tiene fuori o ai margini del circuito librario, basandosi come negli
anni '70
sul circuito alternativo, ovvero essenzialmente sedi politiche, centri sociali, occasioni di incontri, feste, convegni,
ecc. Ma ahimè, il circuito alternativo degli anni '90 si è enormemente contratto rispetto a quello
fiorente degli
anni '70 ed infatti la capacità di assorbimento di questo canale distributivo è crollata ad un 20%
della capacità
di assorbimento registrata in quel vivacissimo e alfabetizzato decennio. (Valga come esempio l'esperienza delle
edizioni Antistato, attive tra il 1975 e il 1985, e le edizioni Elèuthera, attive dal 1986 a tutt'oggi, entrambi
presenti
sia nel circuito librario che in quello alternativo: le prime vendevano i 2/3 delle tirature nel circuito alternativo,
mentre la relazione è inversa per quanto riguarda Elèuthera). Assestarsi nel solo circuito
alternativo pone quindi
dei limiti quantitativi alla circolazione di questa produzione libraria. E, cosa ancor più importante,
delimita anche
il tipo di pubblico che si contatta: quello cioè che già frequenta in modo più o meno
sistematico i luoghi di
aggregazione dell'area anarchica o più in generale - ma solo per un certo tipo di testi - dell'area
«antagonista».
Certo si ha a che fare con un «target selezionato», se mi si passa l'espressione, particolarmente interessato alla
produzione libraria libertaria (se però si va a misurare l'effettivo tasso di lettura individuale qualche
delusione
è bene metterla in conto). Ma sono canali ben delimitati che escludono per età, percorsi
individuali e idiosincrasie
una buona fetta dello stesso pubblico libertario o di quello solamente curioso. Più articolata dunque deve
essere
la scelta se ci si pone l'obiettivo di raggiungere questo pubblico più vasto e diversificato esterno al circuito
militante, e cioè un'area libertaria, fluida e contraddittoria quanto si vuole ma vivace e consistente, la
stessa
diaspora anarchica, ovvero gli ex militanti spesso rifluiti nel famigerato privato ma tutt'altro che omologati e
magari impegnati ora in ambiti sociali come il volontariato o i movimenti cittadini di base, e il pubblico
occasionale come lo studente che deve fare un esame sull'anarchismo, il ricercatore che vuole sapere il punto di
vista libertario su una data questione, la persona incuriosita da quegli strani animali sociali che sono gli anarchici
Per raggiungere questo pubblico il circuito librario è, purtroppo, l'unica strada a disposizione. E dico
purtroppo
perché si tratta di una strada impervia e insoddisfacente, di un circuito penalizzante e costoso che, con
rare
eccezioni (e tra queste non ci sono le Librerie Feltrinelli), negli ultimi cinque anni ha cercato di liquidare il
fenomeno della piccola editoria di qualità - l'unico nel quale la micro-editoria libertaria potrebbe
collocarsi - a
favore delle grandi concentrazioni editoriali. Pur tenendo presente il problema, questo rimane al momento l'unico
canale che permette quella visibilità e penetrazione in grado di arrivare ad un pubblico composito
altrimenti perso.
(Qualcuno potrebbe pensare che il discorso sia un po' prosaico: si parla di assorbimenti, si abbozzano
mini-strategie commerciali, si è persino citato il target
Ebbene sì, il discorso è prosaico,
ma per quanto
alternativa e basata su motivazioni extra economiche, la micro-editoria libertaria i libri alla fin fine li deve
vendere. Se li cedesse gratis vorrebbe dire che è sovvenzionata, e in questo caso la domanda d'obbligo
è: da chi?). Ovviamente la scelta migliore non è quella di privilegiare un canale a scapito
dell'altro, ma di integrarli a seconda
delle proprie possibilità (la distribuzione commerciale assorbe molto tempo e soprattutto denaro: basti
dire che
si fagocita mediamente il 60% del prezzo di copertina!) e del tipo di produzione (l'opuscoletto di propaganda ha
ovviamente poche chances di essere messo in bella mostra nella libreria media
). In effetti, al momento solo una
piccola minoranza dei testi pubblicati dalla micro-editoria libertaria arriva sugli scaffali delle librerie. E se
è vero
che alcuni titoli non avrebbero comunque spazio su quegli intasatissimi scaffali, e bene fanno a girare in un
circuito a loro più congeniale, altri vengono sicuramente penalizzati da questa circolazione limitata e
mancano
il loro obiettivo: portare la cultura anarchica e libertaria fuori dal movimento. L'optimum sarebbe poi di articolare
maggiormente la presenza editoriale libertaria includendo un altro canale ormai poco frequentato: la vendita
diretta in quelle situazioni quotidiane, come mercati e luoghi del tempo libero, o nelle concentrazioni di vario tipo,
come fiere, feste, concerti e quant'altro, dove è possibile entrare in contatto con un pubblico ben
più vasto di
quello politicizzato del circuito militante o di quello specifico (e peraltro non sterminato) dei lettori
consuetudinari. Certo è un pubblico più generico che impone di adattare il proprio messaggio
culturale ai contesti
nei quali viene veicolato (vale a dire, è meglio evitare di proporre un trattato epistemologico sulle ricadute
libertarie della teoria del caos o qualcosa del tipo «Lotte sociali a Valguarnera Caropepe al volger del secolo»
).
E tuttavia è un canale che spezza le logiche distributive prevalenti e sembra promettere antichi fasti. Si
tratta
infatti di un canale purtroppo caduto in disuso - per le notevoli energie richieste che le singole iniziative editoriali,
senza un rete di gruppi di supporto, non sono in grado di attivare - ma che in passato, in tempi di furore militante,
aveva consentito non solo capillarità e visibilità (per non dire delle vendite), ma anche un uso
più proficuo
dell'editoria da parte del movimento, che l'aveva trasformata in un proprio strumento di presenza e
aggregazione. Ben venga dunque questo mini-boom editoriale libertario, soprattutto se si pone l'obiettivo di
forzare i limiti
imposti alla nostra visibilità dai consueti canali distributivi, magari ipotizzando - in particolare per
quest'ultimo
canale - una collaborazione «tecnica» che, lasciando a ognuno il massimo di libertà espressiva, consenta
di
mettere insieme maggiori energie umane e finanziarie. Per concludere un'ultima riflessione su stampa ed editoria
anarchica. L'impressione è che questa ripresa dell'editoria libraria vada di pari passo con una crisi dei
periodici.
Vendite in calo e deficit in aumento sono le costanti delle testate principali, mentre il tradizionale proliferare di
testate irregolari si è notevolmente attenuato. Questa divaricazione delle due forme di editoria militante
è
inconsueto, perché di norma alti e bassi si sviluppano in sintonia. Si possono tentare alcune
interpretazioni. La
vivacità della stampa è legata alla vivacità del movimento militante, ed entrambi mi
sembrano in calo. La vivacità
dell'editoria libraria è legata alla vivacità della riflessione culturale, ed entrambi mi sembrano in
effervescenza.
I giornali sono perlopiù lo specchio del movimento, lo stato di salute di questo è legato allo stato
di salute di
quelli. Un messaggio sedimentato come il libro è indice invece di una cultura forte che sta configurando
il proprio
quadro di riferimenti, il proprio paradigma. Mi sembra che la ripresa di una modalità e la crisi di un'altra
siano
sintomi niente affatto casuali che dovrebbero spingere ad una riflessione attenta sulle difficoltà e le
aspettative
dell'anarchismo in questa specifica fase. Ma attenzione, una volta celebrato nei giusti termini questo mini-boom
editoriale e dopo averlo elevato a indicatore di un'analisi urgente, devo anche mettere in guardia sulla sua
capacità
d'impatto. Per lunga frequentazione, conosco infatti pregi e limiti dell'editoria libraria: e se questa è
capace di
far circolare cultura forte, non riesce però a creare movimento (nel senso lato del termine), non aggrega,
non «fa
politica» (nel senso panteista in cui l'usiamo noi immarcescibili sessantottini). Questo fare rete, questo coagulare
le forze, nel movimento anarchico è tradizionalmente (anche se non esclusivamente) compito della stampa
periodica, non certo dell'editoria. E dalla mia esperienza personale (avvenuta in entrambi i settori dell'editoria)
mi sembra di poter confermare questo assunto. E allora, di nuovo, ben venga questo fiorire editoriale libertario,
ma che sia una fase di transizione, di ricerca, di aggiustamento. Dopo, e lasciatelo dire a una che bazzica con i
libri da vent'anni, che il messaggio si faccia azione.
Rossella Di Leo 45 anni, oltre ad essere responsabile del Centro Studi
Libertari/Archivio Pinelli, si occupa delle edizioni
Elèuthera ed è redattrice di «Volontà».
Come e perché Samizdat? Il mondo nuovo, o il mondo che si rinnova,
nasce da qualcuno che ha un sogno: la visione che l'ordine delle cose
può essere diverso
ecc. ecc. potrei risponderti così. Ma è assumere i toni della favola:
c'era una volta! Caro
compagno, vivo materialmente e spiritualmente, confrontandomi con i sogni dei miei pazienti (sono
psicoterapeuta, a proposito: ora a parlare è Paolo Notarfranchi; poi sarà Fabio Palombo) e
ciò mi ha educato ad
essere spietatamente realista, a rimettere tutto con i piedi per terra. Samizdat non nasce da un sogno ma da un
sogno dimenticato. Quando la vita mi presentò i miei 50 anni e mi chiese un bilancio, per acquisita
esperienza,
bussai ai miei sogni. Cercai di trovare lì la risposta. Un mattino mi svegliai senza ricordare sogni, ma
ossessionato da un verso (non so neanche se ricordato bene) di Gori: «date fiori ai ribelli caduti». E allora
ripensai
alla mia vita quale incarnazione della Ribellione; amplificai, visionando gli esiti della Ribellione nella Storia che
amo, quella dal 14 luglio 1789 ad oggi; cercai il luogo culturale nel quale la Ribellione è finita. Scoprii
(scoperta
ovvia, è sotto gli occhi di tutti noi; ma ciascuno deve ritrovarla in proprio) che la Ribellione è
decaduta in
patologia, che il quartiere nel quale abita è molto periferico, abbandonato alla devastazione della
maldicenza e
porta un nome improprio: nosografia. Niente di nuovo sotto il sole; da 100 anni è così, da quando
ci chiamarono
Malfattori e noi rispondemmo - con Covelli - «ci chiamiamo spostati». Ma qualcosa di diverso è
intervenuto. Non
certo l'elemento insignificante della mia equazione personale, ma la raggiunta totalizzazione del dominio. Quello
che noi chiamiamo Potere si è fatto sottile e maligno; è diventato satanico come non mai nella
Storia a noi
conosciuta. Contro alcu-ni, non più la maggioranza (sto parlando dalle nostre parti: occidente di razza
bianca,
emisfero nord, zona temperata, da Los Angeles agli Urali, tanto per capirci), mostra ancora il ghigno terrifico
dello schiacciasassi, usa la galera, la morte, ecc. Contro tutti si è fatto seduttivo, bello, ha assunto
l'evidenza di
un passaggio logico: «tu, umano d'occidente, non puoi pensare se non con le categorie e le tonalità
emotive che
io ti dò. Altrimenti ti dissoci, stai male, muori». Questa è la condizione che noi chiamiamo
omologazione. Tutto
il pensare e l'agire è organizzato, dalla culla alla scuola, alla comunicazione, al morire, attraverso il
si che è
contemporaneamente consenso (dire si, approvare) e spersonalizzazione (si come
anonimazione, perdita dell'Io;
si dice, si fa). A questo punto cosa faccio? Mi imbestialisco, mi isolo, rinuncio?! Da ragazzo mi innamorai di
Platone e anche oggi continuo a rileggerlo. Nel Cratilo, Platone si interroga sulla potenza della Parola. La Parola
è un inganno sofistico, piegabile nella direzione voluta dai potenti (l'omologazione di cui sopra), o la
Parola ha
una sua identità insopprimibile: è una strada verso la Verità? Forse è un po'
entrambe le situazioni: con la Parola
vengo ingannato (o io stesso mi inganno), con la Parola posso distruggere l'inganno. Credo nella potenza
residuale della Parola, credo che in essa trovi asilo l'Ideale e che l'Ideale abbia un potere dirompente e
rinnovatore. Ma non sono così tanto bischero da non capire che la mia parola è fievole al punto
di essere inudibile. Rinuncio? Provo a gridare forte? Ho apprezzato molto la lettera di David Koven ad «A»,
specialmente dove dice
«dovremmo incoraggiare la nascita di una moltitudine di pubblicazioni più piccole che rifletterebbero
un impegno
più grande ed un legame attivo con le nostre comunità». E cioè, nel mio linguaggio,
gridare in maniera diversa
la mia Parola. Così è nata Samizdat, questo è il perché. Sul come, presto detto.
Mi sono rivolto ad un amico,
tecnico dei computer, e gli ho esposto il mio sogno: fammi stampare in proprio, rendimi autonomo e, forse, libero
dai ricatti del mercato. Pierluigi mi ha dato la risposta: 1 Power Macintosh 7100/80, 1 scanner, 1 laser 16/600,
1 Risograph 3750, 1 interfaccia per Mac, 1 cilindro Risograph alternativo per il colore rosso. Poi i programmi:
Page Maker, prima 5.0 ora 6.0, Illustrator 5.5 ora 6, Photoshop 2.5, Claris Works 2.1, Omni Page, Streamline 3.1,
Dabbler 1, Adobe Dimensions 2. Totale 70 milioni di debito con le banche, ben contente di mungere con gli
interessi passivi un professionista strampalato che porta ancora capelli troppo lunghi ma che ogni mese salda
l'estorsione. Ne ho anche un vantaggio (?) (se è tale decidetelo voi): il furto che mi fanno gli usurai
legalizzati
(interessi pagati alle banche) mi viene detratto dal furto annuale che mi fa lo Stato (tasse). Ancora non ho capito
se godo nel prendere schiaffoni da Antonio invece che da Pasquale. A questo punto ero solo. Avevo l'aiuto di G.
Landi di Castelbolognese che mi forniva molti libri da ristampare. Poi venne Fabio e da allora Samizdat va
più
forte, e lascio a lui la parola.
Paolo Notarfranchi Via Regina Elena, 113 - 65100 Pescara.
«Il Pensiero» edito a Chieti da Camillo Di Sciullo, fu l'ultimo dei giornali anarchici ad
interrompere le
pubblicazioni in seguito alle leggi eccezionali del 1894. Da quando, diversi anni fa, mi imbattei in questa
singolare figura di anarchico (singolare più che altro per l'immaginario collettivo di una piccola
città di provincia
come Chieti, portato a pensare che la storia sia passata e passi sempre più lontano di quanto in
realtà accada) mi
sono ritrovato spesso ad immaginare una ripresa dell'attività editoriale sulle orme del buon Di Sciullo.
Fantasticavo una continuità ideale, se non di tempo almeno di luogo, col lavoro di quest'uomo che era
riuscito,
accanto al giornale, a mettere in piedi una piccola casa editrice che stampava i giornali, i testi e gli opuscoli del
movimento anarchico, che era stato per due volte difeso in tribunale da Pietro Gori, che aveva conosciuto il
carcere ed il domicilio coatto, che aveva conosciuto Malatesta e molti dei più importanti nomi del
movimento
anarchico del suo tempo. L'incontro con Paolo mi portò a tirare fuori dal cassetto un piccolo lavoro su
Di Sciullo
che la Samizdat ha pubblicato come terzo volume della collana «Il Pensiero Libertario». Da allora il nostro
rapporto di collaborazione è andato crescendo. Attualmente la Samizdat, accanto alla collana di biografie
«Il
Pensiero Libertario» sta iniziando l'edizione della collana «Idee di Libertà» e di una collana di opuscoli
«Ni Dieu,
Ni Maitre». Ma non basta. C'è di più. Stiamo lavorando, insieme ad altri, attorno all'idea
dell'apertura, a Chieti,
di un Centro di Documentazione, naturalmente intitolato a Camillo Di Sciullo, che si occupi in particolare della
storia del movimento in Abruzzo, costituendo un archivio ed una biblioteca. L'ambizione è quella di
creare uno
spazio di comunicazione che, accanto al recupero della memoria storica del passato, si proponga come strumento
di lavoro culturale alternativo nel presente. A proposito: siamo alla ricerca di documenti, libri, lettere, manifesti,
fotografie che abbiano attinenza con il movimento anarchico in Abruzzo. Contattateci.
Fabio Palombo Via Valignani, 71 - 66100 Chieti Tel.
0871/344106.
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