Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 26 nr. 231
novembre 1996


Rivista Anarchica Online

Ma cos'è questo boom?
a cura della Redazione

Cinque opinioni sul "boom" anarco-librario. Da Milano, Pisa, Roma e - con un taglio particolare - Pescara/Chieti

...Sul cosiddetto boom editoriale «anarcoide»
All'interno di un panorama editoriale incentrato sull'incentivazione di libri usa-e-getta, di best-sellers da salotto e di sproloqui di di-vulgazione pseudo-politica, l'emergere sporadico di autori impegnati nella rievocazione/rilettura storica, oltre all'attuale ristampa di testi da anni introvabili - tipo quello bakuniano - si presta ad una lettura non univoca. Da un lato - in positivo - sulla scia dell'interesse ottenuto da testi di analisi storico-sociale propositivi (tipo il Bihr del «Dall'«assalto al cielo» all'alternativa»»), oppure di re-visione critica del marxismo, delle ideologie economiciste e delle forme di militanza tradizionale, ma anche di esplosioni di movimenti tipo quello del Chiapas, vengono ad essere riscoperti e rilanciati, a livello di narrazione, modelli di vita libertari legati alla coerenza mezzi/fini, vite esemplari di devianti o di viandanti-del-mondo, utilizzando fatti/sfondi storici come incentivo alla riscoperta ed alla divulgazione di modelli di pensiero e di militanza radicati nel sociale. Di fatto, all'interno di piccole case editrici è da tempo ben presente un filone di narrativa incentrato su vite marginali/diverse/sovversive/azzerate (oltre alla beat generation, narratori come Dagerman, Taibo II, Sepulveda, etc.), a cui è andata ad unirsi sia l'attuale rivisitazione di vite «resistenti», più neorealisticamente tramandate, sia la proiezione verso società «altre» in chiave di fantascienza utopica (Le Guin, Dick, Gibson, Bear, Sterling, ...). D'altra parte, inquadrando invece tale fenomeno/presenza in una ottica più negativa, si potrebbe però presumere che, sulla scia del successo conseguito da film come «Terra e libertà» o dalla neomitizzazione di Che Guevara, il mercato editoriale punti su di una rilettura edulcorata della storia, semplificando o annacquando il pensiero e la memoria storica in forme romanzate, al fine di disinnescarne la carica esplosiva, rivoluzionaria. Il tutto, d'altra parte, in sintonia con una situazione sociale di frammentazione e dispersione ed un clima culturale sempre più depresso e disimpegnato, legato all'usa-e-getta, a mode musicali e/o a pure virtualità comunicative, a reali ghetti esistenziali conditi da palliativi spettacolari, di fatto all'oblio collettivo, ... ... in sintesi, il problema cui siamo rinviati è ancora una volta quello, cruciale, degli strumenti/mezzi più adeguati per diffondere/tramandare/stimolare determinati contenuti e per discernere criticamente ciò che ci viene propinato, annusando comunque con sospetto ogni «vulgata» aliena che si appropri di messaggi o si ammanti di vesti antiautoritarie...

Luigi e Nicoletta
(ri)animatori dai primi anni '80 della libreria Anomalia via dei Campani, 73 - Roma.

Lasciare una traccia di ribellione
L'uscita in questi ultimi mesi di alcuni classici dell'anarchismo per i tipi di case editrici commerciali è sicuramente frutto di scelte editoriali dettate più da interessi economici che culturali. Basti pensare a come, negli anni '80, esse avessero distrutto, in nome del libro-spazzatura, le proprie collane storico-politiche. Con la crisi dell'89 e lo svuotamento ideologico conseguente, alla metà degli anni '90 le nuove generazioni si sono trovate sguarnite di testi classici della politica. Fra i lettori, soprattutto tra i più giovani, è cresciuta una richiesta di testi «forti» che sappiano in qualche maniera ridefinire un percorso di «alternativa» politica e sociale di fronte allo sfascio del sistema politico tradizionale e all'affermarsi della «telepolitica». L'attenzione di alcune fasce di lettori verso l'anarchismo nasce, molto probabilmente, dalla considerazione che quest'ultimo ha mantenuto una propria integrità etica e morale ed una pratica antagonista. Nell'insieme, comunque, è un fenomeno più culturale che sociale, riguardante settori limitati nella società e soprattutto le classi subalterne. É da sperare che la ripresa della conflittualità sociale possa far crescere l'interesse verso le tematiche antiautoritarie. Ma al di là delle nostre considerazioni, i segmenti di lettori interessati all'anarchia ed all'anarchismo rappresentano per le case editrici commerciali, comunque, un settore di mercato da occupare; e la prevalenza della scelta economica è confermata dalla selezione di titoli da pubblicare che spesso non sono altro che ristampe di edizioni fuori catalogo (si veda ad es. la riedizione di Stato e anarchia di Bakunin, o Il Compendio del Capitale di Cafiero, L'Unico di Stirner, o gli scritti di Ferrer e Gori). Un discorso a parte meriterebbe la produzione di romanzi, o di letteratura di fantascienza, che esula dalle semplici considerazioni economiche e che nel tempo ha sempre mantenuto una sua vivacità di offerte di titoli, oggi riconfermata dai successi di scrittori come Maggiani, Cacucci, P.I. Taibo II e altri. L'obiettivo per queste case editrici è quello di occupare quella nicchia di mercato (a volte occupata dalla piccola editoria), minore ma non insignificante. D'altronde ciò è confermato dalla tendenza generale della grande editoria in Italia che, più che creare nuovi lettori, tende a fagocitare quelli della piccola editoria. É noto come nel nostro paese, a fronte del gran numero di case editrici, circa 2700, quasi il 95% dell'intero fatturato (3500 miliardi) è prodotto da 10 grandi gruppi che controllano, o sono propietari, anche di medie e piccole case editrici. I grandi gruppi, sempre alla ricerca di novità (in Italia, nonostante un mercato asfittico, si pubblicano all'incirca 40.000 titoli all'anno), hanno consolidato la prassi di inghiottire i piccoli editori appena questi sono riusciti a farsi un catalogo dignitoso. I grandi gruppi, inoltre, detengono il controllo quasi totale di tutta la distribuzione. Di fronte a questi colossi che producono in grande maggioranza molta spazzatura - i classici libri/merce con copertine sfolgoranti e scarsi contenuti - è difficile creare spazi alternativi perché anche questi diventano, nella logica di mercato, spazi da occupare. Rimane a noi (e non intendiamo solo noi BFS) l'onere/onore di combattere una battaglia conoscendo già l'esito finale, e nonostante tutto rimanere sul campo per lasciare una traccia di ribellione per le nuove generazioni.

Alcuni compagni della BFS edizioni di Pisa.

Tempo difficile e doloroso
Strano destino quello dei libri. Vent'anni fa (ahimé sembrano passati secoli!) quando la libreria Utopia ha iniziato la sua attività c'era ancora un notevole fermento e interesse per tutte le tematiche sociali, libertarie, antiautoritarie. E i libri si trovavano, certo soprattutto i classici del pensiero anarchico, ma non solo, così come si trovavano opuscoli, giornali, stampa alternativa di controinformazione. Poi, nel corso degli orribili anni '80, gradualmente e quasi inavvertitamente, molti titoli si sono esauriti e non sono più stati ristampati, sia di case editrici anarchiche che «normali», è diminuita drasticamente la produzione di nuovi titoli (salvo per rare eccezzioni come Eléuthera) e siamo arrivati al deserto librario, che d'altra parte corrispondeva in qualche modo ad un «deserto» mentale, psicologico, sociale. Il crollo del muro di Berlino e la fine conseguente dell'equilibrio bipolare e del modello comunista ha portato necessariamente una ventata di vivacità e dibattito soprattutto nel campo della saggistica di «sinistra», ormai priva di punti di riferimento, ma anche in quella libertaria; prima in modo impercettibile, poi sempre più evidente abbiamo visto nascere con gioia in questi ultimi anni nuove case editrici anarchiche e libertarie, nuove pubblicazioni alternative e, soprattutto case editrici «normali» che hanno cominciato a pubblicare autori anarchici e/o libri su personaggi anarchici, nella saggistica come nella narrativa. Insomma, un piccolo boom editoriale che però questa volta non corrisponde affatto a una situazione sociale in fermento. Viviamo un tempo difficile e doloroso in cui non c'è (o sembra non esserci) più alcuna capacità progettuale, alcuna speranza in un cambiamento vero, in cui sul piano economico e sociale sempre più si allarga la forbice tra ricchezza e povertà, fra garantiti e non garantiti, in cui la consapevolezza della nostra vita nel «villaggio globale» rende ancora più difficile immaginare forme e strategie di intervento. Di fronte al senso di impotenza, di inadeguatezza rispetto alla complessità e all'appiattimento verso il più basso minimalismo dei desideri e del sentire, ecco risorgere il bisogno di trascendenza, ecco la diffusione delle filosofie orientali o «native», ecco la fortuna della «New Age» sbarcata come sempre dall'America, ecco il fascino esercitato dall'anarchismo, dalla sua storia, dai suoi più o meno pittoreschi personaggi, essenzialmente per la sua carica millenaristica che la modernità non è riuscita ad intaccare. Non saprei dire se e in che misura la diffusione in fasce ben più ampie di lettori dei nostri temi, della nostra storia possa servire o no alla costruzione di un sentire collettivo. Certo male non può fare, qualcosa resterà. Il fatto triste è che, parafrasando Woody Allen, se Dio è morto e Marx è morto, non è che noi stiamo tanto bene.

Fausta Bizzozzero
Redattrice di «A» Rivista anarchica dal 1971 al 1989. Responsabile della Libreria Utopia di Milano e delle sue attività culturali.

Che il messaggio si faccia azione
Che l'editoria libertaria potesse svolgere un ruolo non irrilevante è sempre stata una delle convinzioni che ci hanno spinto a pubblicare libri negli ultimi venti anni (prima come Antistato, poi come Elèuthera). Il mini-boom in atto, oltre a corroborarci nella scelta fatta, stimola una serie di considerazioni che possono avere un qualche interesse. Innanzi tutto va sottolineato come questa ripresa editoriale della cultura anarchica - e libertaria - sia un fenomeno che tocca tanto l'editoria commerciale quanto quella militante. Soffermiamoci sul primo soggetto. Basta scorrere i cataloghi di case editrici grandi e piccole per accorgersi che, dopo un lungo gelo, l'editoria commerciale negli anni '90 ha ripreso a interessarsi, con una progressiva accelerazione, di anarchismo e libertarismo. Qualche esempio tra i tanti: Stato e anarchia di Bakunin ristampato da Feltrinelli, Stirner sempre in catalogo presso Adelphi, l'opuscoletto Anarchismo incluso nella piccola collana curata dall'Editrice Bibliografica, Godwin presente presso Trimestre Editrice e presso La Nuova Italia, persino Etienne de La Boëtie ripubblicato da Olivares). Uno dei più noti assiomi del mercato recita che dove c'è domanda c'è offerta. Bisogna allora dedurre che nelle librerie c'è stata una «domanda di anarchismo» che l'editoria commerciale si è affrettata a soddisfare (e il fiorire, dopo molti anni, di corsi universitari sull'anarchismo - e dunque di una bibliografia sull'argomento - ha certamente contribuito ad alimentare questa «domanda»). La cosa è già buona in sé, ma c'è un aspetto forse più interessante. In parte, questa attenzione dell'editoria commerciale verso anarchismo e libertarismo - due filoni di pensiero che si sono talvolta intersecati, talvolta sovrapposti e talvolta sviluppati in parallelo - non ha avuto bisogno di sollecitazioni commerciali, ma è stata un riflesso del mutato atteggiamento verso queste tradizioni emerso negli ultimi anni. Tradizioni che sono state riscoperte, che sono state rivalutate, che hanno ritrovato visibilità dopo esser state a lungo vittime di una radicale rimozione dalla storia e dalle coscienze. Seppur con qualche imbarazzo e con residua reticenza, il popolo di sinistra, a dir poco perplesso dopo l'implosione del «socialismo scientifico», e ampi settori dell'intellighenzia (di sinistra, ma non solo) si sono avvicinati con curiosità a queste tradizioni misconosciute e le stanno esplorando con cautela. E l'editoria più sensibile ha risposto, soprattutto per quanto riguarda la riflessione libertaria, a questa curiosità. Un tale «ritorno alla memoria» ci viene confermato non solo nel campo della saggistica, ma anche della narrativa, dove è forse ancora più evidente il mutamento di umore in atto. Ed ecco allora ricomparire nelle narrazioni che la società occidentale dà di se stessa l'anarchico (o addirittura l'anarchismo stesso) come personaggio e talvolta come protagonista di questa narrazione. Non più l'anarchico macchiettistico, la nota di colore comparsa qui e lì nella letteratura, ma un anarchico veridico, con spessore umano e storico, una figura a tutto tondo che non scivola più nell'oleografia e nel folclore (e si possono citare, tra i tanti, due latino-americani, Luis Sepulveda e Ignacio Paco Taibo II, e un italiano, Maurizio Maggiani). Insomma, chi ha avuto un nonno anarchico - e sono stati milioni in tutto l'Occidente - non se ne vergogna più come del parente bislacco da tener un po' in ombra ed anzi ne rispolvera la memoria individuale e la riscrive come memoria collettiva. E così fanno anche i molti, sessantottini e non, che hanno avuto un contatto più o meno profondo con l'anarchismo, che ora ritroviamo, anche solo in un accenno, nelle loro narrazioni (ad esempio Andrea De Carlo e Pino Cacucci). Se dunque la ripresa «commerciale» di anarchismo e libertarismo spinge a valutazioni positive sul nuovo clima culturale, anche la ripresa dell'editoria militante è un segnale positivo sul quale imbastire alcune considerazioni e ipotesi. Innanzi tutto va detto che questo proliferare di micro-editoria libertaria è evidentemente il sintomo di una rinnovata vivacità culturale sia da parte di chi stampa che di chi legge. Oltretutto a questo fenomeno, non nuovo ma ciclico, si affianca la persistenza di alcune iniziative editoriali - BFS di Pisa, Zero in condotta di Milano, Traccedizioni di Piombino, Galzerano di Salerno, La Fiaccola di Ragusa, oltre a Elèuthera - più stabili e consolidate. Nonostante si stia utilizzando la definizione di mini-boom, in realtà si sta parlando di un numero contenuto di titoli all'anno, nell'ordine di alcune decine, sufficienti però ad offrire una scelta abbastanza differenziata (qualche classico, qualche titolo di storia, testi di anarchismo contemporaneo…), caratterizzata da un'incidenza di opuscoli ancora piuttosto elevata e da un tasso di opere tradotte in crescita. La cura e la qualità estetica di questa produzione è sicuramente più elevata che in passato e questo aspetto marca una differenza con l'editoria alternativa degli anni '70, termine di paragone obbligato, quando cura e qualità estetica erano sottovalutate se non apertamente disprezzate. I prezzi dipendono dal tipo di diffusione: sono medio-bassi se si basano sulla vendita diretta, sono medio-alti (vicini a quelli di mercato) se la vendita passa principalmente attraverso il circuito librario. Questo ci porta ad affrontare due quesiti di una certa rilevanza: chi compra questi libri e dove li trova. Il tipo di canale distributivo utilizzato seleziona infatti i possibili acquirenti determinando il raggio d'azione di questa editoria.
La maggior parte della micro-editoria libertaria, talvolta per scelta, talvolta per le intrinseche caratteristiche di irregolarità e produzione limitata, si tiene fuori o ai margini del circuito librario, basandosi come negli anni '70 sul circuito alternativo, ovvero essenzialmente sedi politiche, centri sociali, occasioni di incontri, feste, convegni, ecc. Ma ahimè, il circuito alternativo degli anni '90 si è enormemente contratto rispetto a quello fiorente degli anni '70 ed infatti la capacità di assorbimento di questo canale distributivo è crollata ad un 20% della capacità di assorbimento registrata in quel vivacissimo e alfabetizzato decennio. (Valga come esempio l'esperienza delle edizioni Antistato, attive tra il 1975 e il 1985, e le edizioni Elèuthera, attive dal 1986 a tutt'oggi, entrambi presenti sia nel circuito librario che in quello alternativo: le prime vendevano i 2/3 delle tirature nel circuito alternativo, mentre la relazione è inversa per quanto riguarda Elèuthera). Assestarsi nel solo circuito alternativo pone quindi dei limiti quantitativi alla circolazione di questa produzione libraria. E, cosa ancor più importante, delimita anche il tipo di pubblico che si contatta: quello cioè che già frequenta in modo più o meno sistematico i luoghi di aggregazione dell'area anarchica o più in generale - ma solo per un certo tipo di testi - dell'area «antagonista». Certo si ha a che fare con un «target selezionato», se mi si passa l'espressione, particolarmente interessato alla produzione libraria libertaria (se però si va a misurare l'effettivo tasso di lettura individuale qualche delusione è bene metterla in conto). Ma sono canali ben delimitati che escludono per età, percorsi individuali e idiosincrasie una buona fetta dello stesso pubblico libertario o di quello solamente curioso. Più articolata dunque deve essere la scelta se ci si pone l'obiettivo di raggiungere questo pubblico più vasto e diversificato esterno al circuito militante, e cioè un'area libertaria, fluida e contraddittoria quanto si vuole ma vivace e consistente, la stessa diaspora anarchica, ovvero gli ex militanti spesso rifluiti nel famigerato privato ma tutt'altro che omologati e magari impegnati ora in ambiti sociali come il volontariato o i movimenti cittadini di base, e il pubblico occasionale come lo studente che deve fare un esame sull'anarchismo, il ricercatore che vuole sapere il punto di vista libertario su una data questione, la persona incuriosita da quegli strani animali sociali che sono gli anarchici… Per raggiungere questo pubblico il circuito librario è, purtroppo, l'unica strada a disposizione. E dico purtroppo perché si tratta di una strada impervia e insoddisfacente, di un circuito penalizzante e costoso che, con rare eccezioni (e tra queste non ci sono le Librerie Feltrinelli), negli ultimi cinque anni ha cercato di liquidare il fenomeno della piccola editoria di qualità - l'unico nel quale la micro-editoria libertaria potrebbe collocarsi - a favore delle grandi concentrazioni editoriali. Pur tenendo presente il problema, questo rimane al momento l'unico canale che permette quella visibilità e penetrazione in grado di arrivare ad un pubblico composito altrimenti perso. (Qualcuno potrebbe pensare che il discorso sia un po' prosaico: si parla di assorbimenti, si abbozzano mini-strategie commerciali, si è persino citato il target… Ebbene sì, il discorso è prosaico, ma per quanto alternativa e basata su motivazioni extra economiche, la micro-editoria libertaria i libri alla fin fine li deve vendere. Se li cedesse gratis vorrebbe dire che è sovvenzionata, e in questo caso la domanda d'obbligo è: da chi?).
Ovviamente la scelta migliore non è quella di privilegiare un canale a scapito dell'altro, ma di integrarli a seconda delle proprie possibilità (la distribuzione commerciale assorbe molto tempo e soprattutto denaro: basti dire che si fagocita mediamente il 60% del prezzo di copertina!) e del tipo di produzione (l'opuscoletto di propaganda ha ovviamente poche chances di essere messo in bella mostra nella libreria media…). In effetti, al momento solo una piccola minoranza dei testi pubblicati dalla micro-editoria libertaria arriva sugli scaffali delle librerie. E se è vero che alcuni titoli non avrebbero comunque spazio su quegli intasatissimi scaffali, e bene fanno a girare in un circuito a loro più congeniale, altri vengono sicuramente penalizzati da questa circolazione limitata e mancano il loro obiettivo: portare la cultura anarchica e libertaria fuori dal movimento. L'optimum sarebbe poi di articolare maggiormente la presenza editoriale libertaria includendo un altro canale ormai poco frequentato: la vendita diretta in quelle situazioni quotidiane, come mercati e luoghi del tempo libero, o nelle concentrazioni di vario tipo, come fiere, feste, concerti e quant'altro, dove è possibile entrare in contatto con un pubblico ben più vasto di quello politicizzato del circuito militante o di quello specifico (e peraltro non sterminato) dei lettori consuetudinari. Certo è un pubblico più generico che impone di adattare il proprio messaggio culturale ai contesti nei quali viene veicolato (vale a dire, è meglio evitare di proporre un trattato epistemologico sulle ricadute libertarie della teoria del caos o qualcosa del tipo «Lotte sociali a Valguarnera Caropepe al volger del secolo»…). E tuttavia è un canale che spezza le logiche distributive prevalenti e sembra promettere antichi fasti. Si tratta infatti di un canale purtroppo caduto in disuso - per le notevoli energie richieste che le singole iniziative editoriali, senza un rete di gruppi di supporto, non sono in grado di attivare - ma che in passato, in tempi di furore militante, aveva consentito non solo capillarità e visibilità (per non dire delle vendite), ma anche un uso più proficuo dell'editoria da parte del movimento, che l'aveva trasformata in un proprio strumento di presenza e aggregazione.
Ben venga dunque questo mini-boom editoriale libertario, soprattutto se si pone l'obiettivo di forzare i limiti imposti alla nostra visibilità dai consueti canali distributivi, magari ipotizzando - in particolare per quest'ultimo canale - una collaborazione «tecnica» che, lasciando a ognuno il massimo di libertà espressiva, consenta di mettere insieme maggiori energie umane e finanziarie. Per concludere un'ultima riflessione su stampa ed editoria anarchica. L'impressione è che questa ripresa dell'editoria libraria vada di pari passo con una crisi dei periodici. Vendite in calo e deficit in aumento sono le costanti delle testate principali, mentre il tradizionale proliferare di testate irregolari si è notevolmente attenuato. Questa divaricazione delle due forme di editoria militante è inconsueto, perché di norma alti e bassi si sviluppano in sintonia. Si possono tentare alcune interpretazioni. La vivacità della stampa è legata alla vivacità del movimento militante, ed entrambi mi sembrano in calo. La vivacità dell'editoria libraria è legata alla vivacità della riflessione culturale, ed entrambi mi sembrano in effervescenza. I giornali sono perlopiù lo specchio del movimento, lo stato di salute di questo è legato allo stato di salute di quelli. Un messaggio sedimentato come il libro è indice invece di una cultura forte che sta configurando il proprio quadro di riferimenti, il proprio paradigma. Mi sembra che la ripresa di una modalità e la crisi di un'altra siano sintomi niente affatto casuali che dovrebbero spingere ad una riflessione attenta sulle difficoltà e le aspettative dell'anarchismo in questa specifica fase. Ma attenzione, una volta celebrato nei giusti termini questo mini-boom editoriale e dopo averlo elevato a indicatore di un'analisi urgente, devo anche mettere in guardia sulla sua capacità d'impatto. Per lunga frequentazione, conosco infatti pregi e limiti dell'editoria libraria: e se questa è capace di far circolare cultura forte, non riesce però a creare movimento (nel senso lato del termine), non aggrega, non «fa politica» (nel senso panteista in cui l'usiamo noi immarcescibili sessantottini). Questo fare rete, questo coagulare le forze, nel movimento anarchico è tradizionalmente (anche se non esclusivamente) compito della stampa periodica, non certo dell'editoria. E dalla mia esperienza personale (avvenuta in entrambi i settori dell'editoria) mi sembra di poter confermare questo assunto. E allora, di nuovo, ben venga questo fiorire editoriale libertario, ma che sia una fase di transizione, di ricerca, di aggiustamento. Dopo, e lasciatelo dire a una che bazzica con i libri da vent'anni, che il messaggio si faccia azione.

Rossella Di Leo
45 anni, oltre ad essere responsabile del Centro Studi Libertari/Archivio Pinelli, si occupa delle edizioni Elèuthera ed è redattrice di «Volontà».

Come e perché Samizdat?
Il mondo nuovo, o il mondo che si rinnova, nasce da qualcuno che ha un sogno: la visione che l'ordine delle cose può essere diverso… ecc. ecc. potrei risponderti così. Ma è assumere i toni della favola: c'era una volta! Caro compagno, vivo materialmente e spiritualmente, confrontandomi con i sogni dei miei pazienti (sono psicoterapeuta, a proposito: ora a parlare è Paolo Notarfranchi; poi sarà Fabio Palombo) e ciò mi ha educato ad essere spietatamente realista, a rimettere tutto con i piedi per terra. Samizdat non nasce da un sogno ma da un sogno dimenticato. Quando la vita mi presentò i miei 50 anni e mi chiese un bilancio, per acquisita esperienza, bussai ai miei sogni. Cercai di trovare lì la risposta. Un mattino mi svegliai senza ricordare sogni, ma ossessionato da un verso (non so neanche se ricordato bene) di Gori: «date fiori ai ribelli caduti». E allora ripensai alla mia vita quale incarnazione della Ribellione; amplificai, visionando gli esiti della Ribellione nella Storia che amo, quella dal 14 luglio 1789 ad oggi; cercai il luogo culturale nel quale la Ribellione è finita. Scoprii (scoperta ovvia, è sotto gli occhi di tutti noi; ma ciascuno deve ritrovarla in proprio) che la Ribellione è decaduta in patologia, che il quartiere nel quale abita è molto periferico, abbandonato alla devastazione della maldicenza e porta un nome improprio: nosografia. Niente di nuovo sotto il sole; da 100 anni è così, da quando ci chiamarono Malfattori e noi rispondemmo - con Covelli - «ci chiamiamo spostati». Ma qualcosa di diverso è intervenuto. Non certo l'elemento insignificante della mia equazione personale, ma la raggiunta totalizzazione del dominio. Quello che noi chiamiamo Potere si è fatto sottile e maligno; è diventato satanico come non mai nella Storia a noi conosciuta. Contro alcu-ni, non più la maggioranza (sto parlando dalle nostre parti: occidente di razza bianca, emisfero nord, zona temperata, da Los Angeles agli Urali, tanto per capirci), mostra ancora il ghigno terrifico dello schiacciasassi, usa la galera, la morte, ecc. Contro tutti si è fatto seduttivo, bello, ha assunto l'evidenza di un passaggio logico: «tu, umano d'occidente, non puoi pensare se non con le categorie e le tonalità emotive che io ti dò. Altrimenti ti dissoci, stai male, muori». Questa è la condizione che noi chiamiamo omologazione. Tutto il pensare e l'agire è organizzato, dalla culla alla scuola, alla comunicazione, al morire, attraverso il si che è contemporaneamente consenso (dire si, approvare) e spersonalizzazione (si come anonimazione, perdita dell'Io; si dice, si fa). A questo punto cosa faccio? Mi imbestialisco, mi isolo, rinuncio?! Da ragazzo mi innamorai di Platone e anche oggi continuo a rileggerlo. Nel Cratilo, Platone si interroga sulla potenza della Parola. La Parola è un inganno sofistico, piegabile nella direzione voluta dai potenti (l'omologazione di cui sopra), o la Parola ha una sua identità insopprimibile: è una strada verso la Verità? Forse è un po' entrambe le situazioni: con la Parola vengo ingannato (o io stesso mi inganno), con la Parola posso distruggere l'inganno. Credo nella potenza residuale della Parola, credo che in essa trovi asilo l'Ideale e che l'Ideale abbia un potere dirompente e rinnovatore. Ma non sono così tanto bischero da non capire che la mia parola è fievole al punto di essere inudibile.
Rinuncio? Provo a gridare forte? Ho apprezzato molto la lettera di David Koven ad «A», specialmente dove dice «dovremmo incoraggiare la nascita di una moltitudine di pubblicazioni più piccole che rifletterebbero un impegno più grande ed un legame attivo con le nostre comunità». E cioè, nel mio linguaggio, gridare in maniera diversa la mia Parola. Così è nata Samizdat, questo è il perché. Sul come, presto detto. Mi sono rivolto ad un amico, tecnico dei computer, e gli ho esposto il mio sogno: fammi stampare in proprio, rendimi autonomo e, forse, libero dai ricatti del mercato. Pierluigi mi ha dato la risposta: 1 Power Macintosh 7100/80, 1 scanner, 1 laser 16/600, 1 Risograph 3750, 1 interfaccia per Mac, 1 cilindro Risograph alternativo per il colore rosso. Poi i programmi: Page Maker, prima 5.0 ora 6.0, Illustrator 5.5 ora 6, Photoshop 2.5, Claris Works 2.1, Omni Page, Streamline 3.1, Dabbler 1, Adobe Dimensions 2. Totale 70 milioni di debito con le banche, ben contente di mungere con gli interessi passivi un professionista strampalato che porta ancora capelli troppo lunghi ma che ogni mese salda l'estorsione. Ne ho anche un vantaggio (?) (se è tale decidetelo voi): il furto che mi fanno gli usurai legalizzati (interessi pagati alle banche) mi viene detratto dal furto annuale che mi fa lo Stato (tasse). Ancora non ho capito se godo nel prendere schiaffoni da Antonio invece che da Pasquale. A questo punto ero solo. Avevo l'aiuto di G. Landi di Castelbolognese che mi forniva molti libri da ristampare. Poi venne Fabio e da allora Samizdat va più forte, e lascio a lui la parola.

Paolo Notarfranchi
Via Regina Elena, 113 - 65100 Pescara.

«Il Pensiero» edito a Chieti da Camillo Di Sciullo, fu l'ultimo dei giornali anarchici ad interrompere le pubblicazioni in seguito alle leggi eccezionali del 1894. Da quando, diversi anni fa, mi imbattei in questa singolare figura di anarchico (singolare più che altro per l'immaginario collettivo di una piccola città di provincia come Chieti, portato a pensare che la storia sia passata e passi sempre più lontano di quanto in realtà accada) mi sono ritrovato spesso ad immaginare una ripresa dell'attività editoriale sulle orme del buon Di Sciullo. Fantasticavo una continuità ideale, se non di tempo almeno di luogo, col lavoro di quest'uomo che era riuscito, accanto al giornale, a mettere in piedi una piccola casa editrice che stampava i giornali, i testi e gli opuscoli del movimento anarchico, che era stato per due volte difeso in tribunale da Pietro Gori, che aveva conosciuto il carcere ed il domicilio coatto, che aveva conosciuto Malatesta e molti dei più importanti nomi del movimento anarchico del suo tempo. L'incontro con Paolo mi portò a tirare fuori dal cassetto un piccolo lavoro su Di Sciullo che la Samizdat ha pubblicato come terzo volume della collana «Il Pensiero Libertario». Da allora il nostro rapporto di collaborazione è andato crescendo. Attualmente la Samizdat, accanto alla collana di biografie «Il Pensiero Libertario» sta iniziando l'edizione della collana «Idee di Libertà» e di una collana di opuscoli «Ni Dieu, Ni Maitre». Ma non basta. C'è di più. Stiamo lavorando, insieme ad altri, attorno all'idea dell'apertura, a Chieti, di un Centro di Documentazione, naturalmente intitolato a Camillo Di Sciullo, che si occupi in particolare della storia del movimento in Abruzzo, costituendo un archivio ed una biblioteca. L'ambizione è quella di creare uno spazio di comunicazione che, accanto al recupero della memoria storica del passato, si proponga come strumento di lavoro culturale alternativo nel presente. A proposito: siamo alla ricerca di documenti, libri, lettere, manifesti, fotografie che abbiano attinenza con il movimento anarchico in Abruzzo. Contattateci.

Fabio Palombo
Via Valignani, 71 - 66100 Chieti
Tel. 0871/344106.