Rivista Anarchica Online
A nous la libertè diario a cura di Felice Accame
La cronaca infusa di fiction
Il 19 agosto scorso i giornali riferiscono di quello che loro non esitano a definire come «giallo a Ostia». Una
ragazza di 22 anni ha detto che andava a fare un giro in bicicletta e non è più tornata. Genitori
in angoscia,
iniziano le ricerche. Intervistato, il padre dichiara che la sua figliola era fresca di una delusione amorosa, ma che,
al momento pensava ai suoi studi ed aveva saputo ritrovare il sorriso. A riprova di ciò, cita un episodio
per lui
significativo: venerdì sera, la ragazza, con la madre, era andata in un'arena estiva per vedere un film di
prima
visione. «Un film leggero e divertente», ci tiene a dichiarare, «una storia d'amore con Robert Redford, un attore
che piace moltissimo ad entrambe». Dunque, vediamo un pò: venerdì scorso, 16 agosto, anch'io,
a centinaia di
chilometri da Ostia, sono andato al cinema, ed anch'io ho visto un film con Robert Redford, in prima
visione. Dunque non può trattarsi che di Qualcosa di personale di Jon Avnet. Io e la
ragazza scomparsa abbiamo visto
lo stesso film nello stesso giorno, ma io mi guarderei bene dal ritenerlo «leggero e divertente» come suo padre
- un giudizio cui, non avendo visto il film, evidentemente è stato indotto. Già la sua
classificazione fra le storie
d'amore mi avrebbe posto più di un problema ma mai potrei considerare «leggera e divertente» la
lacrimevole
vicenda di un giornalista, emarginato perché amante della verità, che, preso da sindrome di
Pigmalione, fa salire
una biondina inetta (Michelle Pfeiffer) dalle stalle alle stelle dei network televisivi per poi innamorarsene,
sposarsela e ritrovarsi in crisi d'identità lavorativa. Così, risospinto dai successi dell'amata, verso
i Grandi
Reportages, va a rimestare nel torbido del potere americano e ci lascia le penne. Lei riceve Premi e Attestati di
stima e, abilissima nel trattenere le inestetiche lacrime, prosegue nella luminosa missione ricordandone l'Aurea
Lezione - secondo il noto modello che prevede le chanches offerte dalle società americane sempre
superiori a
quelle annichilite dalla sua corruzione. Più o meno come scambiare Lilly Gruber con Carlo
Marx. Dunque, film tragico anche a livello ideologico, infingardo e stolido, masticato e digerito in salse
diverse già da
tempo, «storia d'amore» anche, ma critica del civile innanzitutto e critica pelosa soprattutto - di quelle ben attente
a che tutto rimanga com'è - e, conseguentemente, né «leggero» né
«divertente». Tuttavia, occorre mettersi il cuore in pace. Al mondo le cose possono anche andare
così: ciò che a me appare
come un artefatto consolatorio - ideologicamente opprimente ed oppressivo -, ad altri - anche a chi l'ha visto
soltanto per sentito dire - può risultare leggero e divertente. E così come a me capita di sospettare
immediatamente
sia del leggero che del divertente, ad altri sia il primo che il secondo possono sembrare la Terapia di tutti i suoi
mali. Che di lenimenti si parli, d'altronde, è confermato anche da un'altra considerazione. Quando,
mi dico, quando
il babbo in ansia tira in ballo il film? Quando si tratta di garantire a sè ed al mondo
l'imprevedibilità dell'evento.
La sparizione della sua figliola non è avvenuta dopo la visione del terrifico e pessimistico
Seven o dopo la
mazzata dei Misteri del convento del celebrato e presuntamente cerebrato Maestro Portoghese De
Oliveira, ma
dopo la rassicurante percezione dell'amato Robert Redford che, nel paradigma casalingo, fa presumibilmente
parte della fortunata serie del «tutto va ben madama la marchesa». Le categorizzazioni (storia d'amore, leggera,
divertente) sono dunque consone ai presupposti: la storia pubblica della fanciulla non palesava indizi e, allora,
le responsabilità dei genitori sono fatte salve. Non c'è più, ma o per volontà altrui
o per una volontà propria
ininvestigabile. Il concentrato di Robert Redford in questione non può indurre né a fughe
né a gesti insani. É così che, a posteriori, ci si racconta le storie della vita - quelle in
cui si intrecciano, come fili da far apparire o
sparire alla bisogna, le storie che raccontano al cinema.
P.S.: Il giorno dopo l'hanno ritrovata. In pineta. Accanto al suo orsacchiotto
preferito, a scatole vuote di
medicinali, alla bicicletta e ad un quaderno su cui - in omaggio ad un oscuro archetipo narrativo - chiedeva
perdono del suo gesto estremo. Ecco che, allora, in un battibaleno di rispetto, Robert Redford scompare dalle
spiegazioni.
P.P.S.: In Qualcosa di personale, Redford rappresenta il diritto
all'informazione pura e mai piegata al
compromesso che, in America come nell'Occidente tutto, è forse l'ultimo residuo di un pensiero
oppositivo.
Tuttavia, al forte abbraccio per un arrivederci all'aereoporto, lei gli fa dono di un suo ritrattino giovanile - di
quando, più che alle durezze del giornalismo, lei mirava alle mollezze di una carriera di miss. Il dono
è bello e
incartato, ma nelle transazioni minori americane non è previsto il tranquillo rito di scartarselo a casa, in
santa
pace: il consumo ha da essere immediato, perché ogni durata, giustamente, è
considerata socialmente e
individualmente pericolosa. Redford scarta subito, dunque, e butta la carta per terra. Poi lei sale le scale mobili
della sua carriera e, dall'alto, saluta e sorride felice. Giù, in un lindo pavimento, rimangono Redford e la
sua
solitaria cartaccia. Che di tale contraddizione ne debba più tardi pagare il fio, lo si può arguire
già da lì.
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