Rivista Anarchica Online
Graduatorie
di Carlo Oliva
Prima: Sondrio. Seconda: Reggio Emilia. Terza: Forlì. Queste le città vincitrici della consueta
classifica annuale
sul posto migliore in cui vivere. Ma quali sono gli interessi e i punti di vista di chi ha promosso una simile
graduatoria?
Spero di non offendere nessuno, in particolare gli amici e lettori valtellinesi e i
militanti delle organizzazioni
libertarie che sicuramente allignano ai piedi dello Spluga e del Bernina, ma io alla classifica annuale del
Sole 24
ore, quella secondo cui il posto migliore in cui vivere, in questo nostro travagliato paese, è la
città di Sondrio,
proprio non riesco a credere. Non che intenda negare i pregi e le bellezze di quel capoluogo alpino, che non
conosco direttamente, ma di cui non ho sentito dire che meraviglie, e non mi passa neanche per la testa l'idea di
mettere in discussione i dati oggettivi in base ai quali la classifica è stata elaborata. Sono sicurissimo che
lassù
il reddito è alto (la bellezza di 34 milioni a cranio, che fa il secondo posto dopo la mia sciamannata
Milano); che
le spese per le assicurazioni sulla vita hanno raggiunto la cifra record di 565.000 lire pro capite; che
l'atmosfera
è limpida e l'ambiente è sano; che ci sono due banche popolari solide come la corazzata
Potëmkin, capaci di
pompare soldi e convogliare risparmio da un'area più vasta del Benelux; che i servizi pubblici funzionano
come
orologi (svizzeri, ovviamente) e le poste recapitano il 100% delle lettere spedite nell'arco delle 24 ore (a Milano
dicono che ne consegnano il 62%, ma non ci credo); che la criminalità giovanile ha meno
possibilità di attecchire
che le palme nella valle del Maloja; che la media dei furti d'auto per 100.000 abitanti è attestata su un
ridicolo
53 (a Palermo sono 784) e che quella degli omicidi, con un misero 0,6, è praticamente irrilevante. Ma
se vi
dicessi che tutte queste informazioni accendono in me il desiderio impellente di trasferirmi a Sondrio (o, quanto
a questo, a Bolzano, ad Aosta, a Belluno, tutte città che negli anni scorsi avevano nella stessa classifica
la
posizione di testa), be', credo proprio che mentirei. Sarà perché alla mia età temo il
freddo, detesto la neve e
l'idea di vedere il sole sparire all'improvviso dietro una cresta aguzza di monti mi procura un'angoscia
insostenibile. Ma è anche vero che Reggio Emilia e Forlì, che con percentuali più o meno
simili detengono
solidamente il secondo e terzo posto sono in pianura e, sempre senza offesa per nessuno, restano altrettante
lontane dal mio ideale di luogo in cui vivere. Sì, so cosa state per obiettare. I miei ideali (un termine
un po' pomposo, che nel contesto indica soltanto le mie
preferenze, i miei personali criteri di scelta) in faccende del genere non interessano a nessuno tranne che a me.
Le graduatorie di questo tipo si fondano su basi statistiche e l'assioma base delle statistiche è quello per
cui esse
non hanno un significato particolare per i singoli individui. Dire che in un posto si gode di un certo tenore di vita
medio non garantisce che ne godano tutti i residenti e il fatto che la media degli omicidi per 100.000 abitanti sia
dello 0,6 consolerà ben poco quel singolo, sfigatissimo uno su 166.666 che viene comunque accoppato.
Il fatto
che al cittadino Oliva non piaccia l'idea di vivere tra i monti non esclude in alcun modo che il posto migliore in
cui vivere, statisticamente parlando, si trovi in alta montagna. Ci mancherebbe altro. Le preferenze personali
contano, certo, ma anch'esse vanno censite e ordinate secondo le apposite procedure. Tutto questo,
naturalmente, è vero. Ma solo fino a un certo punto. Perchè il problema, a pensarci bene, non
è
quello del valore delle statistiche, su cui è fin troppo facile mettersi d'accordo: è quello della
definizione dei
criteri in base a cui le statistiche si fanno. E qui le cose si complicano. A me, per dirne una, piace il mare, e per
di più ho sempre pensato che una città, per essere veramente degna di viverci, debba aver fatto
parte, in qualche
fase della sua storia, dell'impero bizantino, il che significa che se proprio dovessi lasciare Milano, che arranca
dalle parti del cinquattottesimo posto, potrei scegliere un capoluogo classificato ancora più in giù:
magari persino
Palermo, che, nella graduatoria del Sole 24 ore, manco a dirlo, è regolarmente in coda.
Ammetto che questi sono
criteri affatto personali, per cui non ho niente da obiettare se per definire quella classifica non sono stati impiegati.
Ma anche quello del reddito medio pro capite, in fondo, è un criterio personale di chi lo ha
scelto e lo ha preferito,
tanto per dire, a quello del numero delle ore di sole, o, se vogliamo restare in campo economico, a quello
dell'equità nella distribuzione della ricchezza. Ricevere la corrispondenza entro le ventiquattro ore da
quando
è stata impostata è una gran bella cosa, ma in termini di soddisfazione personale molto dipende
da cosa c'è scritto:
nessuno esulterà per una comunicazione di licenziamento o di sfratto o per un invito a partire seduta
stante per
il fronte, per quanto celermente recapitati. Che i tempi necessari per incassare la prima rata della pensione siano
brevi (sì, anche questo è un criterio preso in esame) è cosa altamente auspicabile, ma non
al punto di far sperare
che passino le ipotesi di riforma delle pensioni caldeggiate dalla più parte delle forze politiche, ipotesi
secondo
le quali quel tempo potrebbe ridursi tranquillamente a zero, nel senso che buona parte degli aventi diritto
avrebbero ampie probabilità di crepare direttamente sul posto di lavoro. L'economia è l'economia,
certo, ed è
sempre meglio vivere in un paese ricco che in un paese povero, ma non è scritto da nessuna parte che il
numero
delle banche popolari e la solidità dei loro bilanci determinino la felicità di altri che non i loro
azionisti e manager.
Il benessere può essere visto come un dato da rilevare, se ci si crede, ma anche come un obiettivo da
perseguire
e, come diceva - non scandalizzatevi, prego - il vecchio Marx, quando il problema è quello di raggiungere
un
obiettivo (in campo sociale l'attività necessaria si chiama "politica"), più che dall'economia
è meglio partire dalla
critica dell'economia. In realtà, l'unica informazione veramente certa che classifiche come quella di
cui sopra aiutano ad acquisire
riguarda il modello di cittadino che i loro estensori hanno in mente. Un cittadino cui sta a cuore il livello della
ricchezza a prescindere dalla sua distribuzione (evidentemente perché delle lire che girano la più
parte è già in
tasca sua), che si preoccupa della solidità delle banche in cui fare i suoi investimenti, che apprezza il
funzionamento dei servizi, la pulizia dell'aria, la tranquillità sociale e la possibilità di lasciare il
fuoristrada
parcheggiato all'aperto senza che glie lo freghino e se la disoccupazione cresce (a Sondrio cresce, come altrove),
con il correlato diffondersi dell'alcolismo (che in quelle valli va mica male) e l'inesorabile aumentare della
percentuale dei suicidi giovanili (un altro record di quella felice città) non se ne cura più di tanto
perché in fondo
non sono affari suoi e anzi una certa dose (un "tasso fisiologico") di disoccupazione tiene simpaticamente basso
il mercato del lavoro ed è quindi condizione di un sano andamento dell'economia. Un ideale che non
rappresenta,
come è ovvio, il cittadino medio di Sondrio, ma può ben essere il punto di riferimento del
Sole 24 ore, giornale
che ha, notoriamente, un ottimo supplemento culturale, ma sempre organo della Confindustria è.
Perché dietro
l'oggettività di qualsiasi indagine, se solo si fa un piccolo sforzo, si finisce sempre per ritrovare gli
interessi e i
punti di vista di chi l'ha promossa. Né questo, d'altronde, inficia sempre e comunque la serietà
della ricerca.
Basta solo saperlo.
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