Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 27 nr. 238
estate 1997


Rivista Anarchica Online

Dolly chi? Dolly Bell?
Colloquio di Emanuela Scuccato con Angela Alidi, Marinella Antonelli, Raffaella Molena e Enrichetta Susi

A colloquio con alcune scienziate della comunità Ipazia su donne, ricerca scientifica, clonazione, regole e divieti, riproduzione, ecc.

Com'era prevedibile, la povera Dolly è caduta nel dimenticatoio. Di lei non abbiamo saputo più nulla, nemmeno come sta ora, a distanza di qualche mese - era nata il 27 febbraio scorso - dalla sua presunta clonazione a partire da una cellula di individuo adulto. Infatti, chi si è preoccupato di far seguire un'informazione scientificamente corretta ai titoloni da grancassa di quasi tutte le prime pagine dei quotidiani nazionali, è stato soltanto qualche raro giornalista, appartenente a quella specie oramai in via di estinzione di professionista competente e capace di farsi leggere, che per solito, passata la bagarre, viene confinato nelle pagine interne del giornale.
Tra questi vi è senza dubbio Pietro Greco.
E allora è saltato fuori che la clonazione della pecora Dolly potrebbe forse essere un "clamoroso bluff". Che forse la rivista Nature, che per prima ha dato la notizia dell'esperimento di Edimburgo, non è stata poi così rigorosa nel verificare dal punto di vista scientifico i diversi passaggi dell'articolo con il quale Ian Wilmut e la sua équipe rivelavano al mondo la straordinaria scoperta (v. Pietro Greco ne l'Unità del 14.03.1997).
In fondo, questa di Dolly, non è che l'ennesima vicenda esemplare della distanza che separa la co-munità scientifica dal resto del mondo e dell'abituale confusione allarmistica ingenerata da un'informazione pasticciona e raffazzonatrice, che "invece di acquisire e di far acquisire una coscienza critica dei valori e dei limiti della conoscenza scientifica, dei modi attraverso i quali il sapere scientifico si costruisce, dei condizionamenti socioeconomici e culturali che essa subisce...", denuncia Marina Frontali, ricercatrice presso l'Istituto di Medicina Sperimentale del Cnr, "oscillando tra mitizzazione e demonizzazione", finisce col porsi quasi sempre come "un obiettivo ostacolo alla comunicazione" vera tra addetti e non addetti ai lavori.
L'incontro con le scienziate della comunità "Ipazia" (v. riquadro) di Milano mirava dunque a stabilire un contatto diretto con quelle donne che, forti della loro esperienza professionale e della loro passione scientifica, certamente potevano fornirmi, in tema di clonazione, salde coordinate di riferimento. M'intrigava, inoltre, la possibilità di avvicinarmi alla "science question" attraverso uno sguardo di donna. Attraverso lo sguardo di alcune donne, competenti e consapevoli di sé. " ... Queste donne erano disposte, per scoprire l'ordine fra le cose... senza cacciarlo nello stampo, con l'approssimazione che non avvicina, a mettere allo scoperto e a modificare le relazioni tra loro, per vedere se l'ordine portava traccia di questi movimenti.", scriveva la matematica Angela Alioli a proposito della sua stessa esperienza in "Ipazia" (v. "Autorità scientifica autorità femminile" a cura di Ipazia, Editori Riuniti 1992).
E affermava: "Questa modalità di indagine mi ha attratto come la più rigorosa e scientifica in cui mi sia mai imbattuta".
Concordi tutte nel ritenere che la discussione dovesse seguire il desiderio e il piacere di ciascuna allo scambio, piuttosto che il rigido cliché dell'intervista, per questo primo approccio si è dunque optato per l'informalità. Nel riprendere poi la nostra conversazione mi sono resa conto che il criterio adottato è stato in questo caso fecondo. Anche parlando di politica o di femminismo, si individua infatti, sempre presente tra le righe, uno sguardo vigile e attento, capace di frugare tra le pieghe del discorso, di cogliere sfumature di significato, di fornire continui stimoli all'approfondimento. Soprattutto di darci uno spaccato, inedito al di fuori di un certo ambito, delle modalità di relazione e di lavoro di un gruppo di scienziate che alla loro attività di ricercatrici hanno voluto affiancare una pratica di confronto e di comunicazione circolari sempre in fieri. Con tutte le contraddizioni che possono derivarne.
(L'incontro del 14.04.'97 è avvenuto con quattro delle sei scienziate che attualmente fanno parte di "Ipazia". Esse sono: Angela Alioli, matematica; Enrichetta Susi, laureata in chimica industriale e ricercatrice presso il Cnr di Bologna; Marinella Antonelli, biologa; Raffaella Molena, specialista Cnr di problematiche inerenti il "trasferimento tecnologico".
Le altre due donne di scienza che non hanno potuto essere presenti sono Marina Pasquali, biologa, e Gabriella Lazzerini, insegnante)

Com'è nata "Ipazia"?

Alioli L'idea è nata da una scommessa: quella cioè di mettere assieme donne di scienza, competenti in una qualche disciplina, con donne che, pur non avendo una competenza particolare, fossero comunque interessate a interrogare la scienza e a capire questa frattura tra il vivere quotidiano e le parole che vengono dette nella "cittadella". Questa scommessa è effettivamente riuscita. Quelle che avevano una competenza disciplinare e quelle che noi all'inizio avevamo chiamato "le incompetenti" sono partite insieme per precisare verso quali direzioni muoversi e come.
Il lavoro è stato molto interessante, ma si è coagulato veramente solo quando è arrivata Enrichetta Susi che, essendo una ricercatrice Cnr di fisica allo stato solido, portava con sé una grande consuetudine con il metodo sperimentale. Con lei è venuto fuori un problema molto sentito da ciascuna di noi, sul quale potevamo incominciare a lavorare, cioè quello dell'autorità scientifica. Tutte, infatti, avevamo verificato che ci appellavamo alle regole date dalla comunità scientifica senza riuscire a farci davvero attraversare da queste e a farle rivivere secondo il nostro proprio sapere.

Avevate in comune, quindi, il bisogno di confrontarvi con persone che sia dentro che fuori della "cittadella" avessero interesse a mettere in discussione...

Alioli ... Soprattutto che avessero riflettuto sui legami di ciascuna e di ciascuno all'interno di una comunità scientifica molto compatta.

Vi conoscevate già prima?

Alioli No, no... Enrichetta Susi è arrivata perché aveva letto un pezzetto che avevo scritto io sul Sottosopra oro, che si intitolava "La prima dimensione". Lei ha letto questa cosa, ci siamo incontrate al Coordinamento di Bologna, e da lì... Perché in "Ipazia" un primo lavoro di riflessione era già stato fatto. Era stato fatto con la biologa Marina Pasquali, che si occupava di sieropositività all'Istituto dei Tumori. L'arrivo di Enrichetta ha però tagliato via tutta una serie di questioni che in qualche modo ci frenavano, per esempio quelle sull'incompetenza scientifica. Lei è riuscita a mostrare con grande evidenza che appena ti togli dal tuo settore disciplinare sei altrettanto incompetente. Fatta questa "pulizia", abbiamo potuto cominciare veramente a riflettere in modo propositivo su quello che ci mancava per sentirci più libere all'interno della comunità scientifica. Ed è nato questo libro, Autorità scientifica autorità femminile, che rappresenta una prima tappa del nostro percorso...

Un momento di riflessione che diventa documento...

Alioli Ecco, una cosa che abbiamo osservato è che la riflessione delle scienziate è meno avanzata rispetto a quella per esempio delle filosofe. Le ipotesi che io faccio per tentare di capire questo sono due. Una è che i vincoli della comunità scientifica siano davvero così forti, rispetto ad altri ambiti, da non lasciare quasi margine. L'altra, invece, è che le donne di scienza debbano lavorare talmente tanto per tenersi a galla in un ambiente così ferocemente competitivo da non potersi proprio permettere di investire del tempo nella riflessione. Ti dico soltanto di mediche che noi abbiamo incontrato, o di ricercatrici, molto interessate all'esperienza di "Ipazia", ma che veramente non hanno il tempo...

Stare al passo con la ricerca scientifica, tenersi aggiornate, il laboratorio... Posso immaginare cosa vuol dire, la fatica.

Susi Il lavoro prende ed è un lavoro molto specialistico. Avere il tempo e la voglia di interrogarsi sul senso di quello che si fa è poco comune sia tra gli uomini che tra le donne. Per esempio adesso che si parla di riforma degli Enti di Ricerca, una riforma alla quale bene o male tutti i colleghi sono interessati, non si riesce a trovare il tempo di discuterne... Si viene presi da un ingranaggio che cammina per conto suo...

Di recente, per contro, si è parlato molto della necessità di una assunzione di responsabilità da parte di chi opera nell'ambito della ricerca scientifica. Se ne è parlato a seguito dell'esperimento di Edimburgo, insistendo soprattutto, e con toni apocalittici, sull'eventualità che la sperimentazione sui cloni possa presto riguardare anche l'uomo...

Alioli Infatti, nel momento in cui chi si occupa dei tanti "pezzetti" di scienza non ha il tempo di riflettere, il problema diventa un problema sociale.

Antonelli E probabilmente è anche la causa di tutti questi turbamenti etici...

Alioli ... Di tutta questa confusione. Perché la comunità scientifica, che resta molto lontana da quella che è la vita quotidiana, viene mediata in un modo che è sotto gli occhi di tutti.

Antonelli Il problema fondamentale di chi fa ricerca scientifica è che per aggiudicarsi i pochi fondi a disposizione occorre pubblicare a tutti i costi i risultati del proprio lavoro. La necessità di arrivare per primi alla "scoperta" - pubblicare o morire - porta inevitabilmente o a degli errori o a poco rigore...

Come pare sia successo con Dolly...

Antonelli Il caso di Nature, una rivista scientifica molto accreditata, è sempre più eclatante. Sono stati pubblicati dati scientifici incompleti.

Susi È un problema generale di crisi di tutto il sistema dell'informazione. Adesso le riviste scientifiche sono moltissime, anche loro in forte competizione. Si contendono gli autori e c'è un'oggettiva carenza di esperti. C'è fretta. Dal momento poi che dalla fine della guerra fredda i finanziamenti per la ricerca sono stati tagliati in tutto il mondo, chi crede di aver ottenuto un risultato, tende a farlo conoscere subito. Anzi, spesso lo presenta ai giornali prima ancora di pubblicarlo su una rivista specializzata...

... I quali, per le stesse ragioni dei ricercatori - pubblicare o morire...

Susi ...Ci si buttano sopra. Fortunatamente questo nel mio settore non succede. Quello che si fa nel campo della fisica allo stato solido in genere non interessa a nessuno, né ai giornalisti né al pubblico. Vedo però quello che succede in altri ambiti della fisica. Spesso c'è chi parla proprio a vanvera...

Alioli Beh!, chi fa giornalismo scientifico dovrebbe perlomeno avere l'accortezza di scegliere di chi fidarsi, perché nella scienza i dati hanno un pedigree, non sono tutti uguali. Insomma, non è perché vedo una statistica, dei numeri, penso che sia asettica e ci credo.

Niente è asettico...

Alioli Infatti. Io ho per esempio imparato a fidarmi di alcune donne di scienza, ad ascoltare il loro parere in merito a molte cose di cui leggo o vengo a sapere. Ogni volta mi chiedo: ma chi la dice questa cosa? Sono anche dell'idea che occorra fare i nomi e i cognomi di chi ti fidi e di chi non ti fidi. Di chi ha lanciato una bufala - ricordandosi di segnalarlo sempre - e di chi invece è più attento.

Susi A volte basta anche solo fare qualche telefonata per verificare. Per esempio questo discorso della clonazione è una cosa di cui si parla da più di dieci anni. Mi ricordo che ci fu tutto un dibattito, tra l'altro, anche da parte di donne del Movimento, che dissero: "Ah!, la clonazione... È il metodo per i maschi di fare a meno delle donne!". Invece, se c'è una cosa che emerge, è esattamente il contrario. Prima di tutto c'è bisogno delle donne perché per l'embrione ci vuole un utero. Poi, sembra certo che la clonazione si possa fare solo a partire da cellule femminili... Questo per dire come l'abitudine di sparare giudizi o di demonizzare comunque tutte le nuove scoperte, di trovarci sempre la cosa catastrofica, la minaccia per l'umanità...

Antonelli Sì, pare proprio che la clonazione si possa fare solo a partire da cellule femminili, cellule mammarie, che sembra conservino la capacità di riprodursi. Per quanto riguarda la clonazione di Dolly, la portata dell'evento viene ora messa in discussione per il fatto che l'équipe coordinata da Ian Wilmut, che credeva di aver scoperto che un DNA adulto può essere riprogrammato, in realtà non è stata in grado di dire quale tipo di cellule mammarie aveva prelevato, se "adulte" o staminali, cioè allo stato embrionale. Ed è stato qui l'errore di Nature...

Susi È chi ha fatto questo comunicato alla stampa che ha operato questo passaggio. Gli scienziati di Edimburgo lo dicevano chiaramente nell'articolo... Che avevano preso delle cellule mammarie, ma non avevano accertato di che natura fossero.

Antonelli In ogni caso è passata la notizia che si trattava di un DNA adulto. Primo, quindi, questo fatto. Secondo, per la fretta di pubblicare non hanno controllato se la pecora stava bene, ossia se i suoi cromosomi avevano subito delle alterazioni. Ma il discorso della necessità della donna nella sfera riproduttiva, che era venuto fuori prima e che porta con sé tutta una serie di implicazioni filosofiche, politiche ecc., trova in biologia anche altre conferme. Si è dimostrato per esempio che da alcune uova non fecondate di certi animali - l'ape è tra questi - possono benissimo avere origine degli organismi. La partenogenesi, insomma. Qual'è allora la funzione dello spermatozoo? ci si è chiesti. Su questo punto i biologi non sono concordi. Secondo alcuni lo spermatozoo avrebbe principalmente la funzione di stimolare la divisione della cellula uovo, un ruolo quindi del tutto secondario rispetto a quanto si è ritenuto finora. Per realizzare l'esperimento di Edimburgo, per clonare Dolly, gli scienziati si sono serviti dell'elettricità. Una prima scossa elettrica ha consentito di immettere il nucleo della cellula adulta nella cellula staminale. Una seconda scarica ha poi dato l'impulso alla divisione. Quindi la scossa elettrica, dando impulso alla divisione, ha praticamente sostituito lo spermatozoo. Se penso alla costruzione, a partire dai Greci, del seme come Dio della vita, è incredibile, è veramente una cosa incredibile...

Susi È molto comprensibile invece. C'è un libro che ho presentato di recente a Firenze, Uomini e padri si intitola, di una antropologa, Giuditta Lorusso, che propone a questo proposito una lettura molto interessante. Secondo questa studiosa, all'origine delle strutture di parentela e quindi di tutta la costruzione per il passaggio alla civiltà fondata sullo scambio delle donne, ci sarebbe il fatto che nelle società primitive il ruolo del padre non era conosciuto. Cioè non si sapeva che l'uomo contribuisse alla fecondazione e si pensava che le donne venissero fecondate dagli spiriti. Questa ignoranza circa la partecipazione maschile alla riproduzione avrebbe reso necessario creare delle strutture sociali che permettessero di integrare gli uomini, associandoli in qualche modo alle donne e ai loro bambini. Per ragioni di civiltà, di mantenimento. Io sono convinta che anche noi potremmo avere presto un problema del genere...

Alioli Però, finché non viene percepito da parte delle donne che questa mediazione va fatta, e viene invece introiettato il desiderio maschile di liberarsi del corpo femminile... Mi viene in mente, perché mi aveva molto colpita, quell'articolo apparso in prima pagina su l'Unità del 31.05.'96. Lì si dava in sostanza conto della messa a punto di una speciale tecnica di espianto e conservazione delle cellule progenitrici dello spermatozoo, una tecnica sperimentata per il momento soltanto sugli animali - ma si sa che dagli animali all'uomo il salto è molto breve a livello di immaginario. Insomma si ipotizzava una sorta di immortalità dello sperma... Qui, secondo me, veniva proprio fuori molto chiaro il sogno di liberarsi dell'ingombrante corpo femminile e di garantirsi su di esso un controllo asettico e pervasivo.

Da questo punto di vista mi pare che il dibattito pubblico si sia fatto più cruento, che sia in atto una certa recrudescenza...

Alioli Ed è su questo che bisogna fermarsi a pensare: come riportare il dibattito a dei livelli accettabili. Questa storia del "mettiamo le regole", "facciamo le regole", all'interno della comunità scientifica è inefficace...

Susi Assolutamente inapplicabile. Ci sono stati molti tentativi di fare dei protocolli, ma non hanno mai funzionato.

Antonelli Volevo però specificare ancora una cosa a proposito della clonazione. In realtà esistono due diversi modi di clonare gli organismi pluricellulari. Il primo è quello che è stato adottato dagli scienziati di Edimburgo per Dolly, ed è un'operazione che era già stata fatta vent'anni fa con le rane e le salamandre, non è una novità... La novità sta nel fatto che la sperimentazione ha avuto luogo sui mammiferi. L'altro modo - e anche qui si apre un discorso etico - ha invece come base di partenza gli embrioni. Da un embrione di 8 - 16 settimane si può infatti prelevare una cellula e farla dividere, clonare. Da qui tutta la polemica sulla liceità o meno della conservazione di cellule ed embrioni anche a lunga scadenza... Volevo solo chiarire questo dato tecnico, che le modalità di clonazione sono due e che quando si parla di questo in termini generali si può intendere o l'una o l'altra.

A proposito di "regole", di veti ministeriali e quant'altro, anch'io sono convinta che non servano a niente, che non possano fermare la sperimentazione in nessun caso. A mio avviso, soltanto un'adeguata informazione, che abbia cioè caratteristiche di trasparenza, chiarezza e tempestività, e che sia il più possibile diversificata, potrebbe realisticamente porsi come garante delle libertà individuali...

Susi Sulla inutilità di "regole" e veti non ci sono dubbi. L'esperienza storica dimostra che nessun tipo di vincolo o di legge è riuscito a bloccare la sperimentazione. Almeno finché c'è qualcuno che è interessato a farla. Nel caso della clonazione è molto semplice: è un interesse veterinario, zootecnico. La possibilità di clonare permette di riprodurre lo stesso animale di buona qualità senza i rischi della riproduzione incrociata. Quindi si riproduce la stessa pecora bellissima, la stessa mucca bellissima...

Recentemente Einaudi ha pubblicato i saggi su Tecnica, medicina ed etica di Hans Jonas, il filosofo scomparso quattro anni fa, che con grande anticipo sui tempi si era per esempio interrogato a fondo sul tema della clonazione. Convinto assertore della necessità di sottoporre la tecnologia ad un esame etico continuo, Jonas auspicava che anche nell'ambito della ricerca venisse imboccata la strada dell'assunzione di responsabilità.

Molena Non a caso Jonas non era uno scienziato...

Alioli O si sposta la mediazione, si costruiscono altri luoghi per la mediazione, che non siano più solo nella "cittadella", oppure fra chi sta nella "cittadella" e chi ha i soldi per la ricerca, o non saranno le regole enunciate a fermare tutto questo.

In relazione a quanto stavate dicendo prima, dello slittamento dell'importanza dell'uomo nella riproduzione, quali sono state le riflessioni all'interno della comunità scientifica? cosa ne pensano i vostri colleghi maschi di questa possibilità?

Susi Questa possibilità non viene presa in considerazione, nel senso che non se ne sono neanche accorti. Però vedo dei segni che mi preoccupano. Io penso che noi abbiamo questo grosso problema politico, lo ripeto, di dover offrire agli uomini una mediazione. Perché sta crollando un ordine - che era quello patriarcale - e questo crea sempre disordine. E in questa situazione di disordine, se non riusciamo noi a ripristinare un ordine, io temo un'esplosione di ulteriore violenza. Cioé il fatto che in Algeria sgozzino e sventrino le donne, il fatto che in Bosnia abbiano cominciato la guerra stuprando le donne... Per me non sono manifestazioni di arretratezza, sono manifestazioni di una guerra tra i sessi... Le avvisaglie che questo disordine crea ansia ci sono già, sono nelle repressioni violente alle quali assistiamo quotidianamente nel mondo.

Alioli Il conflitto tra i sessi credo che non lo vogliano risolvere con la diplomazia...

Susi Dobbiamo essere in grado di proporre una mediazione che faccia vedere agli uomini i vantaggi che anche loro possono trovare in questo nuovo ordine. Ci sono uomini, specialmente giovani, che stanno scoprendo un diverso rapporto col proprio corpo, anche attraverso la paternità, il rapporto coi figli. Io penso che per un giovane uomo avere un rapporto di accudimento del proprio figlio maschio - con la femmina il discorso è leggermente diverso - possa essere una cosa molto civilizzante, molto utile. E che gli dà un vantaggio rispetto alla situazione precedente.

Alioli Secondo me dà modo di fare i conti con il proprio modo di esprimere sessualità, perché significa appunto trovare forme di piacere, confrontarsi con un piacere diverso del corpo che non compare nella testa di moltissimi, di quasi tutti gli uomini. È proprio un problema di sessualità.

Molena Tornando all'etica... Molti, senza avere nemmeno un minimo di competenza scientifica, si credono comunque in diritto di dire la loro. Mentre invece in Economia, dove ci sono delle cose aberranti, di etica non se ne parla proprio...

Se qualcuno chiedesse direttamente a voi, che lavorate in ambito scientifico, se ritenete necessario "uno statuto dell'embrione", cosa rispondereste?

Alioli Ma questa è una domanda facile. La risposta è no, "uno statuto dell'embrione" non è affatto necessario. Di questo sono sicura.

Susi È una cosa folle!

Alioli Ti segnalo un libricino, Il tormento e lo scudo, che riguarda appunto la legge sull'interruzione di gravidanza. È di Laura Conti, una donna geniale morta da poco. Lei opera qui con grande ironia una sorta di slittamento semantico: dalla stella come lumino all'embrione come bambino, scrive. La Conti ha proprio questa grande lucidità...
Emanuela Scuccato

Bibliografia
Donne di laboratorio di Marina Frontali in Donne di scienza: esperienze e riflessioni, a cura del Centro di Documentazione Donne di Bologna (Rosenberg & Sellier, 1988);
Tecnica, medicine ed etica. Prassi del principio di responsabilità di Haus Jonas (Einaudi);
Il tormento e lo scudo, un compromesso contro le donne di Laura Conti (Mazzotta 1981);
a cura di "Ipazia": Quattro giovedì e un venerdì per la filosofia (Libreria delle Donne - Collana via Dogana 1987);
Autorità scientifica autorità femminile (Editori Riuniti 1992);
La misura del vivente (Libreria delle Donne - Scienza 1984);
è in corso di pubblicazione: C'è una sola medicina (Libreria delle Donne - Collana via Dogana).

Ipazia di Alessandria

Dopo quello di Marie Curie, premio Nobel per la fisica nel 1903 - aveva studiato la radioattività e insieme al marito Pierre aveva scoperto il polonio e il radio -, quello di Ipazia di Alessandria (370 - 415) è senz'altro il nome di scienziata più noto anche a chi non si sia mai direttamente occupato di storia del pensiero scientifico.
"Pagana, seguace del razionalismo greco e figura politica di rilievo in una comunità sempre più marcatamente cristiana", come ci racconta la studiosa Margaret Alic nel suo agile saggio L'eredità di Ipazia - Donne nella storia delle scienze dall'antichità all'Ottocento, per la sua intransigenza di libera pensatrice Ipazia venne brutalmente assassinata nel 415 da un gruppo di monaci seguaci di Cirillo, "fanatico militante della cristianità" (v. Alic), divenuto tre anni prima patriarca di Alessandria.
L'efferato omicidio, che ci viene narrato fin nei suoi raccapriccianti particolari dallo storico cristiano del V secolo, Socrate Scolastico, segna la fine di un'epoca: quella della scienza antica. Dopo Ipazia, brillante astronoma che si occupò anche di matematica, meccanica e tecnologia, oltre che di filosofia com'era ovvio per una intellettuale del suo livello, le discipline "hard" nelle quali l'alessandrina eccelleva conobbero infatti per mille anni una sorta di blackout.
Ricordata principalmente per il suo Corpus Astronomico sui moti dei corpi celesti; per una serie di commentari all'Aritmetica di Diofanto (III sec.), il fondatore dell'algebra; per un corposo trattato di divulgazione dei Conicorum Libri del matematico Apollonio di Perge (III sec.); per l'intensa collaborazione professionale con il padre, il matematico e astronomo Teone; altresì ricordata per l'invenzione dell'astrolabio piatto, l'affascinante figura di Ipazia di Alessandria assurge a icona proprio nel nostro secolo.
Scrive Gemma Beretta, l'autrice di una bella monografia sulla scienzata egiziana: "...Ipazia fu una dei più importanti protagonisti di un movimento di rinascita culturale che si ispirava alla tradizione ellenica e si contrapponeva alla politica di potere della chiesa gerarchica degli episcopi. Questo ruolo pubblico in un momento in cui la chiesa osteggiava l'autorità delle donne e della scienza le costò la vita...".
Ed è proprio per la singolarità di questa intellettuale, attiva in un'epoca in cui ancora si disquisiva accanitamente sulla questione se le donne avessero o meno un'anima, che gli ultimi venticinque anni hanno assistito ad un vero e proprio boom dell'interesse storiografico per la sua vita e il suo pensiero.
Numerosi "gruppi, comunità, riviste scientifiche e filosofiche sono state chiamate Ipazia", ci informa la Beretta. "Nella sola Milano ve ne sono due, una comunità scientifica e una workstation nell'osservatorio astronomico di Brera".
Tra quanti scrissero dell'astronoma alessandrina, non mancarono però i detrattori. Ce ne dà testimonianza la Alic che, partendo dall'antichità fino ai giorni nostri, ha compiuto un'accurata ricognizione dei diversi ritratti che di Ipazia sono stati resi: da quello che la figurò come un essere diabolico che "ipnotizzava i suoi studenti" (v. Giovanni di Nikin, vescovo copto), a quello che fece di lei una "fanatica neoplatonica coinvolta in intrighi politici" (v. Charles Kingsley, romanziere dell'Ottocento).
Che dire, infine, delle secolari dispute degli storici intorno alla castità della scienziata, rea di essersi scelta un po' in anticipo sui tempi una vita da single?

Per saperne di più

  • -L'eredità di Ipazia. Donne nella storia delle scienze dall'antichità all'Ottocento, di Margaret Alic (Editori Riuniti 1989)
  • -Ipazia di Alessandria, di Gemma Beretta (Editori Riuniti 1993)
  • -Libro di Ipazia, di Mario Luzi (Bur seconda es. 1980)
  • -Via Dogana (21/22) (v. recentissima bibliografia straniera su Ipazia d'Alessandria a cura di Gemma Beretta)