Rivista Anarchica Online
Segnali di fumo a cura di Carlo E. Menga
La carezza di Fanta
Vi ricordate l'insipiente ma virulenta canzonetta ("Deh punzona, o controllor, il biglietto al viaggiator ...")
di cui
narra Mark Twain in uno dei suoi racconti? Si era conficcata nella mente del protagonista, che non riusciva a
sbarazzarsene in nessun modo, e ne era ossessionato in ogni momento del giorno e della notte, fino a quando, con
immenso sollievo non la passa a un malcapitato, liberandosi da quella coazione a ripetere che gli aveva reso la
vita impossibile, incatenando però, così, con estrema crudeltà, la mente di quell'altro.
Consentitemi di contagiarvi
con qualcosa di molto simile. È probabile che anche nella vostra città sia apparsa quella
coppia di cartelloni pubblicitari, in cui domina
l'immagine di una bottiglia di FANTA (un tempo meglio nota come "l'aranciata d'arancia", un enunciato solo
in apparenza tautologico, ma in realtà aristotelicamente teso, nell'implicita fattispecie dell'allusione, a
contrapporre la propria genuina sostanzialità agli accidentali, benché uguali, sapori dei prodotti
concorrenti),
assieme, in alto a sinistra, alla fotografia del volto di un adolescente. A seconda del sesso dell'adolescente,
converremo, per comodità, di designare i due tabelloni come 'maschio' e 'femmina'. Il referente, infatti,
di tale
differenza, è il relativo soggetto sintattico di ciascuno dei due distici in rima baciata che riempiono il resto
dello
"spazio scenico", pronunciati evidentemente da un genitore, di cui volutamente viene lasciato ignoto il sesso.
Potenza dei termini relativi. E potenza dell'ambiguità. I Signori della Fanta lasciano a noi, con magnanima
e
lungimirante correttezza politica, il compito di determinare a nostra preferenza e con la responsabilità del
rischio
della scelta, quale sia il genitore che ha il ruolo di ripristinare con solerzia le riserve d'aranciata nelle cantine di
famiglia. I distici in questione sono infatti i seguenti: a) "Mio figlio mi trita / se la Fanta è finita", nel
cartellone 'maschio';
e: b) "Mia figlia mi straccia / se di Fanta non c'è traccia", nel cartellone 'femmina'. Vi risparmio la
'questione
giovanile' sottintesa nel contenuto, la quale fa per altro il paio con quella, più esplicita (e ironica, nelle
intenzioni)
del nuovo spot televisivo della Renault CLIO, in cui alla domanda "che cosa vogliono i giovani oggi?" si finisce
per essere costretti a tradurre dalle parole alle immagini la risposta, con grazioso understatement: ballare con la
propria nonna ("le donne"); disporre di un quantitativo di monete da 500 lire sufficiente per consentire di
continuare a giocare ad nauseam a un gioco ormai 'rurale', se confrontato con i videogiochi elettronici, come il
"calcio balilla" ("i soldi"); cercare (invano) di farsi ubbidire dal proprio yorkshire terrier ("il potere"). Invece
vorrei occuparmi, con apparentemente altrettanto grazioso understatement, di critica letteraria, con
l'intenzione dichiaratamente egoistica di contagiarvi con (e forse liberarmi di) tutte quelle conseguenze creative
che finora hanno nevrotizzato me, che purtroppo e per fortuna (canterebbe Irene Grandi), ho anche la poesia tra
i miei principali inconfessati interessi culturali, se non s'era capito. Come direbbe Aldo Palazzeschi: lasciatemi
divertire! Il distico 'maschio' è formato da un senario seguito da un settenario. Il distico 'femmina'
è formato invece da un
senario seguito da un ottonario. Il mio amore per la simmetria alla Poirot, nonché una certa frequentazione
con
i poeti maggiori, mi induce però a pensare che questo ottonario sia in realtà un settenario mal
riuscito, un
settenario "eccipuo", per usare le parole del noto critico letterario Aldo Biscardi, discepolo del Beccaria. Ora,
mi chiedo: è possibile che con tutte le possibilità ritmiche del settenario, uno dei versi principe
della metrica
italiana, secondo solo all'endecasillabo per frequenza e importanza, e con l'interminabile contenuto di verbi del
campo semantico della violenza iperbolica e/o vezzeggiativa, per non parlare del campo semantico della penuria,
proprio solo quel verso d'otto sillabe, quel settenario ipertrofico, sia venuto in mente ai geniali, agli immaginifici
Signori della Fanta? Possibile che non sia loro apparsa neanche una delle innumerevoli opzioni alternative che
invece hanno tormentato me? Si sa che l'ignorante vive felice. Ma loro ci sono, o ci fanno? Per farla breve,
ve ne propongo qualcuna: "Mia figlia mi pesta / se la Fanta non resta"; "Mia figlia mi sbuccia /
se la Fanta non ciuccia"; "Mia figlia mi strizza / se la Fanta non frizza" (che oltretutto allude costruttivamente alla
prevenzione dell'incuria parentale nell'appropriata conservazione della bevanda e che fa il paio con "Mia figlia
m'ammazza / se la Fanta s'impazza" anche se l'ardito paragone metaforico con la maionese, che pure trovo ben
riuscito, metterebbe in crisi l'atavica purezza dell'"aranciata d'arancia"); "Mia figlia mi frappa / se la Fanta non
stappa"; o il dantesco "Mia figlia m'isquatra / se per Fanta ella latra" ... e potrei continuare. Ma basta così.
Ora
divertitevi voi. E quando andate a casa, eseguite l'istruzione del titolo di un libro di Roberto Vacca,
"Carezzate con terrore la
testa dei vostri figli", e dite loro: "questa è la carezza di Fanta".
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