Rivista Anarchica Online
Decreti delegati e scolarizzazione di massa
di R. Brosio
A quanto si dice, gli studenti italiani, inferiori e superiori, a ottobre si
troveranno a che fare con una scuola
profondamente diversa da quella degli anni scorsi. Sono entrati in vigore infatti, dopo un po' di
suspense dovuta
alle liti tra ministero e Corte dei Conti, i famosi "decreti delegati", cioè quei decreti legislativi che
il Parlamento,
a suo tempo, aveva incaricato il Governo di emanare in materia di pubblica istruzione (legge 30.7.1973).
Essi,
accanto alle norme sullo stato giuridico degli insegnanti e del personale non docente, nel cui merito non
è il caso
di entrare in questa sede, contengono diverse importanti innovazioni che riguardano gli organismi
preposti al
funzionamento delle strutture scolastiche, i cosiddetti Organi Collegiali. Tali innovazioni, così
come sono
delineate nel testo approvato, rivestono notevole interesse, in quanto sembrano destinate, se applicate e
sviluppate, non solo a modificare l'aspetto esteriore della scuola, ma anche a sancire una sua diversa
funzione
nell'ambito della società. Inoltre, anche nel caso che gli effetti di cui saranno capaci nel futuro
siano diversi dagli
scopi che si prefiggono (il che è sempre possibile, almeno in linea di principio), prendere in
esame può servire
oggi per comprendere le intenzioni con cui la nostra classe politica sta affrontando il
problema del rinnovamento
della scuola. Secondo il decreto sugli Organi Collegiali, in ogni scuola dei vari ordini e gradi, ad
eccezione delle Università,
(quindi in ogni scuola materna, elementare, media inferiore o superiore) vengono istituiti Consigli di
Classe, un
Consiglio di Istituto, una Giunta Esecutiva ed un Consiglio di Disciplina, in sostituzione delle vecchie
strutture
decisionali e con una diversa ripartizione delle attribuzioni e delle competenze. La vera novità,
però, consiste
soprattutto nella loro composizione: in ciascuno di essi vengono accettati i rappresentanti degli studenti,
con
funzione non semplicemente consultiva, ma deliberatamente in un buon numero di casi. Per ovvi motivi
la cosa
riguarda soltanto la scuola media superiore, anche perché il Decreto fissa in 16 anni l'età
minima ammissibile per
l'accesso agli Organi Collegiali. Ma se pensiamo al numero, sempre crescente di alunni che, terminata
la terza
media, proseguono gli studi almeno fino ad uno dei vari diplomi conseguibili, appare chiaro che la portata
del
provvedimento non è da sottovalutare. Per moltissimi giovani, le medie inferiori hanno ormai
perduto il carattere
di "ultimo stadio dell'istruzione" che avevano in passato e stanno diventando, sempre più,
funzionalmente
collegate alle superiori, che ne costituiscono un po' il logico completamento. E' quello che i sociologi
concordano nel definire "scolarizzazione di massa", cioè il prolungamento della vita scolastica
dei giovani di ogni
condizione sociale fino a livelli tali da far scomparire le soluzioni di continuità fra i vari gradi di
istruzione. Nella
fattispecie, questo fenomeno fa si che i provvedimenti che riguardano le medie superiori non possano
essere
considerati come qualcosa a sè stante, ma diventino emblematici di tutta la nuova problematica
della scuola. Quale significato ha, dunque, l'ammissione delle rappresentanze studentesche negli
Organi Collegiali, visto che
un numero sempre crescente di alunni è destinato a subirne gli effetti in futuro? Per rispondere,
è necessario capire
come sono congegnati questi organismi e quali sono le loro funzioni. Diciamo subito che sembrano
concepiti prendendo a modello la piramide delle democrazie burocratiche della
peggior specie. I Consigli di Classe sono istituzioni periferiche, con attribuzioni vaghe e comunque
abbastanza limitate, sopra cui
sta il Consiglio di Istituto, a partecipazione assai più ristretta, e, per contro, con una sfera di
competenze più
ampia e definita con cura. Al di sopra del Consiglio di Istituto, poi, si trovano la Giunta Esecutiva ed il
Consiglio
di Disciplina, ancora più ristretti e pressochè paritetici come livello, separati solo per le
funzioni che svolgono:
tecniche la prima, disciplinari, appunto, il secondo. (Da notare che, seguendo la tradizione della miglior
demagogia democratica, viene definito "esecutivo" uno degli organismi al vertice della piramide). I
membri delle varie istituzioni sono effettivi, ma in numero fisso, come fissi sono i rapporti di
proporzionalità tra
le varie categorie rappresentate (gli studenti sono sempre in minoranza). Sono quindi organi
amministrativi, non
politici. In essi non si celebra alcuna dialettica fra le forze interessate, ma una "collaborazione" tra esse,
sulla base
di rapporti di potere ben definiti e a norma di regolamento. Contro le decisioni prese da ogni
organismo è ammesso il "ricorso agli organi competenti" (Provveditorato,
Ministero, ecc.) ma non esiste, nella singola scuola, un meccanismo per l'approvazione o il rifiuto, in via
preventiva, di questo o quel provvedimento. E' il trionfo della delega burocratica di potere, cioè
della gerarchia. Che senso ha coinvolgere gli studenti in questa struttura, se non quello di abituarli
fin da giovani ad accettare il
tipo di società che li aspetta fuori dalla scuola? Alle esigenze di democrazia diretta, di gestione
assembleare, di
controllo e responsabilizzazione studentesca, nate dalla contestazione, si risponde invitando gli allievi a
scegliersi
dei capi, additando la "scalata al potere" come unico mezzo per far sentire la propria voce, sollecitando
l'ambizione di quanti vorranno incominciare fin nella scuola quella "carriera politica" che ben altre
soddisfazioni
potrà dare da adulti. Ci sia concessa una breve deviazione dal tema centrale che stiamo
trattando. Una delle caratteristiche più positive
(in mezzo a tante negative) della contestazione giovanile fu la scoperta che si poteva "far politica" dal
basso,
senza compromessi e porcherie, senza arrivismi, rimanendo puliti. I figli mettevano sotto accusa i padri,
per
questo, denunciandone la fame di soldi e di potere, il cinismo e la rassegnazione. Ora la scuola, nel
rispetto della
sua alta funzione di educatrice, sta ricomponendo il dissidio, insegnando ai ragazzi a giocare con la stessa
merda
che ha insozzato i loro genitori. L'importanza condizionatrice dei nuovi Organi Collegiali nei
confronti dei giovani e la loro capacità di influenzare
notevolmente la vita scolastica, non deve essere sottovalutata. Anche se il numero degli studenti in ogni
Organo
è forzatamente limitato, non bisogna dimenticare che l'accesso ad essi dovrà avvenire
tramite le elezioni. Il
decreto stabilisce (Cap. V, Art.19-29) norme molto minuziose sul loro svolgimento, sulla composizione
e
presentazione delle liste, sugli scrutini, sui seggi, dando la sensazione di attribuire grande valore
all'espletamento
di queste formalità. D'altra parte, dall'esame degli articoli in questione, si può facilmente
verificare che il tempo
necessario al compimento di tutte queste operazioni sarà tale da assorbire una buona fetta
dell'attenzione degli
alunni, sì da trasformare la gestione degli Organi Collegiali in una delle attività
più importanti della scuola. A
questo punto, crediamo, il carattere di "esercitazione" in piccolo di quello che aspetta gli studenti una
volta
divenuta adulti, non può essere negato. Né può essere negata la volontà
di dare alle strutture scolastiche una
funzione di manipolazione psicologica, atta a provocare l'assuefazione e il consenso ai rituali ed ai
principi con
cui il sistema perpetua la sua esistenza. Se queste, come si diceva all'inizio, sono le "intenzioni" dei
legislatori, può riuscire difficile a qualcuno
comprenderne i motivi, specialmente a chi continua a considerare la scuola secondo gli schemi di
trent'anni fa.
Il fatto è che la scuola italiana (parallelamente a quelle degli altri Paesi industriali) si è
modificata parecchio, dal
dopoguerra ad oggi, non solo nell'aspetto esteriore, ma anche nella funzione che le è stata
attribuita dalla società,
cioè dallo stato. La scuola "vecchio stile" aveva due caratteristiche fondamentali: era
selettiva e nozionistica.
La selettività era un mezzo per perpetuare la stratificazione sociale: ogni livello di istruzione
corrispondeva
(grosso modo) ad un livello di privilegio (o di sfruttamento) a cui dovevano "sistemarsi" gli studenti
uscenti, e
questi dovevano diminuire (per mantenere l'equilibrio del sistema) man mano che raggiungevano livelli
superiori.
La scuola media superiore, in particolare, era la "fabbrica" dei quadri dirigenti, intermedi quelli che si
fermavano
ad essa, superiori quelli che proseguivano fino all'Università. Il nozionismo costituiva un
complemento logico
a questa situazione: la scuola (sempre almeno nelle intenzioni) doveva preparare a svolgere un certo
lavoro, una
certa mansione, subordinata o direttiva che fosse, e quindi forniva agli alunni di ciascun livello quella
certa
quantità di nozioni adatta allo scopo prefisso. E' evidente l'importanza delle "nozioni",
specialmente per gli
studenti destinati a lavori intellettuali. Questo tipo di scuola è oggi praticamente scomparso.
La causa prima di ciò, verosimilmente, è da ricercarsi nella
"corsa all'istruzione" iniziata dalle classi lavoratrici fin dagli anni cinquanta. Sotto la spinta del maggior
benessere
oltre che dalla naturale tendenza all'emancipazione, i lavoratori hanno preso, sempre più
frequentemente, a far
proseguire gli studi ai propri figli, oltre i traguardi classisti delle elementari e delle medie. Il fenomeno,
anche se
veniva salutato con ipocrita entusiasmo dai responsabili dell'educazione pubblica era pericoloso per la
stabilità
del sistema venendo ad incrinare, per evidenti ragioni, il carattere di selettività delle strutture
scolastiche. Né
d'altro canto, la democrazia italiana poteva fare la figura di impedire, platealmente, l'accesso alla scuola
ai figli
degli operai e dei contadini. La soluzione fu trovata nella progressiva abolizione di ogni carattere
nozionistico
degli insegnamenti impartiti. erto non fu una soluzione "ragionata", un disegno a lunga scadenza
coscientemente realizzato dai vari ministri
interessati. Fu piuttosto il risultato di una serie di adeguamenti parziali, di provvedimenti singoli, di
cedimenti
involontari e successive correzioni, attuate non senza resistenza e in modo spesso disorganico. Fu
comunque il
modo con cui il sistema, nei fatti, rispose all'ansia di evoluzione sociale delle classi inferiori. Togliendo
all'istruzione ogni caratteristica tecnica, applicativa, ogni collegamento con mansioni concrete da svolgere,
si è
tolta ogni pericolosità alla sua estensione, senza fare la figura dei biechi oscurantisti. La riforma
della media
inferiore è dell'inizio degli anni sessanta: essa abolisce i vari tipi di scuole di avviamento, abolisce
l'esame di
ammissione, riforma i programmi massimizzandone l'aspetto formativo-educativo e superficialmente
culturale.
E' l'inizio vero e proprio della scolarizzazione di massa. Da allora in poi, i provvedimenti volti a togliere
ogni
carattere di selettività alle scuole superiori si susseguono rapidamente, perché una volta
stabilito che gli allievi
non impareranno nulla (o quasi) le discriminazioni non hanno più ragion d'essere. Negli anni
sessanta la "corsa
all'istruzione" diventa frenetica, e altrettanto frenetico diventa il decadimento dei livelli di conoscenza nei
licei
e negli istituti. Nel '69 l'esame di abilitazione degli istituti tecnici viene riformato in esame di
"maturità" perdendo
praticamente (nonostante le assicurazioni in senso contrario del ministero della Pubblica Istruzione) ogni
valore
legale ai fini dell'attività professionale. Contemporaneamente, una serie di circolari e
provvedimenti di vario
genere toglie ai programmi ogni carattere veramente informativo, con l'introduzione di principi come la
sperimentazione didattica, la libertà di scelta tra i vari argomenti, ecc., trasformando le materie
di studio in mere
esercitazioni accademiche, senza rapporto con l'attività concreta. All'inizio degli anni settanta
la linea di tendenza secondo cui si sviluppa l'Istituto scolastico in Italia è ormai
definita. La scuola media superiore ha perso ogni connotazione classista, o la sta perdendo rapidamente.
Al suo
interno si ritrova oggi la riproduzione, sempre più fedele col passare del tempo, della
composizione sociale
dell'ambiente circostante, così come succede per la media inferiore e per le elementari. La
differenziazione tra
i vari tipi di diploma sbiadisce nel generale scadimento del loro valore ai fini dell'impiego: il possesso del
titolo
di studio non garantisce più, come tale, l'accesso ad incarichi direttivi, i quali continuano ad
essere riservati a
pochi eletti ma seguendo altri meccanismi di selezione. Gli studenti cessano di essere dei privilegiati,
perché sono
tanti: in prospettiva la totalità dei giovani. La scuola è diventata "scuola di massa". La
sua funzione specifica non consiste più nella trasmissione delle nozioni. Il sistema non
può mettere a
disposizione di tutti il sapere tecnico-scientifico senza pericolo per la sua stabilità. La scuola
diventa un centro
di "cultura". Cultura di regime, ovviamente, altrimenti detta "educazione": pseudo sapienza sociale
irrilevante,
male insegnata e male appresa. In altri termini l'importanza non è quello che si impara, le materie
di studio non
sono che una scusa. Lo scopo reale è, sempre più, la comunicazione di un modello di
comportamento individuale
che sia funzionale al sistema. A scuola si impara soprattutto a "diventare buoni cittadini". Lo stato
moderno è
troppo complesso, troppo articolato, troppo grande per poter funzionare, come un tempo, col solo aiuto
della
disciplina e della repressione. Ha bisogno di consenso delle masse, perché l'ordine
venga mantenuto,
dell'accettazione volontaria da parte di tutti delle regole stabilite. La vera funzione della scuola è
ormai quella
di creare i presupposti psicologici e "culturali" di questo consenso. Ed ecco, puntuali, i Decreti Delegati
con
l'istituzione degli Organi Collegiali. La nuova funzione della scuola comincia ad avere la sua sanzione
giuridica. Paradossalmente, la "corsa
all'istruzione" delle classi inferiori, che originariamente era un pericolo per il sistema, si è
trasformata in un
fattore di stabilità sociale. Un'ultima considerazione si rende necessaria perché il
discorso sia completo. La radicalizzazione della tendenza
"educatrice" dell'Istituto Scolastico, accanto all'effetto principale di servire al mantenimento dell'equilibrio
reazionario del nostro paese, ha anche prodotto, però, effetti collaterali che si stanno rivelando
negativi. Primo
tra tutti, la difficoltà di formare, e istruire convenientemente, i futuri quadri dirigenti, intermedi
e superiori. In altri
termini la vecchia funzione della media superiore non è più assolta da nessuna istituzione
organica, oggi, e questo
rischia di creare, a breve termine, seri problemi di efficienza dirigenziale. Al momento, è
ancora presto per individuare con certezza la direzione che prenderà il sistema per risolverli. Da
un lato sembrano assumere importanza, sotto questo aspetto, i corsi aziendali dei grossi monopoli
industriali,
dall'alto le ipotesi di ritorno al "numero chiuso" nelle Università paiono indicare la
volontà statale di limitare
l'estensione della scuola di massa alla scuola media superiore. In alcuni paesi europei (Inghilterra) il
problema
è già stato risolto con l'istituzione di scuole private d'élite. In altri
(Germania) con l'esclusione di alcune facoltà
universitarie, considerate basilari per l'esercizio del potere, dal processo di massificazione. In altri ancora
con
l'istituzione di livelli superiori di istruzione. Quel che è certo è che il monopolio del
sapere tecnico-scientifico-organizzativo e la sua trasmissione ad un numero ristretto di privilegiati
è fondamentale per la sopravvivenza dei
moderni stati industriali, altrettanto quanto la manipolazione del consenso delle masse. Il che significa
che
assentiremo, quanto prima, al sorgere di nuove scuole, i cui studenti non avranno nulla in comune coi
loro simili
attuali: non proverranno dalle classi inferiori, non faticheranno a trovare lavoro all'uscita, non
giocheranno con
lezioni buro-democratiche. In barba alla demagogia delle circolari ministeriali, le nuove scole saranno
selettive
e nozionistiche. E insegneranno a comandare.
R. Brosio
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