Rivista Anarchica Online
Anatomia di una lotta
La vertenza alla "Renault" Le rivendicazioni operaie, gli scioperi a singhiozzo e la risposta padronale - Il ruolo dei sindacati
e del Partito Comunista - I burocrati sindacali nuovi cogestori dello sfruttamento.
L'articolo che pubblichiamo in queste pagine è tradotto dalla rivista francese "Spartacus" edita da un
gruppo di "marxisti-libertari-luxemburghiani". È evidente quindi che su diversi punti non concordiamo
con gli autori; abbiamo però ritenuto utile la pubblicazione del resoconto di questa lotta per
l'obbiettività con cui è stato redatto e soprattutto perché dallo svolgimento della vertenza appaiono
con chiarezza le tendenze evolutive in atto nella società francese: proiezione avanzata di quanto sta
avvenendo in Italia. Nelle lotte alla Renault si è infatti esplicitata la volontà delle burocrazie sindacali
di volersi assumere nuovi compiti all'interno dell'azienda e di instaurare uno sfruttamento rinnovato
che segnerà (se attuato) una nuova sconfitta del proletariato ad opera dei loro "rappresentanti" che
mirano a soppiantare gli attuali padroni.
Nove settimane di sospensioni, di scioperi a singhiozzo, una guerra d'usura dalle alterne vicende tra una
direzione intransigente e i lavoratori della Régie, essenzialmente i più combattivi, quelli della fabbrica
di Mans. Infine, dopo un'ultima serie di peripezie, la trattativa finale e i risultati lontani da quelli sperati
dai lavoratori. Dopo il fallimento dello sciopero delle P.T.T. di fine 1974 (1), quale bilancio si può trarre
da questo sciopero, il più lungo di tutta la storia delle lotte alla Renault? Per questo è necessario studiare
il contesto nel quale si è svolto, cioè la crisi del capitale che colpisce duramente l'industria
automobilistica.
Renault e la crisi dell'industria automobilistica
Di tutti i costruttori, la Renault è quella che finora ha resistito meglio alla crisi. I suoi successi
nell'esportazione dimostrano la competitività rispetto ai suoi concorrenti e questo si spiega
essenzialmente con la migliore produttività del lavoro. Se i salari sono un po' superiori alla media, e ciò
soprattutto in provincia, i ritmi di lavoro in compenso sono particolarmente intensi e gli scioperi a catena
che sono scoppiati in questi ultimi anni (2) dimostrano ampiamente che alla Renault si lavora sodo.
Ma dopo qualche mese, la recessione colpisce in pieno l'economia francese in generale, la disoccupazione
aumenta, la produzione diminuisce e le vendite di automobili sono in ribasso anche per la Renault. Le
prospettive per l'avvenire si offuscano di giorno in giorno. Se la Renault non vuole essere obbligata un
giorno o l'altro a licenziare - come deve fare in questo momento la Volkswagen (da 15 a 20.000 salariati)
- deve continuare ad aumentare la produzione a minor costo, cioè concedere lo stretto necessario sui
salari. Nella situazione attuale non si tratta di tentare di rattoppare l'inflazione. L'esempio dell'Inghilterra
in cui i lavoratori continuano a strappare aumenti di salario spettacolari, superiori all'aumento dei prezzi,
facendo fallire il principale costruttore British Leyland, è una precisa minaccia per tutte le altre imprese.
D'altra parte, lo scoppio dello sciopero delle P.T.T. ha permesso di constatare che, al momento, i
lavoratori, pur essendo capaci di continuare uno sciopero a lungo, non erano in grado di autogestire il
loro sciopero.
Quindi la strada è tracciata, è necessario e possibile spezzare la resistenza operaia laddove si manifesta
in maniera più forte, anche a prezzo di un mancato guadagno immediato ed a rischio di un errore di
valutazione. Questa tendenza dura che esiste sia nel governo che tra i capitalisti, si manifesta durante lo
sciopero nella persona del Segretario generale della Régie, Ouin, che dimostra la sua volontà di usare
la combattività degli O.S. di Mans, utilizzando con abilità l'arma dello sciopero tecnico esigendo come
condizione preliminare per l'apertura della trattativa la fine dello sciopero a singhiozzo, rifiutando ogni
altra rivendicazione che non fosse la revisione delle classifiche, minando volontariamente, con le sue
violente dichiarazioni, le trattative già intraprese.
La Direzione generale non esita a licenziare 17 operai di cui 3 delegati, minacciando 63 altri lavoratori
dello stesso trattamento. È un colpo di forza inferto sia ai lavoratori che ai sindacati. Tre settimane più
tardi un nuovo colpo ad uso esclusivo dei sindacati: la C.G.T. di Mans è citata in Tribunale per impiego
di mezzi di pressione illecita, lo sciopero a singhiozzo. Ciò non era mai accaduto alla Régie, ove
Direzione e sindacati avevano spirito "fraterno" con la stessa preoccupazione di difendere l'impresa
"nazionale". C'è la volontà deliberata tendente a provocare i lavoratori più combattivi per meglio metterli
in ginocchio e nello stesso tempo per intimidire gli altri, facendo comprendere ai sindacati che non è il
momento di giocare ai soldatini.
Esiste anche una tendenza al compromesso. Il timore sempre vivo di un'esplosione paragonabile a quella
del maggio '68 che sarebbe la logica conseguenza dei ripetuti fallimenti operai è presente nello spirito
di numerosi dirigenti che sono pronti a lasciar andare un po' di zavorra per evitare una contrapposizione
pericolosa. Vediamo così agire alternativamente quelli che soffiano sul fuoco e quelli che vogliono
spegnerlo. Pure l'aumento ottenuto dai 450 carrellisti e magazzinieri dell'isola Seguin che sono stati il
punto di partenza del movimento l'11 febbraio va esteso a tutto il personale - una prima richiesta di 22,50
franchi e di maggiorazioni orarie ottiene 80 centesimi nell'attesa dei negoziamenti globali sulle
classificazioni un mese dopo -. È poco ma ciò basta, nello spirito di alcuni a smorzare ogni velleità
rivendicativa.
Il P.D.C. Dreyfus è il rappresentante di questa tendenza arrendevole che ha tutti i favori dei sindacati.
Durante tutto il conflitto si fa notare per la moderazione delle sue proposte contrastanti con quelle di
Ouin; allorché il conflitto si riduce è Dreyfus che, dall'inizio di aprile, rilancia i negoziati cominciati grazie
ad una mossa dei sindacati approvata dai lavoratori di Mans (una giornata senza calo di produzione).
Il tono conciliante del P.D.G. si oppone a quello del segretario generale che per due volte ancora
ritarderà gli ultimi negoziati a vantaggio della Régie. Quale stata la reazione dei lavoratori di fronte a
questo abile atteggiamento della Direzione?
I lavoratori nello sciopero
La combattività dell'insieme dei lavoratori della Régie, eccezion fatta per la fabbrica di Mans di cui si
parlerà dopo, non è stata una reale minaccia per la Direzione. L'iniziativa della lotta sembra essere
sfuggita alla base che si è accontentata di appoggiare (a volte con tutto il suo peso) quelli che di mestiere
la dirigono: i sindacati. Fatto nuovo: il P.C. stesso ha svolto un ruolo non trascurabile nel suscitare e nel
portare avanti il conflitto. Che il malcontento degli operai in generale e soprattutto degli O.S. - tutti
duramente sottoposti a tempi veramente infernali - esista è certo e ciò si è manifestato, come è noto, con
la rivendicazione di 250 franchi per tutti imposta ai sindacati, come pure con le reazioni più dure di
alcuni gruppi di operai. Ma la situazione di crisi, di minaccia di disoccupazione sembra aver paralizzato
un buon numero di O.S. e, in particolare gli immigrati, i quali, in altre circostanze si erano trovati tra i
lavoratori più combattivi. Quanto agli altri, la loro situazione relativamente privilegiata alla Renault dove
nessuno è stato ancora licenziato, né ha subito misure di disoccupazione tecnica, altrove molto forte,
sembra aver pesato molto sulla bilancia. A Billancourt in particolare le sospensioni non colpiscono che
un numero limitato di reparti e le catene di montaggio solo sporadicamente vengono fermate.
L'atteggiamento dei due dipartimenti 77 (3) (O.P. manutenzione-riparazione) e 38 (O.S. immigrati-saldatori) che sono stati tra i più attivi è indicativo. Dapprima i lavoratori rivendicano 300 franchi per
tutti ed un solo tasso, il massimo, e ritenendo la situazione favorevole vogliono sviluppare il movimento
tra gli O.P. Nel 38esimo dipartimento le rivendicazioni degli immigrati sono molto più modeste. Il
coefficiente è di 165 franchi per tutti (al posto di 160) ed il pagamento del 50% delle ore perdute (la
Direzione propose 45).
Dopo qualche giorno di sospensione i saldatori dopo aver ottenuto delle garanzie, riprendono il lavoro
mentre solo l'estensione dello sciopero a tutti lavoratori può sperare di far cedere la Direzione.
Parimenti dopo le misure di sciopero tecnico, le risposte, quando se ne hanno, sono frammentarie e, in
nessun momento, sarà il caso di adottare, ad esempio, lo sciopero a singhiozzo, come succede a Mans,
o di occupare le fabbriche come si era fatto nel 1971.
Dopo le misure repressive della Direzione i lavoratori accettano il furto dei sindacati che si accontentano
di inviare una delegazione dal primo ministro Chirac e di aggiungere l'eliminazione delle sanzioni e il
rispetto del diritto di sciopero a seguito delle rivendicazioni, benché delle équipes di operai avessero
proposto di accompagnare i lavoratori convocati dalla Direzione, cosa che avrebbe avuto ben altro
significato.
Nelle altre fabbriche a Sandouville, a Flins, a Cléon la situazione non sembra essere differente. Tutto è
accaduto come se i lavoratori avessero aspettato che i loro compagni di Mans assumessero l'iniziativa
della lotta, perché a Mans la combattività è stata eccezionale, da un estremo all'altro del conflitto. I
lavoratori applicano con successo lo sciopero a singhiozzo o il sabotaggio della produzione, cosa che
rapidamente provoca il blocco delle fabbriche della Régie, esaurendone gli Stocks. Come spiegare questa
differenza di comportamenti?
Già al tempo dello sciopero del 1971 la fabbrica di Mans era stata alla testa del movimento. Gli O.S. che
ci lavorano non sono degli immigrati (solo l'1%) ma gente della regione. La stabilità della forza-lavoro
è notevole nella fabbrica di Mans, in contrasto con la continua rotazione degli O.S. parigini. La
maggioranza dei lavoratori ha in media 13 anni di anzianità e più della metà ha tra i 15 e i 20 anni di
servizio. Alla Renault si fa "carriera", i salari sono dal 10 al 30% più alti che nelle altre fabbriche della
regione, ma si lavora sodo essendo questa una fabbrica molto automatizzata. Molti operai hanno
abbandonato il loro lavoro (barbieri, macellai) che rendeva poco per diventare O.S. e, spesso,
possiedono anche un C.A.P. Ma la speranza di far carriera è nulla: O.S. si è e O.S. si resta fino alla
pensione. È da dire che questi lavoratori non sono degli O.S. come gli altri.
Nella fabbrica vi è una forte omogeneità, un tasso di sindacalizzazione (40%) che è il doppio della media
nazionale ed un passato di lotte dure da prima del 1968. La fabbrica occupa una posizione strategica nel
gruppo in quanto costruisce le apparecchiature meccaniche per tutta la gamma Renault, per Billancourt,
Flins, Sandouville, Cléon. Nonostante l'assenza di una solidarietà reale dei lavoratori della Régie, gli O.S.
di Mans resisteranno a tutte le provocazioni della Direzione e gli ultimi giorni di sciopero li vedranno,
nonostante una percepibile stanchezza, tanto risoluti come lo erano all'inizio delle lotte.
Degli incidenti violenti accompagnano i voltafaccia della Direzione (un capo-fabbrica viene ucciso) ed
è certamente questa volontà di non scendere a compromessi che obbliga la Direzione a concedere
qualche briciola sotto la paura di vedere la produzione ancor più compromessa (circa 60.000 vetture
perse). Ma i lavoratori sono lontani dall'aver ottenuto i 250 franchi che reclamavano. Con i 140 franchi
in media ottenuti, se si detrae ciò che era stato concesso al tempo dello sciopero dei carrellisti e ciò che
la Régie aveva deciso di concedere prima del conflitto, il risultato è irrisorio, dopo 9 settimane di lotta
durante le quali alcuni O.S. hanno perso più di 1.000 franchi. E resta il fatto che i lavoratori non hanno
tentato di darsi mezzi per poter combattere in modo autonomo ed efficace. Mentre nel 1971 qualche
tentativo di organizzazione autonoma era nato all'isola Seguin (Assemblea operaia dei dipartimenti 12,
74, 98 e comitato di sciopero del 77) i lavoratori questa volta si sono completamente fatti rimorchiare
dai sindacati che hanno potuto svolgere il loro ruolo abituale, compreso il P.C. che è intervenuto con
la sua consueta coreografia.
Il ruolo del P.C. e dei sindacati
Nella situazione di crisi in cui la borghesia si dibatte non è strano vedere il P.C. porsi come paladino di
un ipotetico capitalismo di Stato, ma, come la borghesia anche il P.C. ha i suoi problemi. L'evoluzione
stessa della crisi favorisce l'esistenza di una tendenza dura che poggia sulla lotta della base e lo scontro
frontale con il potere, mentre finora l'alternativa di un governo di sinistra sembrava la risposta
appropriata alla situazione. Marchais segretario del P.C.F. che rappresenta la tendenza riformista deve
dunque venire a transazione con questa tendenza più stalinista, darle delle garanzie, così si spiegano le
impennate da cui l'improvvisa propensione del P.C. a voler spingere le lotte. È possibile che il P.C.
all'origine abbia in tutto o in parte incoraggiato e sostenuto l'azione dei carrellisti che è all'origine di tutti
gli scioperi.
A Mans, il P.C. è ben radicato (16 cellule e 300 militanti), svolge un'intensa propaganda dal suo rientro
nel 1974 e mira a spiegare la crisi e a dimostrare che i "padroni" guadagnano e possono pagare. È
probabile che i militanti di base siano stati tra i più combattivi nella lotta. Marchais stesso interviene con
violenza non abituale alla radio il 3 marzo, invitando i lavoratori della Renault ad opporsi alle misure
repressive dichiarando che la Régie può pagare. In questo modo il P.C. tenta di far scomparire le tracce
delle polemiche con il P.S. che hanno colpito i militanti di base, di riprenderli nelle proprie mani dandogli
l'occasione di battersi e allo stesso tempo di sfruttare a proprio vantaggio il malcontento dei lavoratori.
Non è improbabile che il P.C. abbia voluto dimostrare alla C.G.T. di essere ancora e sempre il vero
padrone. La differenza di tono tra Marchais e il segretario della C.G.T. Séguy è, in effetti, rivelatrice
delle differenti valutazioni della situazione tra P.C. e C.G.T. e del ruolo che ciascuna burocrazia può
svolgervi.
Al contrario di Marchais, Séguy si mostra conciliante insistendo sulla necessità di negoziare, presto o
tardi, meglio se sarà presto. In effetti in una situazione in cui il potere non ha molto da offrire, il ruolo
dei sindacati non è facile. Incastrati tra una base il cui malcontento aumenta, e la necessità di apparire
come i buoni gestori della forza-lavoro agli occhi dei capitalisti, i sindacati hanno un margine di manovra
molto stretto. Questo spiega la tattica prudente dei sindacati, preoccupati di incanalare i lavoratori senza
opporsi al fronte padronale soprattutto quando questo fa chiaramente capire che non è il momento
adatto. Dall'inizio del conflitto, la C.G.T. adotta un atteggiamento di aspettativa, opposto a quello del
P.C. A Billancourt, ove il malumore si manifesta in alcuni reparti in cui la situazione può ancora
evolversi, la C.G.T. frena al massimo la C.F.D.T. che vuol sembrare più dura, propone controvoglia
un'azione più risoluta, ma tutte e due sono concordi nell'affermare che solo esse gestiscono la lotta, senza
P.C. e P.S. o gauchistes, per ricordare al potere e ai burocrati dei partiti che esse sono i veri P.D.G. dei
lavoratori.
Di fronte alla direzione che si mostra ferma, i sindacati umiliati temporeggiano, propongono di inviare
una delegazione da Chirac e di organizzare un comizio per i soli O.P. davanti alla sede della Direzione
generale, sempre più rassicurati nel corso dei giorni sull'atteggiamento passivo della base, vogliono poter
fare la prova del loro ascendente sui lavoratori. Abbandonando la lotta nella fabbrica si pongono sul
terreno che gli è proprio, fare pressioni sul potere con innumerevoli delegazioni alla Direzione, al
Ministero del Lavoro, da Chirac, con gli operai da Francois Giraud, accompagnati dalle non meno
tradizionali petizioni. In questo campo la vittoria torna alla C.G.T., la C.F.D.T. più vicina alla base, meno
burocratizzata può permettersi di essere più a sinistra, tentare di smascherare la sua rivale rifiutando, per
esempio, di partecipare ad una giornata d'azione della metallurgia parigina, giudicata dalla C.F.D.T. di
essere un diversivo incentrato sulla difesa dell'impiego (4).
Le rivalità di bottega si sostituiscono a rivalità tra direzioni nazionali e burocrati locali. Questi ultimi,
vicini alla base, come a Mans, rappresentano in generale una tendenza più dura che riflette la
combattività dei lavoratori. Gli uni e gli altri non si scambiano di certo dei regali. In tempo di negoziati
su scala nazionale non si accettano i delegati di Mans che controvoglia (uno per ogni sindacato). Di
contro quelli della C.G.T. di Mans non esitano a passare al di sopra delle teste dei bonzi nazionali per
invitare l'insieme dei lavoratori della Règie a mobilitarsi, nello stesso tempo in cui a Billancourt la C.G.T.
rifiuta anche di fare sospendere di un'ora il lavoro, abbandona la rivendicazione uniforme ed organizza
una nuova giornata nazionale di lotta che si risolve nel solito bidone con le solite delegazioni.
Ma tutti si ritrovano d'accordo al momento di negoziare, per vendere lo sciopero, abbandonando
l'essenziale delle rivendicazioni.
Bilancio dello sciopero
È nell'evoluzione stessa della crisi del capitalismo che bisogna cercare una spiegazione del
comportamento della classe operaia. Per il momento la situazione non è intollerabile, la disoccupazione
resta in limiti sopportabili, il calo del livello di vita comincia a far sentire i suoi effetti. Se le reazioni
padronali alle rivendicazioni operaie si fanno sempre più dure, non si è assistito ancora ad una vera
offensiva contro i lavoratori. Nondimeno nelle imprese in cui la recessione costringe a licenziamenti
imponenti, perfino al fallimento, i lavoratori reagiscono spesso con fermezza, ciò lascia intravvedere ai
padroni quelle che potranno essere le reazioni dei lavoratori quando la crisi li colpirà tutti ed in modo
duraturo.
Per i burocrati questa stessa situazione spinge ad un'azione conforme al ruolo che essi svolgono nel
sistema capitalista. Dal momento in cui le difficoltà si dimostrano sempre più evidenti, la credibilità del
capitalismo di Stato aumenta. Le possibilità d'azione dei burocrati, finora molto limitate, aumentano, e
la tendenza a forzare il passo, accrescendo al massimo le difficoltà della borghesia diventa dominante.
Si spiega così il cambiamento d'atteggiamento dei sindacati, l'irrigidimento delle loro posizioni,
particolarmente della C.G.T. che dopo aver mostrato delle tendenze opposte alla Renault
(l'atteggiamento duro della sezione di Mans è in contrasto con quello conciliante di Séguy nonostante
che una stessa frazione della Direzione nazionale della C.G.T. propendesse già verso un atteggiamento
fermo) è adesso unanime nel dare nuovo impulso alle lotte per estenderle. Sono noti i tentativi di
sciopero alla S.N.C.F. e all'E.D.F., il moltiplicarsi delle settimane di azione nazionale, l'estensione dello
sciopero di Usinor a Dunkerque verso tutto il settore, il conflitto del quotidiano "Le Parisien Libéré",
senza contare infine le violente diatribe, praticamente quotidiane, contro l'incapacità dei dirigenti della
borghesia.
E così questa situazione (che si era già prodotta nel passato, in cui la classe operaia stessa ha un
atteggiamento di attesa) viene utilizzata come strumento dai burocrati sindacali e dai dirigenti dei partiti
politici detti "operai" che tentano di spingerla contro la borghesia con la speranza di poterla soppiantare,
ma è chiaro che se questa operazione riuscisse il loro atteggiamento nei riguardi dei lavoratori
cambierebbe di colpo. Divenuti i gestori del capitale, questi buoni apostoli spiegherebbero che è
necessario rimboccarsi le maniche e produrre più di prima, nello stesso momento lo sciopero
diventerebbe un crimine contro la "nazione". Questa soluzione sarà, al più, una tregua nell'evoluzione
della crisi.
Quali che siano i gestori del capitale, capitalisti o burocrati, non vi possono essere dei miracoli. Si tratta
di una crisi strutturale del sistema capitalistico nel suo insieme (5) e non di incapacità di questo o quel
dirigente, e nulla può impedire presto o tardi lo scontro col proletariato poiché è esso che, per il posto
che occupa nella produzione, in quanto forza-lavoro, possiede la chiave dell'alternativa: uno sfruttamento
rinforzato o rinnovato che seguirà la sua sconfitta o una società comunista che può nascere dalla sua
vittoria...
(1) Cfr. "Lutte de Classe", gennaio 1975; L'ultimo tango di Séguy.
(2) Cfr. "Lutte de Classe", settembre/ottobre 1973; Sciopero alla Renault, nel maggio 1973:
Contraddizioni di uno sciopero selvaggio.
(3) Il 77esimo dipartimento aveva formato un Comitato di sciopero al tempo dello sciopero del 1971
ed aveva partecipato all'assemblea operaia delle Bas-Meudon.
(4) Questa tattica ha dato i suoi frutti: le recenti elezioni dei delegati di reparto a Billancourt mostrano
una perdita della C.G.T. a vantaggio della C.F.D.T. nei collegi operai.
(5) "Lutte de Classe", dicembre 1973: Verso lo scontro, marzo-aprile 1975: La crisi monetaria.
da "Spartacus", nov.-dic. 1975 (traduzione di Aurora F.)
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